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Risultato elettorale di Azione-Italia Viva: guardiamo il bicchiere mezzo pieno

di Paolo Razzuoli

Non voglio certo nasconderlo: quando i dati sull'esito elettorale sono stati assai definitivi da consentire valutazioni attendibili, ho provato una certa delusione nel dover prendere atto del risultato di Azione-Italia Viva-Calenda. Forse - al pari di tanti altri amici - mi ero illuso sulla possibilità di raggiungere un risultato a due cifre. Forse si è un po' peccato di ottimismo. Forse, sulle ali di una certa euforia, si sono un po' esagerate le valutazioni sui blocchi sociali che potevano sentirsi rappresentati da questa proposta politica.
Va comunque sottolineato che il risultato appare deltutto in linea con le indicazioni dei sondaggi più professionali ed attendibili. Naturalmente non c'è niente di strano a nutrire aspirazioni superiori.

La valutazione tuttavia richiede un'analisi di prospettiva più ampia ed articolata.
Infatti, se il risultato di Azione-Italia Viva dovesse essere considerato solo quale punto di arrivo, il bottino dovrebbe indubbiamente essere considerato magro. La destra ha vinto come previsto, con ampi margini numerici sia alla Camera che al Senato. Naturalmente non sottovaluto le contraddizioni di questa maggioranza, più numerica che politica, che negli anni potrà essere scossa da fattori di instabilità anche dirompenti, con conseguenze di possibili forti cambiamenti del quadro politico. Ma questo è un altro discorso, al momento prematuro; la destra avvierà la sua stagione di governo, e vedremo come si muoverà, con la speranza che voglia temperare lo sfascismo su cui ha fondato la propria campagna elettorale.

Ma sapendo guardare "il bicchiere mezzo pieno" il discorso è totalmente diverso se il risultato del quasi 8% si considera come un punto di partenza di un nuovo percorso-progetto politico.
Una prospettiva che si è materializzata meno di due mesi prima delle elezioni, e a cui si è approdati obiettivamente in modo a dir poco discutibile.
E ciò nonostante, soprattutto nelle zone più produttive ed operose del Paese, è stato capito ed ha ottenuto consensi di tutto rispetto.

L'impresa non era né facile né scontata. In un Paese in cui molti, troppi direi, sono alla ricerca di privilegi, sussidi o prebende invece del buon governo, non era certo facile proporre l'unico programma elettorale che non prometteva "ricchi premi e cotillon". E quali sono le aspirazioni della società italiana si rispecchia benissimo in questo voto, esaminandolo nei dati disaggregati per consensi a partiti e coalizioni come si sono spalmati sui territori.

Come "blocchi di partenza" di un nuovo progetto politico, peraltro chiaramente promesso al corpo elettorale dai due principali suoi rappresentanti, il risultato è di tutto rispetto; è un tesoretto elettorale che impone senso di responsabilità, capacità di guardare in avanti e spirito di servizio.
Chi ha fatto un po' di campagna elettorale fra la gente, sa benissimo che il consenso a questa proposta è stato dato prevalentemente sul presupposto che potesse costituire il primo propellente di un progetto di ispirazione liberal-riformista di cui ampi strati della società italiana, ed in specie i ceti più vivi e produttivi, avvertono la necessità, per sottrarsi alla logica di questo bipopulismo imperante.
Ed ancora, coloro che hanno fatto un po' di campagna elettorale sanno benissimo quanto fosse pressante la domanda "ma Calenda e Renzi cosa faranno dopo le elezioni"?
Un dubbio legittimo, visti i precedenti, che ha costituito un freno ad un più ampio consenso elettorale alla proposta.

Ora sta principalmente a Calenda e Renzi (anche se non solo a loro come sotto dirò), intraprendere la strada giusta per trasformare un cartello elettorale in un nuovo e ben identificabile soggetto politico.
Una strada che dovranno indicare con chiarezza e senza perdite di tempo: "il ferro va battuto quando è caldo".
Un processo che dovrà partire dalla spersonalizzazione del progetto, quindi che non dovrà essere di Calenda o di Renzi, ma che dovrà, proprio a partire dal nome, indicare i suoi ancoraggi politico-culturali: quelli della grande tradizione politica del liberalismo riformista.

