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Si celebreranno domani martedì 26 settembre i funerali di Stato di Giorgio Napolitano, scomparso venerdì 22 settembre a 98 anni. Si celebreranno in forma laica

a Montecitorio alle 11.30.

La camera ardente del Presidente emerito della Repubblica è stata allestita

presso la sala Caduti di Nassirya del Senato della Repubblica, Palazzo Madama, nel rispetto dei seguenti orari di apertura: ieri domenica 24 settembre, dalle

ore 11 alle ore 18; oggi lunedì 25 settembre, dalle ore 10 alle ore 16.

Nella giornata di ieri hanno portato il loro omaggio le più alte cariche dello Stato ed i principali rappresentanti del mondo politico. Anche il Pontefice ha voluto portare il suo omaggio al Presidente Emerito.

 Nell’arco dell’intera giornata di ieri, ci sono state lunghe file di cittadini, dinanzi a Palazzo Madama, per l’ultimo saluto al Presidente Emerito. Sicuramente si ripeteranno anche nella giornata odierna. 

Le esequie di Stato civili (come è previsto per gli ex presidenti della Repubblica, delle Camere, del Consiglio e della Corte Costituzionale) si terranno - come detto - domani martedì, alle ore 11:30, nell’Aula della Camera dei Deputati, palazzo Montecitorio, e saranno trasmesse in diretta televisiva su Rai 1 e su maxi-schermi

appositamente predisposti in piazza del Parlamento.

Il quadrilatero su cui si affaccia la Camera dei deputati è stato teatro anche delle esequie laiche di Nilde Iotti, partigiana e prima presidente della

Camera donna, nel 1999, e di Pietro Ingrao, storico esponente della sinistra, nel 2015. Il sottosegretario di Stato Alfredo Mantovano ha disposto, oltre

ai funerali di Stato, il lutto nazionale. Fino alla fine della celebrazione di addio a Napolitano, il tricolore e la bandiera europea sventoleranno a mezz’asta,

in segno di lutto, sugli edifici pubblici dell’intero territorio nazionale e sulle sedi delle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane all’estero.

Il cerimoniale di Stato ha regole precise per i funerali di Stato: prevede il feretro contornato da sei carabinieri in alta uniforme, onori militari al feretro all’ingresso del luogo della cerimonia e all’uscita, la presenza di un rappresentante del Governo (ma in questo caso ci sarà anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella), una orazione commemorativa ufficiale.

           Sul profilo politico di Giorgio Napoletano, propongo una riflessione di Mario Lavia.

 

Paolo Razzuoli

 

 

Napolitano signore della politica con un unico limite: l'eccessiva prudenza nel (non) scendere in campo

 

di Mario Lavia

 

Era la scuola comunista che lo spingeva ad essere così felpato, anche troppo, e anche un limite personale, la paura di rompere più che quella di perdere

 

Giorgio Napolitano ha un posto d'onore nella lunga e tormentata vicenda della sinistra italiana, essendone stato per decenni un protagonista anche se mai in posizione di leader. Un grande dirigente di minoranza, si dovrebbe dire, anche se ai tempi e nel luogo (il Partito comunista italiano) dove agiva non prevedevano certo maggioranze e minoranze. Ma chi conosceva il Pci sapeva benissimo, ovviamente lui per primo, che le posizioni della “destra”, cioè dell'area riformista, erano minoritarie in un partito che malgrado tutte le evoluzioni restò fino alla fine ancora legato all'idea della sua superiorità morale e più in generale ostacolato da un impaccio nei confronti dell'idea di governo di un Paese complesso come il nostro. Napolitano, sulla scorta del suo maestro Giorgio Amendola, combatté dall'interno per fare del Pci appunto un partito di governo, dunque aperto alle alleanze politiche (i socialisti in primis), per introdurre quelle riforme che gradualmente migliorassero le condizioni dei cittadini italiani (di qui l'etichetta di “miglioristi” alla sua componente negli anni Ottanta), vincendo settarismi ed estremismi di ogni tipo.

 

Avrebbe potuto diventare segretario del Pci due volte, Napolitano, ma fu proprio lo stigma antiriformista a precludergli questa possibilità, una prima volta quando gli fu preferito Enrico Berlinguer e poi alla morte di questi quando si scelse il continuismo di Alessandro Natta (fu Luciano Lama a fare il nome di Napolitano) ma non era ancora l'epoca delle sfide a viso aperto, per quelle bisognerà aspettare il 1994 con la gara fra Massimo D'Alema e Walter Veltroni vinta dal primo. In questa sommaria ricostruzione c'è il vero limite di Giorgio Napolitano: la sua eccessiva prudenza nel (non) scendere in campo. Era la scuola comunista che lo spingeva ad essere così felpato, anche troppo, e anche un limite personale, la paura di rompere più che quella di perdere.

 

Fatto sta che alla fine il riformismo della “destra” non fece mai una battaglia sino in fondo, così che l'esito del dopo-Ottantanove paradossalmente non portò laddove era logico portasse, cioè alla socialdemocrazia di tipo europeo ma ad un nuovo partito – il Pds – che molto somigliava al vecchio pur rivestito di tratti “liberal” nemmeno troppo definiti. Ma allora per Napolitano si apriva un'altra fase della sua vita politica, quella dell'uomo di Stato, presidente della Camera, europarlamentare, ministro, infine Presidente della Repubblica. Eppure anche in questa seconda fase del suo impegno Napolitano portava la sostanza del suo riformismo, e instancabile fu l'azione per aiutare quel processo riformatore, innanzi tutto delle istituzioni, che non andò mai a buon fine per l'incapacità della politica, ivi compresa la lentezza, come minimo, del centrosinistra che tanto lo faceva penare, come ben sanno i protagonisti dell'Ulivo e i successivi dirigenti spesso richiamati anche duramente dal Capo dello Stato durante il suo “novennato” al Colle.

 

Ebbe ragione, Giorgio Napolitano? O lo dobbiamo considerare, alla fine, uno sconfitto? Fu Piero Fassino, allora segretario dei Ds, a tributare all'uomo politico napoletano il merito di aver visto le cose prima degli altri, e lo fece nel congresso dove i Ds si sciolsero in vista della formazione del Pd: l'applauso a quel passaggio del discorso di Fassino fu così caloroso che lo stesso Napolitano ne fu sorpreso. Ma era proprio così, lui aveva indicato l'orizzonte riformista molto prima di tutti gli altri, che vi giunsero anni e anni dopo, quando forse era troppo tardi. Ma fu anche isolato, e combattuto, da sinistra e da una destra che sotto l'impeto di Silvio Berlusconi ne fece un bersaglio costante, al quale peraltro resistette sempre con senso delle istituzioni.

Barack Obama rimase colpito dalla forza del presidente italiano che tanto lo apprezzava. Un uomo coerente, Giorgio Napolitano, un signore della politica, uno che aveva capito molte cose prima del tempo, che è il segno tipico del riformista autentico.

 

(da IL Riformista - 23 settembre 2023)

 

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