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Legge elettorale: "Inciucellum", premessa per l'inciucio permanente

di Paolo Razzuoli

Ebbene, la retromarcia che il Paese ha ingranata con il voto referendario dello scorso 4 dicembre inizia a produrre i suoi effetti surreali e psichedelici. Effetti ormai evidenti, ai quali la Corte Costituzionale ha dato una bella mano con la decisione del 25 gennaio sulla Legge elettorale.
Dico effetti evidenti, poiché tali mi appaiono componendo razionalmente il puzle risultante dalla combinazione fra scenario politico e contesto normativo.
Evidentemente vi sono molteplici modi di interpretare gli eventi (il mondo è bello perché è vario); parlando con qualche persona colta ed intelligente mi sono sentito dire che la responsabilità di questo pasticcio risiede nella vicenda della riforma Costituzionale e dell'Italicum: sono rimasto di sasso; veramente surreale!!!

Prendo il via dal terreno più arduo: quello della pronuncia della Corte Costituzionale. Arduo per me che non sono un professionista del diritto, poi anche perché un commento vero presuppone la conoscenza delle motivazioni. Qualcosa tuttavia credo di poter dire. Sul piano sostanziale non so quale profilo di incostituzionalità possa esserci nel ballottaggio. Se incostituzionalità c'e', ne consegue che andrà tirato all'aria il meccanismo per l'elezione dei sindaci e di molti governi regionali, a partire da quello della Toscana, la cui elezione è al momento disciplinata da una legge che prevede il ballottaggio. Naturalmente sul ballottaggio si può essere d'accordo o meno, per ragioni di opportunità politica. Credo però che sia difficile contestarne il profilo di democraticità: lo si usa in democrazie molto più consolidate della nostra, fra cui in Francia, culla dell'Illuminismo, patria di Rousseau, Voltaire, Diderot e D'Alembert. Diceva Sandro Pertini che ciascun vero amante della libertà ha due patrie: la propria e la Francia.
Non vorrei che la Corte si fosse adentrata in valutazioni di ragionevolezza, strada scivolosa per un organo il cui compito è di natura rigorosamente tecnico-giuridica: non sarebbe la prima volta, ed anche questo è un dato del clima surreale in cui vive l'Italia. Un argomento utile per porsi in linea con il risultato referendario: ma questa è valutazione politica, che non riguarda la Corte Costituzionale.

Ma in un Paese normale non deve succedere che la politica, incapace ed impotente, si faccia supplire dalle decisioni del massimo organo di garanzia costituzionale. Purtroppo il copione era già scritto nelle posizioni del fronte del No nella campagna referendaria, uniti nel contrastare la riforma, ma divisi totalmente sulle prospettive.
Pur avendo dichiarato la Corte Costituzionale che l'Italicum "aggiustato" è applicabile, andare al voto con le regole vigenti rende veramente arduo immaginare come il Paese potrà essere governato. Rimane però anche difficile immaginare che un Parlamento, diviso su tutto, possa trovare la capacità e i numeri per offrirci una nuova Legge Elettorale. E' quindi altamente probabile che alle prossime elezioni politiche, (vedremo quando si faranno), si voterà con le regole frutto della legislazione vigente modificata dalle decisioni della Corte Costituzionale del gennaio 2014 e gennaio 2017.

Il sistema risulta di impianto sostanzialmente proporzionale. ci sono, è vero, teoriche speranze di un esito maggioritario legate a due meccanismi miracolosamente sopravvissuti agli interventi della Corte: uno è il premio di maggioranza alla Camera; l’altro sono le soglie di sbarramento al Senato. C’è chi pensa che questi meccanismi possano produrre un esito maggioritario, cioè che possano trasformare una maggioranza relativa di voti in una maggioranza assoluta di seggi nelle due camere. Se ciò accadesse, il problema della governabilità sarebbe risolto. Purtroppo è illusorio. Il premio di maggioranza alla Camera scatta con il 40% dei voti: consenso che nessuna forza politica può realisticamente ottenere. L'esito sarà quindi di impianto proporzionale, con le conseguenze agevolmente immaginabili.

