logo Fucinaidee

Legge elettorale e non solo: il futuro con lo sguardo verso il passato

di Paolo Razzuoli

Il 9 febbraio la Corte Costituzionale ha rese note le motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 25 gennaio, ha dichiarato la parziale incostituzionalità della legge elettorale nota con l'appellativo di Italicum.
IN quasi cento pagine, di contenuto non certo agevole da leggere per i "non addetti ai lavori", la Corte spiega analiticamente i "perché" di una decisione che, comunque la si veda, peserà non marginalmente sulla nostra vicenda politica per svariati lustri (Cliccare qui per leggere il documento).

Pur trattandosi di materia complessa, in particolar modo per chi come chi scrive non è un giurista, la decisione della Corte mi pare possa suscitare qualche perplessità. Lo dico non solo con il pensiero rivolto a paesi culla dello Stato di diritto, quali la Francia, in cui il ballottaggio è attualmente utilizzato senza che venga percepito come un pericolo per la democrazia. LO dico soprattutto pensando alla nostra Carta Costituzionale, che da una tale previsione elettorale non mi pare venga lesa in alcun suo principio.
In estrema sintesi, la Corte ritiene che il premio di maggioranza è costituzionale ma il ballottaggio è incostituzionale perché può permettere a chi ha avuto pochi voti di ottenere il premio. Questo è vero con una legge tipo quella varata nel 2005 (detta Porcellum); il ballottaggio però è un sistema in cui, se pur in un secondo turno, gli elettori sono chiamati ad esprimersi su due proposte politiche concorrenti. Il suo esito è quindi il risultato di una scelta degli elettori e non il frutto di un meccanismo elettorale disproporzionato.
La sensazione è che la corte abbia voluto, in qualche modo, non discostarsi troppo dall'esito referendario dello scorso 4 dicembre; atteggiamento comprensibile in chiave politica, non altrettanto se guardato con la lente del giudizio strettamente tecnico, cui il massimo organo di garanzia costituzionale è chiamato ad ispirarsi. VA comunque aggiunto che l'Italicum, così com'era, risultava legato al superamento del bicameralismo paritario; dopo la bocciatura della riforma costituzionale è chiaro che le carte vanno messe nuovamente tutte in tavola.

I giudici hanno anche indirettamente risposto all’obiezione che alcuni hanno fatto (fra i quali chi scrive) dopo la pronuncia della sentenza del 25 gennaio, dicendo che dichiarare il ballottaggio incostituzionale avrebbe avuto delle conseguenze anche sulla legge per l’elezione dei sindaci (che prevede il doppio turno). La Consulta dice che il parallelismo non regge e che la disciplina del secondo turno delle comunali è «ben diversa»: alle amministrative l’elezione avviene in maniera diretta, una situazione differente «dalla forma di governo parlamentare prevista dalla Costituzione a livello nazionale».
Sarà, ma attualmente sono in carica sindaci, sostenuti da una maggioranza del 60% del Consiglio Comunale, che al primo turno non sono arrivati al 30% dei suffragi. Certo i Comuni non sono il Parlamento; ma il rispetto dei principi democratici mi pare prescinda dai livelli di governo.

Richiamo ora le modifiche principali prodotte dalla sentenza della Consulta.
La Corte ha trasformato l’Italicum in una legge proporzionale corretta da un ampio premio di maggioranza: ha dichiarato legittimo il premio di maggioranza che garantisce il 55 per cento dei seggi alla lista che raggiunge la soglia del 40 per cento, ma ha bocciato il ballottaggio. Il cosiddetto “premio di governabilità”, dunque, ora scatta solo se si ottiene il 40 per cento dei voti. Se questo non succede, non ci sarà alcun premio e i seggi saranno assegnati in modo proporzionale.
La Corte ha anche modificato il meccanismo delle pluricandidature, che permetteva ai capilista di presentarsi in più di un collegio e scegliere successivamente dove essere eletti. La Corte ha ammesso la possibilità che un candidato possa presentarsi come capolista in più di un collegio, ma ha respinto la possibilità che in caso di vittoria in più collegi fosse lo stesso capolista a scegliere il collegio di elezione. Questo meccanismo avrebbe permesso, di fatto, la decisione sulla nomina di altri deputati. La Corte ha indicato come metodo di scelta il sorteggio.

I nostri lettori sicuramente ricordano che la Consulta, nel comunicato del 25 gennaio, diceva che la legge elettorale come da loro corretta poteva essere immediatamente applicabile: ufficialmente, dunque, in Italia sono in vigore due leggi elettorali piuttosto diverse, una per la Camera e una per il Senato. Se si votasse con questo sistema si potrebbero avere, in astratto, scenari molto diversi: si potrebbe arrivare a una larga maggioranza alla Camera, grazie al premio, o a una Camera molto frammentata se nessuna lista arrivasse al 40 per cento (cosa mai successa dal 1958 a oggi nelle elezioni politiche), mentre il Senato resterebbe frammentato comunque.
Comunque vada, non ci sarebbe da stare allegri, quantomeno per ora. Mi pare infatti realisticamente improbabile che alla Camera qualche partito possa raccogliere il 40% dei consensi; al Senato, comunque, il premio non scatta con le conseguenze agevolmente immaginabili.

