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Al Pil italiano serve una scossa perché è finito l'effetto Draghi

 

di Marco Fortis

 

I dati dell'Istat, che ha rivisto al ribasso la dinamica del PIL italiano nel secondo trimestre, costituiscono un campanello d'allarme e devono far riflettere.

Ecco perchè.

 

L'Istat ha rivisto al ribasso la dinamica del PIL italiano nel secondo trimestre rispetto alla prima stima preliminare e lo ha fatto sia in termini congiunturali

(da -0,3% a -0,4% sul primo trimestre 2023), sia in termini tendenziali (da +0,6% a +0,4% sullo stesso trimestre dello scorso anno). Questi dati costituiscono un campanello d'allarme e devono far riflettere. Non tanto per il confronto puntuale con l'andamento delle altre principali economie europee nel secondo trimestre di quest'anno, che ci vede più in affanno rispetto ad esse. Infatti, nel periodo aprile-giugno 2023 la Francia è cresciuta dello 0,5% rispetto al trimestre precedente, la Spagna dello 0,4%, il Regno Unito dello 0,2% e persino la malandata Germania ha fatto registrare una crescita nulla, pari allo 0%, ma non negativa come la nostra. L'Italia è dunque tornata ad essere il “fanalino di coda” in Europa? Nient'affatto.

Le statistiche dicono chiaramente che, nonostante la battuta d'arresto del secondo trimestre di quest'anno, l'Italia è il grande Paese europeo la cui economia si è ripresa più vigorosamente dopo la pandemia. Infatti, confrontando il secondo trimestre 2023 con l'ultimo trimestre 2019, antecedente il Covid-19, il PIL italiano risulta aumentato del 2,1%, quello francese dell'1,7%, quello spagnolo solo dello 0,4% e quello tedesco ancor meno, soltanto dello 0,2%.

Mentre il PIL del Regno Unito, a seguito di rettifiche in corso rispetto a stime precedenti assai più negative, potrebbe attestarsi all'esito degli aggiornamenti trimestrali più o meno in linea con la crescita cumulata del PIL francese. L'Italia, dunque, resta saldamente in testa per intensità della ripresa negli ultimi tre anni. Senza contare che il buon progresso del PIL della Francia nel secondo trimestre di quest'anno è stato spinto in modo anomalo dal commercio estero (grazie anche alla vendita di un super piroscafo), che la Spagna in questo momento sta andando finalmente andando bene ma è ancora molto indietro rispetto a noi e che, infine, la crescita nulla della Germania nel secondo trimestre 2023 è certamente stata migliore del nostro -0,4% ma veniva da due trimestri consecutivi in calo. No, non è questo il punto.

Ciò che ci deve preoccupare è il segnale di fondo che emerge dai negativi dati Istat del nostro secondo trimestre. Innanzitutto c'è un problema interpretativo dei dati, non analizzati sufficientemente nei primi commenti. Infatti, il calo dello 0,4% del PIL italiano non è dipeso affatto, come si poteva temere, da un crollo dei consumi privati, come conseguenza di quel “caro prezzi” che è stato un po' il tormentone che i media ci hanno propinato negli ultimi mesi.

Infatti nel periodo aprile-giugno i consumi delle famiglie e delle istituzioni non profit in Italia non hanno certamente fatto faville, ma sono rimasti sui livelli dei tre mesi precedenti, con una crescita nulla, cioè non sono andati alla deriva. Addirittura, se confrontiamo i dati tendenziali, i consumi privati in Italia sono cresciuti dell'1,3% in un anno rispetto al secondo trimestre 2022, mentre quelli spagnoli sono aumentati solo dello 0,5% e quelli tedeschi e francesi sono diminuiti, rispettivamente, dello 0,5% e dello 0,6%. Merito anche di quella difesa del potere d'acquisto delle famiglie iniziata dal governo Draghi e poi proseguita dal governo Meloni.

Tuttavia è altrettanto evidente che in termini di politica economica il governo Meloni ha però fatto ben poco altro. Esauritosi l'“effetto Draghi”, il nostro

PIL ha dunque perso velocità. Ridimensionare gli eccessivi superbonus edilizi è stato certamente giusto ma l'attuale governo non ha finora fornito risposte adeguate su come dare continuità all'impetuoso ciclo degli investimenti privati innescato dal Piano Industria 4.0 mentre l'impatto sugli investimenti pubblici e privati del PNRR è ancora tutto da decifrare. Le statistiche sul PIL italiano del secondo trimestre sono pertanto di difficile interpretazione e nello stesso tempo inquietano perché non si vede al momento un sentiero preciso di strategia economica a medio-lungo termine per il dopo Draghi. L'inquietudine potrebbe essere ridimensionata da un recupero del PIL nel terzo trimestre, magari spinto dal turismo. Ma siamo nel campo delle ipotesi. Allo stato, la crescita acquisita dal PIL italiano dopo due trimestri è stata ridimensionata al +0,7%. Per carità, è sempre un buon dato. Infatti la Francia è a +0,8%, la Germania è addirittura a -0,2%. Ma è chiaro che se nei mesi scorsi perfino le istituzioni internazionali tradizionalmente con noi più severe erano arrivate a prevedere per l'Italia una crescita nel 2023 tra l'1,2% e l'1,3%, ora forse dovremo accontentarci dell'1% originariamente ipotizzato dal DEF.

Una attenta lettura dei contributi settoriali al PIL italiano del secondo trimestre dell'anno non contribuisce affatto a chiarirci le idee o a tranquillizzarci.

Infatti come siamo arrivati al -0,4% rispetto al primo trimestre? Non è stata colpa dei consumi privati, come già detto in precedenza. Non è stata nemmeno colpa del commercio estero, perché anche l'apporto della domanda estera netta è stato neutrale, mentre vi è stato un contributo positivo dello 0,3% dell'aumento delle scorte. Il -0,4% origina quindi principalmente da altre due voci: un contributo negativo dello 0,4% degli investimenti fissi lordi e un altro sempre negativo dello 0,3% della spesa delle pubbliche amministrazioni.

Accertato che gli investimenti in macchinari e mezzi di trasporto hanno sostanzialmente tenuto, nonostante l'esaurimento/ridimensionamento degli incentivi 4.0, e scontato un calo congiunturale del 3,4% degli investimenti in abitazioni dopo lo stop dei superbonus edilizi, resta da capire perché siano calati del 3,8% pure gli investimenti nell'edilizia non residenziale ed altre opere, mentre anche la spesa delle amministrazioni pubbliche è diminuita contemporaneamente dell'1,6%. Nello stesso periodo, in Spagna la spesa delle AP è invece cresciuta dell'1,5% e gli investimenti in edilizia non residenziale e altre opere sono aumentati addirittura del 12,9%, sostenendo in modo importante una crescita già acquisita per il 2023 dal PIL iberico del 2% dopo due soli trimestri.

In definitiva, in una fase in cui l'apporto del settore pubblico al PIL nei Paesi più beneficiari dei fondi europei originati dal piano Next Generation

EU dovrebbe essere non trascurabile, non sembrano dunque per ora vedersi in Italia effetti neanche lontanamente paragonabili a quelli che stanno attualmente rilanciando il PIL spagnolo. Soltanto i dati economici del terzo e quarto trimestre potranno forse dirci se il PNRR italiano si sta finalmente muovendo o rimarrà un fantasma imprigionato nel castello del sistema politico-burocratico italiano.

 

(da Il Riformista – 5 dicembre 2023)

 

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