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L’incomprensibile smania contro Renzi e la sfida del Centro

di Mario Lavia

Non si capisce l’accanimento contro un partito minoritario nei numeri, ma con la tensione a essere influente nella politica italiana ed europea

«Don Ciccio moderò il galoppo della smania, tirò le redini allo scalpitare della rabbia». A differenza di Ciccio Ingravallo, il protagonista del Pasticciaccio di Carlo Emilio Gadda, la collega Daniela Ranieri, eccezionale hater di Matteo Renzi, non riuscirà mai a moderare il suo proprio galoppo della smania, e infatti ha scritto sul Fatto il suo milionesimo pezzo contro il leader di Italia viva vomitante astio avvolto nelle spire dell’odio. Ranieri pone, anzi rinnova, una questione che ha intrigato osservatori meno indiavolati di lei: perché si parla tanto di un politico che ha il due per cento?

 

Lasciando stare il due per cento, cioè se sarà così o no, andiamo al punto azzardando qualche ipotesi tutto sommato non cervellotica: è probabile che si parli tanto di Renzi perché la maggioranza del Paese, tra astenuti, pezzi rilevantissimi della sinistra e (meno) della destra, ritiene che l’attuale quadro politico faccia abbastanza pena, sia dal versante di un governo non in grado di offrire una prospettiva seria sia da quello di una sinistra ferma alla propaganda e nel migliore dei casi alla testimonianza.

 

È naturale che ci si chieda, essendo grossomodo questa la situazione, se possano maturare delle alternative per correggerla: e in questo quadro è abbastanza inevitabile, anche per chi lo detesta, interrogarsi su Renzi, su quello che fa e su quello che potrebbe fare, perché Renzi è a detta di tutti, a partire dal Fatto, un politico imprevedibile, scaltro, veloce (non sono apprezzamenti in sé ma dati di fatto che si possono leggere in vari modi).

 

Non è irrilevante poi il fatto che Italia viva (e anche Azione, infatti si parla molto spesso, anche il Fatto, di Carlo Calenda) si trovino in mezzo a due corazzate che fanno acqua in parecchi punti e le cui derive potrebbero smuovere onde nuove per nuovi vascelli. Si può benissimo sostenere che a fare naufragio sarà proprio Renzi considerando velleitario il proposito di scardinare il bipopulismo dall’esterno e non invece lavorando nel gorgo delle contraddizioni del centrosinistra, che è comunque il campo a lui più consono. È questa una bella discussione che c’è da sperare si faccia al congresso di Iv sempre che esso non si riduca ad una passerella autocelebrativa: se qualcuno ha qualcosa da dire lo faccia adesso ormai più, viene da dire.

 

Comunque la strada di Renzi non si può dire che non sia chiara: da solo contro tutti per mettere una qualche zeppa nel sistema italiano e portare a Bruxelles una truppa riformista legata a Emmanuel Macron, il quale potrà anche non piacere ma non si può negare che è e che sarà un protagonista di primissimo piano della politica europea al pari dei socialisti, popolari, conservatori eccetera.

 

Inoltre ci si chiede se Renzi in questa legislatura possa giocare un ruolo che, malgrado le chiacchiere, non può essere che quello di mettere in difficoltà Giorgia Meloni, dato che le elucubrazioni su Italia viva come stampella del governo è roba buona per chi non ha di meglio da scrivere, mica per altro se non per il semplice fatto che questo governo ha i numeri dalla sua parte, dunque o cadrà per un disastro politico o andrà avanti fino alla fine della legislatura: non sembra esserci spazio per trucchetti e ribaltoni. Ma invece per la politica lo spazio c’è. Renzi scommette sulla incapacità di Giorgia Meloni e la speculare incapacità di Elly Schlein, su questo doppio fallimento conta per giocare le sue carte.

 

Ce la farà, non ce la farà? Per il momento non si può far altro che discuterne, e non sottrarsi a una vera disamina politica che è poi quella che si è detta: può esistere un Centro (si chiamerà così la lista renziana alle Europee) in un sistema che psicologicamente è tornato saldamente bipolare?

 

Psicologicamente abbiamo detto e non a caso dato che alle Europee vige il proporzionale, dunque obiettivamente appare la consultazione migliore per una forza piccola. Lo ha spiegato il professor Roberto D’Alimonte: «Renzi oggi gode di maggior credito in Europa che in Italia. Pensa di poter far bene a Strasburgo e usare la sua credibilità in quella sede per avere più influenza a Roma. Secondo, usando un brand nuovo, Il Centro, pensa di avere maggiori possibilità di rosicchiare voti a Pd e Fi e quindi sperare di arrivare alla soglia del quattro per cento che il vecchio brand, Italia Viva, rischia di non superare». Meglio sarà se questo Centro non sarà un tram sul quale traghettare esperienze politiche del passato perché la lista dovrebbe rappresentare una novità in modo da intercettare le insoddisfazioni degli elettori moderati sia di destra che di sinistra stufi delle politiche muscolari della coppia GiorgiaElly.

 

Una forza piccola, che male c’è? Da decenni i gruppettari di sinistra nelle loro incalcolabili trasformazioni di sigle sono risultate sempre forze piccole o piccolissime e nessuno gli rimprovera di perseverare: perché a Renzi dovrebbe essere impedito di metter su una forza di dimensione ridotta (ed evitiamo qui paragoni con il Partito repubblicano italiano di Ugo La Malfa o i radicali di Marco Pannella o lo stesso Partito socialista italiano di Francesco De Martino: tutti partiti onorabilissimi)? Cosa ci sia di politicamente riprovevole nel costituire una forza di testimonianza, minoritaria nei numeri ma con la tensione a essere influente nella società e nella politica non è stato sinora spiegato, o non l’abbiamo colto noi.

 

Naturalmente Matteo Renzi deve fare i conti con problemi che non sono solo quelli legati da quella «astiosa gelosia» (Pasticciaccio) che circonda la sua persona ma anche e soprattutto con un garbuglio non da poco: convincere un pezzo di elettorato che il suo è un tentativo che vale la pena di compiere con un lavoro paziente, anche dal basso, coinvolgente, aperto, trasparente e non solo imperniato sulla sua persona, mantenendo aperto quel discorso riformista e progressista che sembra una candela che va spegnendosi dopo l’ultimo guizzo di Mario Draghi. Quel discorso che oggi manca all’Italia. Ne sarà capace, Matteo Renzi?

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