In buona sostanza si ritorna al proporzionale della cosiddetta "Prima Repubblica". Dopo un quarto di secolo di retorica sulla necessità che gli elettori scelgano con il loro voto la maggioranza ed il governo, si torna ad un sistema con cui si affida ai partiti, in base ai voti riportati ed alle loro convenienze politiche, il compito di accordarsi attorno ad una maggioranza e ad una compagine governativa. Insomma, un bel gioco dell'oca, in cui si ritorna al punto di partenza.
Circa i possibili scenari politici, rimando all'interessante contributo di Roberto D'Alimonte, intitolato Nuove regole di voto, governabilità più lontana

Ma attenzione, alla Prima Repubblica non si torna. Si potrà tecnicamente riproporre uno scenario elettorale simile, ma politicamente il contesto è radicalmente cambiato. In un'epoca di straordinaria accelerazione del cambiamento, qual è quella che viviamo, 25 anni costituiscono un'era geologica....

Anzitutto lo scenario politico. Sino al 1992 vi erano partiti che, se pur ultimamente in crisi, erano ancora in grado di organizzare il consenso e di assolvere al ruolo di mediazione fra società ed istituzioni. Oggi i partiti di fatto non esistono più e non si capisce con quale capacità e legittimità possano gestire compiti che solo possono provenire da una chiara legittimazione popolare. Proviamo ad immaginare per un attimo gli attuali protagonisti della politica alle prese con le trattative per la formazione di una maggioranza di governo: prospettiva che fa venire i brividi lungo la schiena.

In secondo luogo c'e' il tema, non certo secondario, della necessità di una maggioranza omogenea nei due rami del Parlamento, identici quanto alle competenze, ma diversi quanto al corpo ed alle regole elettorali. Al tempo della Prima Repubblica l'elettorato era assai statico: spostamenti dell'1, 2% venivano considerati consistenti. Anche la differenza del corpo elettorale, prima 21 poi 18 anni per la Camera, 25 anni per il Senato, non produceva differenze sostanziali. A distanza di un quarto di secolo non è più così; oggi il corpo elettorale è decisamente più mobile, qualcuno direbbe più "liquido", e la spinta al cambiamento accentua in modo non marginale la differenza di mentalità e approccio politico-culturale dei rispettivi corpi elettorali. Aver conservato il bicameralismo paritario è stato sicuramente un grave errore, ma con questo dobbiamo misurarci. Con il sistema elettorale vigente, immaginare maggioranze omogenee nei due rami del Parlamento è veramente difficile.

Non si può nemmeno sottovalutare il problema della differenza costituzionale. Non dimentichiamo che nel 2001 l'allora maggioranza di centro-sinistra approvò, a strettissima maggioranza, la modifica del Titolo quinto, che poi venne confermata da un referendum popolare. Si tratta di una infelicissima scelta, che non casualmente era oggetto della riforma costituzionale recentemente sottoposta a referendum. Ebbene, immaginare la gestione della legislazione concorrente fra Stato e Regioni, come attualmente richiesta, con un quadro politico debole e frammentato, risulta veramente difficile. A farne le spese saranno, come da copione già visto, le scelte strategiche per il Paese, a partire dalle grandi opere pubbliche.

