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Congresso di Italia Viva : un contributo alla riflessione di Luigi Marattin

a cura di Paolo Razzuoli

Il primo Congresso di Italia Viva sarà sicuramente un evento destinato a pesare - oltre che sulla storia del partito - sull'evoluzione degli scenari politici nazionali. Credo sia importante seguirne la traiettoria, posto che si tratta di una forza che si muove in quel solco delle forze liberal-riformiste a cui guardano ampi strati della società italiana, ed al quale anch'io guardo.

Alla vigilia del Congresso, Luigi Marattin ha elaborata Un’ampia e seria riflessione sugli obiettivi e sulle ambizioni di Italia Viva.
Ha tuttavia specificato però che non si tratta di una mozione, non è neanche un appello o un manifesto politico, infatti non verrà aperto alle sottoscrizioni. È una riflessione approfondita che ha l’obiettivo e l’ambizione di contribuire a rendere «più libera e forte la comunità politica di Italia Viva nel momento in cui affronta il suo primo appuntamento congressuale».

Marattin sosterrà la candidatura di Matteo Renzi alla presidenza del partito dicendo fra l'altro: «La più grande intelligenza politica che il nostro paese ha vissuto negli ultimi decenni, e ha ancora molto da dare all’Italia e all’Europa».

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Ritengo interessante la lettura integrale del documento. Comunque, avvalendomi anche di una sintesi pubblicata da www.linchiesta.it, eccone alcuni punti.

Per Italia Viva è il primo congresso a quattro anni dalla fondazione e non sono certamente stati anni tranquilli: la pandemia, la fine del "Conte 2", il Governo Draghi, gli attacchi della Magistratura, le elezioni del 2022, il difficile ed accidentato tentativo di costruzione del Terzo Polo che aveva alimentato tante speranze poi andate deluse. Quel dato elettorale, 7,8 per cento, sembrava un punto di partenza, l’inizio di qualcosa di più grande. A dicembre 2022 avrebbe dovuto costituirsi la Federazione tra Italia Viva e Azione, con un comitato politico che si riuniva settimanalmente e guidava proficuamente non solo l’attività politica quotidiana ma anche il graduale processo di unificazione dei due partiti e delle due comunità. Ma dopo pochi mesi, nell’aprile 2023, il percorso si è interrotto, proprio alle porte di un congresso fondativo del nuovo partito dei liberal-democratici. «La rottura del Terzo Polo, in ultima analisi, deriva da una mancanza di fiducia reciproca tra alcuni dei contraenti quel patto. E senza fiducia, non esiste intrapresa umana che possa essere condotta», scrive Marattin.

La lunga riflessione di Marattin, una ventina di pagine in tutto, ripercorre la storia politica e partitica d’Italia, fa un’analisi sull’impatto del renzismo sulla politica italiana fin dalle sue origini. Ma non rinuncia a un’analisi critica, che sommariamente riassume nella domanda: cos’è andato storto? La risposta è principalmente in due punti. Il primo è un concorso di colpa, assieme a quasi tutto il resto della classe politica italiana degli ultimi trent’anni: aver strutturato l’azione politica tralasciando quasi completamente quella partitica, considerandola superflua. «Nel momento in cui la rivoluzione digitale ha disintermediato quasi completamente il circuito dell’informazione politica, si è creduto che il raccordo bidirezionale tra leadership politica ed elettorato potesse essere affidato quasi esclusivamente alla comunicazione d’impatto tramite social network e all’immagine del leader», dice il deputato di Italia Viva. E quindi – questo è il secondo punto – si è trasformato il vincolo di appartenenza a un progetto politico esclusivamente in un rapporto di riconoscenza al leader.

Riprendendo un tema più volte trattato su questo sito, Marattin sottolinea che L’offerta politica liberal-democratica può essere più di questo legame piatto e vuoto di contenuti. La politica non può limitarsi a essere uno stadio con due curve guidate dai populismi che scandiscono slogan ritmati: può essere invece un’agorà in cui si sfidano visioni alternative sul passato e sul futuro della società italiana.

L’idea di Marattin è costruire, o ricostruire, un’offerta politica che sia certamente liberista, ma non un’utopia in cui si annulla del tutto lo Stato. «I liberal-democratici credono che nelle società moderne e in Italia – dove lo Stato è stato più spesso il problema di quanto non sia stato la soluzione – il potere pubblico debba fare non bene ma in maniera eccellente i compiti a cui è principalmente preposto: garantire un’istruzione di base e superiore a tutti, l’accesso universale ad un efficiente servizio sanitario, una rete di infrastrutture digitali e di trasporto, una efficiente ed efficace definizione e raccolta del gettito fiscale, la difesa del territorio e il mantenimento dell’ordine pubblico, amministrare la giustizia e il sistema carcerario, tutelare il futuro delle giovani generazioni mantenendo in ordine i conti pubblici e l’ambiente, preservare la concorrenza e le pari opportunità, garantire un welfare delle opportunità e non dell’assistenza, organizzare in modo efficiente e snello la pubblica amministrazione».
Per farlo serve un partito che abbia al suo interno diversi elementi, in grado però di convivere in perfetto equilibrio e riconoscenza reciproca: un leader, una classe dirigente, una visione di società e una organizzazione.

Parte integrante dell’organizzazione è la comunicazione in cui coinvolgere i dirigenti responsabili, diffondere i contenuti lungo la struttura territoriale in modo omogeneo, gestire le esposizioni mediatiche sulla base dell’efficacia. Un partito ha organismi dirigenti snelli, operativi ma regolarmente funzionanti.
Il “partito popolare”, proposto da Marattin è quello che sa (anche) stare al bar, ma non per uniformarsi al linguaggio e alle opinioni che trova, ma per alimentarsi del contatto con le persone, con la loro autenticità e la loro quotidianità e non rinuncia alla funzione pedagogica che una volta avevano i grandi partiti.

Occorre poi un meccanismo strutturato e rodato di formazione e selezione della classe dirigente. «I nostri quattro giorni di “scuola di formazione” – dice Marattin – sono bellissimi e utilissimi. Noi ci distinguiamo dai populisti perché crediamo fortemente nel valore della formazione, del merito e della competenza anche da parte di chi fa politica».

La visione di società è la carta di identità del partito e non può essere totalizzante, né rigida. «Nel partito che in questa sede si vuole sognare, una volta stabilita una visione di società e i valori che ci tengono insieme, se arriva uno che crede nel suo contrario ma si offre di portare in dote qualche migliaio di voti, lo si manda gentilmente a fare…un giro. Perché si potrà – forse – guadagnare quel migliaio di voti, ma se ne perdono decine di migliaia di chi alla politica chiede coerenza e serietà».

Coloro che condividono questo set di valori e principi sono al momento sparsi in quasi tutti i partiti, ma sono silenti e timidi perché imprigionati nelle catene di un bipolarismo finto e mediocre. L’obiettivo politico di Italia Viva deve essere allora quello di proseguire il percorso di riunione di tutti i liberaldemocratici e riformisti italiani in un’unica comunità politica, e in uno stesso partito.

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Lucca, 26 settembre 2023

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