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Preavviso di una annunciata stagione di instabilità politica

di Paolo Razzuoli

Per comprendere che dopo le prossime elezioni politiche si aprirà una fase particolarmente complessa e delicata non occorrono particolari doti profetiche, nè serve saper guardare nella sfera di cristallo. Occorre tuttavia saper esaminare razionalmente il contesto politico, unitamente alla capacità di comprensione del rapporto causa-effetto, quindi di saper trarre le conseguenze rispetto alle premesse date.
Presupposti che dovrebbero essere scontati in coloro che pretendono di poter dire qualcosa di credibile, come dovrebbe essere chiunque ha ruoli di rappresentanza politica.
Purtroppo non è così. Non raramente infatti, capita di ascoltare o leggere analisi, anche di politici di primo piano, assolutamente divergenti dalle premesse, quindi deltutto irrealistiche. Se poi ciò è il frutto di malafede o di inadeguatezza di strumenti di analisi, è tutt'altro tema...

Mi torna in mente la campagna in occasione del referendum dello scorso 4 dicembre, in cui il fronte del No sosteneva che si sarebbe potuta fare in fretta una nuova Legge Elettorale: era una clamorosa bufala, da noi del fronte del Sì ampiamente denunciata all'opinione pubblica, e che ora si sta rivelando in tutta la sua nudità.
Si avverte nel Paese una crescente preoccupazione per il responso delle urne che, posto che comunque si voterà con un sistema a base proporzionale, ci riserverà una stagione di instabilità e di governi che magari riusciranno ad avere una maggioranza parlamentare ma che difficilmente riusciranno a governare con l'incisività e l'ampiezza di prospettiva di cui l'Italia ha bisogno.

Necessità di stabilità e di chiarezza di governance sottolineate anche dal presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, nell'intervento con cui questa mattina ha inaugurato la fiera del Levante a Bari: dopo aver sottolineato che all'Italia servono certezze, ha proseguito che l'Italia ha "bisogno di fiducia,istituzioni rassicuranti, che diano certezza della loro capacità di essere presenti sul territorio, di difendere il Paese e la salute dei cittadini". Ha poi aggiunto: "E' un momento cruciale per la nostra economia. La crescita è andata oltre tutte le previsioni fatte fino a un anno fa ma le difficoltà rimangono.In tre anni recuperati oltre 900mila posti."

Dato atto che il quadro economico è migliore di quanto previsto, non possiamo sottacere che si tratta di una ripresa fragile, a causa delle difficoltà strutturali del Paese che, se aggravate dal contesto di instabilità politica, potrebbero in breve tempo bruciare i risultati conseguiti.
Rimangono infatti deltutto irrisolti i nodi strutturali che limitano la competitività del Paese: pesantezza, costi ed invasività dell'apparato burocratico, costo del lavoro con particolare riferimento al cuneo fiscale, arretratezza infrastrutturale, mancanza di una struttura di ricerca (ad esempio sul modello tedesco "Fraunhofer Gesellschaft") realmente funzionale ai miglioramenti dei processi e/o prodotti industriali e si potrebbe andare avanti allungando l'elenco . Nodi da sciogliere non solo per adeguare il sistema Paese all'evoluzione del contesto internazionale, ma anche (forse soprattutto) per correggere le numerose e gravi storture prodotte nell'ultimo cinquantennio, da un lato dall'eredità negativa della "stagione sessantottina" i cui effetti si sono prolungati in Italia ben oltre quelli di altri paesi europei, dall'altro dalla forza delle corporazioni che, con il sostanziale assenso dell'opinione pubblica (o quanto meno con la sua indifferenza), sono riuscite ad imporre una serie di protezioni di interessi settoriali il cui intreccio perverso è alla base dei molti problemi con i quali siamo oggi chiamati a fare i conti.

Sfide complicate per una classe politica stabile, coesa e lungimirante; figuriamoci cosa potranno essere per una classe politica frammentata, appiattita sui sondaggi, preoccupata solo del consenso immediato, quindi incapace di guardare ad orizzonti di prospettiva che, quasi sempre, nel corto respiro non portano fortune elettorali.
Occorrerebbe un grande sforzo di elaborazione politica per costruire, attraverso un confronto serio di tutte le forze disponibili per un disegno riformista, una piattaforma programmatica capace di incidere in profondità sulla struttura del Paese, per rimetterlo sulla strada della modernizzazione e per creargli le condizioni di poter competere con i grandi player internazionali. Il Paese - a mio avviso - possiede le energie necessarie, purché la politica faccia il suo dovere, vale a dire quello di stimolarle e non di opprimerle.

Il preavviso

Ma come potrebbe essere il quadro politico del prossimo Parlamento?
Ieri (8 settembre) il quotidiano Il Foglio ha pubblicato un sondaggio che ci dà uno spaccato degli orientamenti dell'elettorato alla ripresa dell'attività politica dopo la pausa agostana. Vediamolo in sintesi.

