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La lezione argentina che dovrebbero apprendere i sostenitori del premierato elettivo

di Mario Lavia

In un mondo in cui dominano ancora il populismo e la spettacolarizzazione della politica, affidare al popolo la scelta di un leader (uomo o donna) solo al comando è un rischio che l’Italia non può correre

Il vento populista sospinto da una gravissima crisi economica ha dunque portato al potere in Argentina questo personaggio inquietante che si chiama Javier Milei, ultraliberista di destra, uno che ha tra i suoi slogan «la libertà, cazzo». Su El loco, il matto, si è già scritto molto, le frasi assurde, la motosega e via dicendo, tutto un armamentario che non ne fa – come dire – uno proprio affidabile. Ma il popolo lo ha votato. Ha scelto Barabba e com’è noto non è la prima volta.

 

Matteo Salvini si è precipitato a congratularsi con un certo entusiasmo, tanto per far capire, se ce ne fosse ancora bisogno, da che parte sta. Probabilmente il Beppe Grillo dei bei tempi, quello tecnicamente eversivo, avrebbe fatto lo stesso: la motosega del nuovo presidente argentino è sorella dell’apriscatole dei grillini. Giorgia Meloni gli ha inviato i suoi auguri ma questa è prassi istituzionale anche se probabilmente scontenta non è.

 

La vittoria di Milei segna un altro punto a favore del populismo nella sua versione più sfrenata, quella sudamericana appunto, siamo pur sempre nel paese di Juan Carlos Peron che al confronto era un signore moderato. Un grande Paese, l’Argentina, al quale gli italiani non possono non essere legati che tranne qualche breve parentesi non è mai riuscito a mettersi sui binari di una solida democrazia moderna.

 

In questa epoca pericolosa come mai nella storia recente affidare al popolo la scelta di un uomo solo al comando è un rischio. È vero che Viktor Orbán non è eletto direttamente eppure è un reazionario che tutto controlla. Ma appare per fortuna un’eccezione.

 

Negli Stati Uniti un eversivo come Donald Trump ha fatto quello che ha fatto per tentare di prendere tutto il potere, e non ce l’ha fatta perché gli Stati Uniti hanno contrappesi fortissimi. In una fase storica di disorientamento morale oltre che politico in senso stretto la tentazione di massa di portare al potere una persona a cui conferire, di fatto, il potere sostanziale è un pericolo mortale.

 

Come ha scritto Sergio Fabbrini sul Sole24Ore del 12 novembre, «i leader della nuova destra hanno sferrato un attacco senza precedenti all’impianto liberale delle nostre società», mentre il mondo libero combatte contemporaneamente due guerre per la libertà e ombre reazionarie si allungano ovunque. Non pare il caso di mollare nemmeno di un centimetro.

 

In questo contesto dominato dal populismo come effetto della crisi e della spettacolarizzazione mediatica della politica, il pasticcio del premierato, sul quale anche a destra ogni giorno emergono dubbi, comporta un serio rischio: che l’inscindibile nesso diretto tra popolo e premier tagli fuori o riduca di molto la funzione equilibratrice del Parlamento e degli organi di garanzia, in primis della presidenza della Repubblica.

 

L’Italia ovviamente non è l’Argentina. Oggi, almeno. Ma se si mettesse in moto una dinamica che sminuisse il potere del Capo dello Stato e riducesse, ancora più di quanto sia oggi, il ruolo del Parlamento a passacarte del governo, ecco che si sarebbe imboccata la china che porterebbe a un embrione di regime autoritario.

 

Il problema non è il popolo. Non si può dire, come ha fatto un giornale progressista argentino, che «il popolo ha sbagliato». Il problema è che abbiamo un panorama di classi dirigenti culturalmente scarse entro il quale può facilmente maturare l’emersione del Personaggio, del Leader che si autocandida a essere “forte” nel rapporto diretto con gli elettori bypassando la funzione selezionatrice e calmieratrice dei partiti. Sono dinamiche che, mutatis mutandis, abbiamo conosciuto cento anni fa.

 

È probabile che negli anni scorsi anche la sinistra abbia esagerato con l’esaltazione della leadership la cui funzione nella politica contemporanea ovviamente nessuno può sminuire ma che va calata in un quadro di regole e di limiti. Il premierato della destra rischia di travalicare quei limiti. Ed è un rischio che non si può correre. La lezione argentina di El loco forse qualcosa può insegnare.

(da www.linchiesta.it - 21 novembre 2023)

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