E qui introduco un ulteriore dato di riflessione. Si parla continuamente di Renzi e/o Calenda, ed è naturale in una fase in cui il panorama politico italiano, ed in verità non solo quello, è popolato più che da partiti strutturati, da clan personali. Ma è proprio da questo contesto che occorre prendere le distanze. Occorre che, anche prescindendo dalle mosse che gli attuali leader faranno, coloro che credono nella necessità per l'Italia di una forza capace di opporsi al bipopulismo destro e sinistro, facciano sentire la loro voce e, ancor più necessario, sappiano mettere in campo azioni concrete per costruire un vero partito strutturato, in cui si recuperino i normali percorsi di selezione della classe dirigente, nonché quelli della normale legittimazione dei suoi rappresentanti nelle istituzioni.

Ho letto in questi giorni un contributo di Francesco Colucci che auspica una "costituente" per il lancio del partito riformista" indicando nella prossima Leopolda la prima tappa. Un percorso Costituente - dice Colucci - "che inizi subito ma sia lungo e articolato per chiamare alla riflessione e alla raccolta tutte le forze vive della società civile, i giovani, il mondo del lavoro e della cultura, disponibili ad impegnarsi per un rinnovamento della politica, un ritorno alla partecipazione, alle scelte dibattute, per un partito delle intelligenze, del fare e della libertà".
Insomma, occorre certo un impulso "dall'alto", ma è fondamentale anche una spinta "dal basso".

Come già ho scritto in un precedente mio articolo, Piero Calamandrei, alla Assemblea costituente il 4 marzo 1947 disse: «una democrazia non può essere tale se non sono democratici anche i partiti».

Ebbene, forse è anche lì che si annida una delle ragioni della degenerazione della nostra democrazia rappresentativa.
Il modo in cui pensiamo il partito rispecchia il nostro pensiero sulla società. Ispirarsi al pensiero liberale non può essere un'etichetta, di cui in questi decenni più d'uno ha ampiamente abusato.
Ispirarsi ai principi liberali è anzitutto saper esercitare la democrazia, essere tolleranti verso chi la pensa diversamente, dare a tutti uguaglianza di partenza, ricercare la più ampia partecipazione e auspicare il più ampio coinvolgimento, in un quadro di regole certe e condivise.
Avere il coraggio di dar vita ad una forza che - nel contempo - sappia recuperare gli spazi di democrazia dei partiti di massa unitamente all'introduzione di strumenti della modernità: questa è la sfida da vincere per un progetto politico che ambisca a sollevarsi dalla opacità del presente.
Questo è l'unico percorso per dare un senso a traguardi che sembrano ora lontani anni luce: rimettere al centro dell'agenda dei partiti temi quali la formazione politica, la partecipazione vera, processi trasparenti nella selezione della classe dirigente e la sua legittimazione dal basso.
Una forte discontinuità certo, ma è proprio qui la forza del progetto: fare della cultura liberal-riformista un sicuro approdo, ben individuabile, sia nel contenuto che nel metodo.
Ecco che in questa logica anche la scelta del nome riveste una grande importanza: il progetto dovrà infatti indicare con chiarezza il suo tratto identitario con un riferimento esplicito ai suoi ancoraggi politico-culturali. Non avanzo ovviamente proposte, ma credo che il riferimento all'ambito liberal-riformista dovrà essere esplicito.

Un amico, a cui ho confidato la mia valutazione sul risultato elettorale di Azione-Italia Viva, mi ha detto sarcasticamente "chi si accontenta gode". Ebbene, qui non si tratta di accontentarsi per l'immediato, bensì di pensare al futuro. Certo, per l'immediato il risultato poteva essere migliore; per il futuro è una buona base di partenza, che andrà gestita con coraggio e lucidità politica. Chi pensa ad orizzonti futuri non si accontenta mai!
Capacità di guardare in grande senza accontentarsi, doti anzitutto richieste ai due esponenti più in vista del progetto, ma che interpellano tutti coloro che lo ritengono utile per il Paese.
E' il tempo di mobilitare tutte le energie disponibili per il progetto. Le campagne elettorali costituiscono una preziosa occasione per la costruzione di rapporti con singoli e con rappresentanti di categorie. I dirigenti territoriali di Azione e di Italia Viva, unitamente ai candidati, speriamo che sappiano farne tesoro....

Qualcuno mi ha chiesto in merito: "sei ottimista o pessimista"? Sinceramente preferisco non rispondere: troppe sono state le delusioni politiche degli ultimi decenni! Ma chissà, mi viene in mente un detto arabo che più o meno recita: "non disperare, potresti essere ad un'ora dal miracolo".

Non so come andrà a finire, ma so per certo che questa è un'occasione preziosa.
Pertanto, a chi può lavorare per costruire il progetto mi piace, conclusivamente, ricordare un monito di Aldo Moro:
"Di occasioni mancate si può anche morire".

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Lucca, 29 settembre 2022

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