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Concorrenza, la vera «grande riforma»

 

di Angelo Panebianco

 

Imporre il principio significa colpire al cuore l'Italia corporativa, l'Italia dei gruppi monopolistici, grandi e piccoli, che si avvantaggiano delle barriere (statali) che la bloccano

 

 

Èpossibile che l'effetto più pericoloso dell'intervento del governo sulle banche (sul quale, comunque, diversi economisti competenti hanno dato un giudizio negativo) sia il fatto di avere legittimato — sdoganato, se si preferisce — l'espressione «extra-profitti». Fior di addetti alla comunicazione se ne sono impadroniti e la usano dando a intendere di sapere di che cosa stanno parlando. Il rischio è grosso. Nel momento in cui entra, per restarci, nel nostro malandato e approssimativo lessico politico, la suddetta espressione, è breve il passo che porta a designare come «extra- profitti» quelli di qualunque azienda capace di fare il suo mestiere, ossia di guadagnare e magari anche di guadagnare tanto. In un Paese ove le propensioni populiste sono così diffuse, a destra come a sinistra, ove tanti continuano a diffidare del mercato , ci vuole poco per ritrovarsi in una situazione nella quale , superata una certa soglia di utili (arbitrariamente definita) , gli utili in più vengano dichiarati «extra» e quindi illeciti: una misura dello sfruttamento del popolo. Dal momento che sarebbe la politica, applaudita dai settori più populisti dell'opinione pubblica, a decidere quale sia la soglia al di là della quale scatterebbe l'illecito guadagno. Bisogna ricordare che fra tutti i Paesi europei l'Italia è quello che ha, ha sempre avuto, le più forti affinità culturali con certi Paesi dell'America Latina.

 

L'America Latina è la patria del populismo anti-mercato. È un attimo e ci si ritrova, se non in Venezuela, quanto meno in Argentina. Giorgia Meloni, come le riconoscono anche gli avversari, è una leader di qualità. Dovrebbe mostrarsi ancora più ambiziosa di quanto già non sia. Prima che termini (e inevitabilmente prima o poi terminerà) la luna di miele fra il suo governo e la parte del Paese che l'ha votata, ella dovrebbe decidersi a innescare sul serio una grande trasformazione. Dovrebbe decidere, con uno strappo autentico rispetto alla sua personale storia politica, di legare il suo governo a un solo, fondamentale, obiettivo: imporre il principio della concorrenza in tutti i settori nei quali la concorrenza non c'è o è insufficiente. Con un sicuro vantaggio per il

«popolo»(la grande platea dei consumatori) e a danno di ristrette minoranze che prosperano grazie alla protezione dello Stato. Imporre il principio della concorrenza significa colpire al cuore l'Italia corporativa, l'Italia dei gruppi monopolistici, grandi e piccoli, che si avvantaggiano delle barriere (statali) che bloccano la concorrenza.

 

Quello dei taxi è solo un caso. Il più visibile, il più appariscente. Proprio perché il governo non è stato capace di aggredire il male alla radice, la

«soluzione» da esso offerta è risultata un palliativo, una non-soluzione. Eppure c'è una parte del popolo, quella composta dagli utenti dei taxi, che aspetta, come se fosse il Messia, un governo che finalmente decida la piena liberalizzazione del settore.

 

Ma è solo un caso e un esempio. L'Italia corporativa allunga i suoi tentacoli ovunque, in tanti ambiti della vita economica e sociale. Anche se molte corporazioni precedono l'avvento del fascismo, fu il regime fascista a dare loro riconoscimento e forza politica. È una eredità che la Repubblica, in ampia misura, si è tenuta ben stretta. Il riconoscimento dell'importanza fondamentale della concorrenza per garantire il benessere collettivo non ha mai fatto davvero presa né nella classe dirigente né nell'opinione pubblica.

 

Oltre a tutto, consideri Meloni che se scegliesse questa strada ne deriverebbe una conseguenza paradossale. In quel caso, sarebbero infatti settori della sinistra, probabilmente, a prendere le difese di strutture corporative di derivazione fascista. Per essi, infatti, il babau si chiama «liberismo». Ciò che intendono per liberismo è semplicemente il mercato concorrenziale.

 

L'obiezione a quanto scritto è ovvia, scontata: si tratta di wishful thinking, scambiare i propri sogni per realtà. Una ingenuità, insomma. È un fatto che siamo tutti quanti condizionati dalla nostra personale storia passata e non fanno eccezione coloro che ora occupano ruoli di governo, Meloni e i suoi collaboratori.

E il governo, anche se si è fin qui mosso (banche e tariffe aeree escluse) con una certa prudenza, sembra piuttosto interessato a rilanciare e a rinvigorire lo statalismo, la presenza dello Stato in tutti i settori che esso definisce «strategici», piuttosto che a favorire la concorrenza dei privati. Diciamo che il governo potrebbe, quanto meno, scegliere la strada del compromesso: una volta definiti e delimitati i settori in cui, a ragione o a torto, ritiene che il controllo statale risponda a ciò che esso definisce «interesse nazionale», potrebbe favorire l'affermazione piena del principio di concorrenza in tutti gli altri ambiti.

 

Certamente l'Italia corporativa si ribellerebbe e Meloni perderebbe voti. Ma forse ne guadagnerebbe ancora di più: da parte di quei consumatori che, in un settore o nell'altro, grazie alla concorrenza, percepirebbero il vantaggio, in termini di migliori servizi nonché di prezzi meno esosi. È nota l'obiezione: l'Italia corporativa è composta da minoranze coese, organizzate e ricche di risorse. Le minoranze coese di solito sconfiggono le maggioranze disorganizzate

(i consumatori). È spesso vero ma non sempre. Se fosse vero sempre non avverrebbero mai cambiamenti.

 

È ben conosciuta la distinzione fra la «Costituzione formale» (un documento scritto) e la «Costituzione materiale» (il modo in cui è concretamente organizzata la vita pubblica di un Paese). La proposta/ bandiera di Meloni e il suo partito è la riforma della Costituzione formale: il presidenzialismo. Ma se ella volesse davvero perseguire tale progetto scatenerebbe ferocissimi conflitti, spaccherebbe il Paese ancora più di quanto non sia oggi spaccato. E i risultati sarebbero comunque assai incerti. Difficoltà per difficoltà perché non puntare invece a una meta persino più impegnativa, ossia modificare,in un aspetto essenziale, la Costituzione materiale della Repubblica? Sposare il principio di concorrenza e smantellare le gabbie corporative significa innescare una grande trasformazione non solo economica ma anche sociale e culturale. Ma serve davvero molta ambizione.

 

(dal Corriere della Sera – 21 agosto 2023)

 

 

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