Il Pd che guadagna, il M5s che perde e il centrodestra che, in coalizione, si conferma come prima forza del paese. È questa, secondo un sondaggio dell'Istituto Piepoli, la situazione delle forze politiche alla ripresa dei lavori dopo la pausa estiva.
Secondo la rilevazione, realizzata il 4 settembre, se si votasse domani il Pd sarebbe il primo partito con il 29,5 per cento, seguito dal M5s (29 per cento) che perde, rispetto al sondaggio precedente, lo 0,2 per cento.
Ma la tabella mostra che a essere decisiva sarà la politica delle alleanze. Dovesse riuscire a dare vita a una lista unica, infatti, il centrodestra sarebbe la prima forza con il 30,5 per cento (somma dei voti di Forza Italia, Lega e FdI). Certo è presumibile che i tre partiti, insieme, possano perdere consensi che e quindi difficilmente raggiungerebbero lo stesso risultato che potrebbero avere presentandosi da soli. Il Pd, in ogni caso, potrebbe effettuare il contro-sorpasso grazie agli "altri di centrosinistra" (accreditati dell'1,5 per cento) ma anche Alfano e i suoi, con il 2,5 per cento, potrebbero essere decisivi per determinare il vincitore finale.

Dopo il silenzio (o quasi) di agosto, con la ripresa la politica riprenderà il suo assordante chiacchiericcio che andrà in crescendo man mano che ci si avvicinerà alla scadenza elettorale, in una lunga campagna elettorale che di fatto in questi giorni inizia a scaldare i motori.
Naturalmente i risultati elettorali potranno essere diversi dal sondaggio, ma il dato di fondo, ovvero quello di una sostanziale ingovernabilità, è purtroppo incontrovertibile, giacché fa parte di una premessa ormai assodata: quella di una Legge Elettorale di impianto proporzionale e del bicameralismo paritario.
Va inoltre detto che ancora si sente parlare di scenari che non esistono più, in quanto sono frutto della stagione ormai tramontata del maggioritario. Parlare, ad esempio, di centrodestra o centrosinistra uniti mi pare deltutto fuori luogo giacché questa formula mi sembra più appartenere alla sfera dell'algebra che a quella della politica, sia per le pessime prove offerte in passato, sia per le contraddizioni intestine che le rendono improponibili come utili strumenti di governo del Paese.

Al di là del sondaggio, è realistico attenderci dalle urne un responso che ci lasci un paese ingovernabile dal momento che ci sono due "possibili" coalizioni pressochè equivalenti più il partito della Casaleggio e associati che potrebbe trovare dei fiancheggiatori nei partitini di estrema sinistra e nelle consuete meteore disposte a tutto pur di tenere la poltrona. Situazione spagnola o anche peggio. E non solo. Se il PD "vincesse" ma avesse bisogno per poter governare dei partitini di estrema sinistra, cosa diventerebbe il PD di Renzi? Nient'altro che lo strumento facilitatore per la riproposizione di una stagione (quella dell'Unione di Prodi), sicuramente minoritaria nel Paese, ed una scure che si abbatterebbe su qualsiasi aspirazione di modernizzazione della nostra società.

Qualcuno sembra si stia accorgendo del "cul de sac" in cui ci stiamo cacciando, ed è per questo che, ad esempio Salvini, chiede una legge elettorale sulla base di coalizioni già certe prima delle elezioni.
Ma bisognava pensarci prima, ponendosi con altra lungimiranza rispetto alla riforma istituzionale ed alla Legge Elettorale proposte da Renzi.
Ora è tardi. Il proporzionale stimola gli elettori a votare "là dove porta il cuore"; insomma stimola la scelta identitaria. Le coalizioni si fanno dopo. Circostanza non certo rassicurante, vista la condizione degli attuali partiti, o meglio, di ciò che oggi ci troviamo al posto di essi.
I partiti - di ogni schieramento - avranno interesse a lasciarsi le mani libere. Il Pd, non potrà certo indicare la coalizione di sinistra, per non perdere quella fascia di elettori che hanno visto nel partito di Renzi una forza incamminata su un percorso riformista, svincolato dai condizionamenti dei nipotini della democrazia progressiva. Berlusconi non può certo permettersi di mescolare la sua proposta con quella populista e sovranista della Lega: finirebbe per evaporarsi, con la parte dell'elettorato più moderato in fuga verso approdi più rassicuranti, e con quello più sensibile alle istanze leghista posizionato verso questa (fra la copia e l'originale tanto vale scegliere quella autentica).

Come dicevo sopra, l'unica strada utile per il Paese sarebbe l'accordo delle forze disponibili per un impegnativo disegno riformista. In questo senso sarebbe utile separare le strade di Berlusconi da quelle di Salvini.
In questa direzione Renzi potrebbe fare molto.
So benissimo che in politica certe cose si fanno ma non si dicono, atteggiamento che può essere perdonato quando in gioco ci sono gli interessi del Paese. Renzi lo sa benissimo. Speriamo che ritrovi quel coraggio e quella lucidità per cui molti italiani lo hanno apprezzato, e che ora sembrano un po' appannati...

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Lucca, 9 settembre 2017

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