Conclusioni

Non si sa quando si voterà: il dibattito è aperto, ma non si può escludere che prevarranno indicibili interessi di bottega, primo fra tutti la scadenza (mi pare il 15 settembre 2017), in cui i parlamentari neoeletti debbono essere in carica per ottenere il vitalizio. E' probabile che si farà "melina", con tante chiacchiere infruttuose. Mi pare che già ne abbiamo chiaro sentore.
E' quindi ampiamente probabile che si andrà al voto con il sistema elettorale vigente, con un impianto sostanzialmente proporzionale.
E' questa la premessa di una condizione di ingovernabilità e di inciucio permanente. Instabilità politica frutto di trattative continue e defatiganti, rinvii, scambio di ruoli e di poltrone, spinte corporative, veti incrociati, insomma tutto il peggior armamentario della tradizione italiana. Le premesse di un lungo periodo di inciucio, coscientemente voluto dalle corporazioni più forti del Paese, che non casualmente si sono posizionate sul fronte del No al recente referendum.
Ma il Paese ha bisogno di ben altro, per riprendere il suo posto nel contesto globale: ha bisogno di scelte in profondità per recuperare competitività per creare speranza e lavoro per i giovani, ha bisogno di decisioni rapide per restare al passo con uno scenario internazionale in rapido mutamento, ha bisogno di una radicale trasformazione del rapporto fra cittadini e Pubblica Amministrazione, ha bisogno di una politica che sappia decidere in base ad un disegno strategico e non sotto la spinta degli interessi corporativi, ha bisogno di creare le condizioni affinché venga valorizzato il merito e non la logica clientelare, ha bisogno di interventi di ammodernamento infrastrutturali. Scelte nè semplici nè frequentemente indolori, che presuppongono una classe politica credibile e un assetto di governo stabile che possa organizzare la propria azione di progettazione e gestione in un arco di tempo adeguato.
Posto il vezzo di declinare alla latina i nomi delle leggi elettorali, quella attuale mi pare possa essere chiamata "Inciucellum", perche' una stagione di inciucio costituisce il suo prevalente portato politico.

Infine, ma non certo ultimo di importanza, un interrogativo: riuscirà il Parlamento a varare una nuova legge elettorale?
Ovviamente la mia risposta è negativa: credo che il Parlamento non riuscirà a trovare una maggioranza per una nuova legge elettorale, quindi si andrà al voto (quando sarà) con il sistema attualmente vigente. Nella migliore delle ipotesi, l'attuale Parlamento potrà introdurre qualche correttivo marginale, che non ne modificherà l'impianto.
Dopo una stagione che ha alimentato speranze riformatrici, questa legislatura si chiude con un triste tramonto, coerente con la sua malinconica alba, in cui si consumò la nascita del Governo Letta e in cui il Parlamento diede la sconcertante prova di inadeguatezza che costrinse il Presidente emerito e benemerito Giorgio Napolitano ad accettare il secondo mandato.

Nella primavera del 2013 assieme all'amico Antonio Rossetti, elaborammo - un po' per gioco - una proposta di legge elettorale che presentammo in un convegnetto che si tenne il 10 aprile.
Si trattava di un aggiustamento di quella vigente, con l'attribuzione del premio di maggioranza proporzionalmente al consenso ottenuto. In buona sostanza, una proposta coerente con la sentenza della Corte Costituzionale del gennaio 2014. Chi fosse interessato, potrà trovare la documentazione nel materiale pubblicato da questo sito nell'anno 2013.
Il presupposto della nostra operazione non era certo ottimistico. Partiva dalla valutazione che il Parlamento non sarebbe stato in grado di fare una riforma incisiva, quindi si proponeva un mero aggiustamento dell'esistente.
La stagione renziana sembrava darci torto, ma quanto è poi accaduto ci dà purtroppo ragione. Se il Parlamento riuscisse a modificare l'attuale sistema nel senso da noi proposto, forse non risolverebbe il problema della governabilità, ma sicuramente lo agevolerebbe.

Di indole ottimistica, io cerco quando possibile di vedere il bicchiere mezzo pieno. Ora non riesco proprio a vederlo: tutti i ragionamenti mi portano a vederlo mezzo vuoto. In una lunga stagione della politica italiana vedo l'inciucio come tratto dominante: tratto voluto da coloro che con la vittoria del Sì al referendum temevano di perdere il loro potere di interdizione, subìto dai molti giovani che, per altre ragioni, hanno contribuito in modo determinante alla vittoria del No e che, per loro sfortuna, ne pagheranno più di altri le conseguenze.
"Inciucellum": non mi viene in mente modo più chiaro per indicare il tratto della stagione che ci attende, di cui il vigente sistema elettorale per le Camere costituisce la sicura premessa.

Per approfondire

Lucca, 28 gennaio 2017

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