Ovviamente la Corte non entra nel merito delle scelte circa la nuova Legge Elettorale. Se lo avesse fatto sarebbe apparso come una impropria ingerenza nella sfera della politica. Tuttavia, l’indicazione più generale della Corte è che è possibile avere due leggi per scegliere in modo diverso deputati e senatori, ma si precisa che la Costituzione «esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee».

La palla è quindi del Parlamento che si è di fatto fermato sull'argomento in attesa delle motivazioni della Consulta. Uno stop che di fatto nasconde l'incapacità di procedere; è il solito giochino: quando non si sa come affrontare un problema, lo si rimanda, adducendo il pretesto che in quel momento sembra più credibile.
Ma i giudici lasciano la politica di fatto a bocca asciutta. La Corte infatti non ordina al Parlamento di uniformare tra loro il ‘mezzo Italicum’ in vigore per la Camera e il Consultellum che al momento regola l’elezione del Senato. Fa semplicemente notare che però qualunque sistema si decida di adottare non deve “ostacolare, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee”.
In altre parole: le maglie per la politica sono molto ampie. La Corte non si assume la responsabilità di decidere: fortunatamente si ritrae dalla bolgia della politica, e questo è un buon segnale per chi ritiene che un fondamentale presuposto della stato di diritto sia il rispetto delle specifiche prerogative dei poteri e degli organismi che li incarnano.

L'interogativo vero riguarda quindi la politica ed il Parlamento: riuscirà a fare una nuova legge Elettorale; ed in caso affermativo riuscirà a fare una Legge Elettorale idonea a garantire la necessaria governabilità?

Non mi pare sussistano i presupposti per una valutazione ottimistica. Come era delresto chiaro nella campagna elettorale referendaria, il fronte del No si presenta estremamente diviso sulla legge Elettorale ed in genere sulla prospettiva di governo. Dato delresto ampiamente confermato anche dalle dichiarazioni di questi giorni degli esponenti più in vista delle forze politiche.
Al di là delle parole, e forse anche della buona volontà di qualcuno non è credibilmente pensabile che il Parlamento riesca a varare una nuova Legge Elettorale capace di garantire quella governabilità di cui il Paese ha bisogno.
Si tornerà ad un sistema di forte impianto proporzionale, che aprirà una stagione di inciuci, di defatiganti trattative, di snervanti ricerca di compromessi, di veti incrociati: insomma, degli ingredienti dell'ingovernabilità. Situazione che non sarebbe peraltro risolta nemmeno con l'adozione di un sistema sulla falsa riga della legge elettorale del 1993, il cui portato è valutabile sulla base dell'esperienza a suo tempo maturata.

Dopo 25 anni, è probabile che si ritorni ad un sistema fortemente somigliante a quello della cosiddetta prima repubblica. Ma non sarà un ritorno al passato: sarà un salto nel buio.
Nella prima repubblica esistevano partiti che, se pur in crisi nell'ultima fase, costituivano strumenti di organizzazione del consenso e di mediazione fra società ed istituzioni. Oggi quei canali e quei filtri non esistono più. immaginate i dirigenti degli attuali partiti come potranno gestire le trattative per la formazione delle maggioranze e dei governi.....
Ma non è tutto qui. Oggi è cambiato il clima culturale, ed anche la Costituzione non è più la stessa, per efetto della riforma del 2001.
Il passato, quello della cosiddetta Prima Repubblica, ha avuto sicvuramente ombre, ma rischiarate da tante zone di luce; un passato che non potrà ripetersi, giacché basato su contesti ormai irripetibili. Il tuffo in questo passato, di cui sembra tingersi il nostro futuro, ne potrà recuperare solo i difetti: quei difetti che la ipotetica Seconda Repubblica si è illusa di superare.

Insomma, la stagione che ci attende non autorizza ottimismi. La riforma costituzionale che gli elettori hanno rifiutato, non sarà certo stata il toccasana dei mali del Paese, ma costituiva un utile presupposto per poterli affrontare. La riforma è stata travolta da un voto che - diciamolo chiaramente - non è stato tanto legato allo specifico oggetto, quanto invece l'espressione di una protesta rispetto a un diffuso malessere che, pur per varie ragioni, serpeggia in ampi strati della società.
La cultura riformista ha dovuto ancora una volta cedere il passo al prevalere del conservatorismo, dei massimalismi, dei corporativismi, dei populismi.
Purtroppo, nel futuro del Paese c'è lo sguardo verso il passato: sfortunatamente verso quel passato, resistentissimo, che è riuscito sempre a tenere all'angolo la cultura liberale e riformista, con il risultato di mettere sempre più a r ischio la capacità del Paese di attrezzarsi per le sfide imposte dalla contemporaneità.

Allegato

Sentenza della Corte Costituzionale n.35 del 25 gennaio 2017

Lucca, 12 febbraio 2017

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina