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IL partito di cui l’Italia ha bisogno: alcune idee non richieste - ma spero gradite - offerte a Italia viva

 

Di Paolo Razzuoli

 

Ho seguito in streaming l’assemblea di Italia Viva tenutasi a Napoli il giorno 10 giugno scorso.

Il dato più significativo emerso dall’assise, direi che è la decisione di avviare la fase congressuale per la costruzione di un partito vero. Ovviamente non posso che plaudire a questa scelta, posto che la ricostruzione di partiti veri è stata tante volte da me sottolineata – ed in verità anche da molti altri - come strada maestra per il rilancio della politica.    

Ovviamente il contenitore “partito” va riempito con contenuti politici chiari, e sul punto gli interventi ascoltati nell’incontro partenopeo mi sono sembrati assai vaghi.

Molti si sono focalizzati sulla vocazione “riformista” dell’auspicato nascente partito, ma il “riformismo”, che è certo una tradizione ed una prassi politica, va riempito con contenuti chiari e ben aderenti alle sfide della contemporaneità. In caso contrario si cade nella retorica o nell’evanescenza.    

E su tale versante mi pare che la strada da percorrere sia assai lunga ed ardua, e che non sia poi così agevole comporre in un disegno sintetico ed unitario le varie sensibilità coinvolte – o coinvolgibili - nel progetto.

Ma ho sentito tanta passione e questo è un buon viatico.

Il grande HEGEL ci dice:

  “Niente di grande è stato fatto al mondo senza il contributo della

passione”.

 Ci sono poi alcune scelte che non riesco a capire quale, ad esempio, il “sindaco d’Italia”; qualcuno a fatto sentire la sua contrarietà anche nell’incontro.

Sul punto richiamo gli articoli recentemente pubblicati su questo sito.

Poi c’è il tema della legge elettorale; per ragioni tante volte richiamate, lo spazio politico di una forza alternativa al bipopulismo di destra e di sinistra è legato ad un sistema elettorale proporzionale che possa assegnargli uno spazio di interlocuzione e mediazione politico-parlamentare. Non capisco il silenzio su questo fondamentale aspetto.    

  Il tema dell’assise è stato: “365 giorni all’alba,in vista delle elezioni europee 2024”, con la mente ed il cuore rivolti quindi al 9 giugno 2024, data delle prossime elezioni europee.

Quindi si gira la clessidra e parte il percorso di avvicinamento a quella data simbolo, che dovrà trovare il partito attrezzato per affrontarla, non solo nella dimensione organizzativa ma, credo ancor più, nella sfera dell’elaborazione dei contenuti politici. A quest’ultimo proposito, è facile immaginare che la scomparsa di Silvio Berlusconi metta in moto un rimescolamento di carte, non solo nel centrodestra. E’ altamente probabile che si sgretoli ciò che è rimasto di Forza Italia, e apertissima è la partita di chi riuscirà ad ereditarne, forse meglio dire intercettarne, l’elettorato. Una opportunità per Italia Viva, purché venga definito senza ambiguità il suo profilo liberal-riformista. Dovrà essere un profilo chiaro e coraggioso; un profilo che marchi l’originalità della proposta, senza annacquamenti che possano farne una copia di altre. L’esperienza insegna: fra le copie e gli originali, l’elettorato sceglie gli originali.

Renzi ha parlato di un risultato a due cifre: un obiettivo ambizioso ma, forse, non impossibile se si traccerà un percorso chiaro sia in termini di organizzazione che di contenuto politico.

In questi anni questo percorso non è stato certo lineare, anzi è stato deludente, e non è detto che nei prossimi mesi non si inceppi. Qualche segnale in questa direzione non si è fatto attendere; la nomina di un coordinatore nazionale ad assemblea terminata non è certo un buon segno, così come appare poco comprensibile che si vogliano eleggere nella fase congressuale gli organi territoriali, rimandando a dopo le europee l’elezione di quelli nazionali. Ho visto che anche autorevoli esponenti di IV hanno espresso simili perplessità, e sono lieto di trovarmi in loro compagnia.     

Nel febbraio del 2020 si tenne un’assemblea a Roma alla quale partecipai, proponendo un intervento che, a distanza di 3 anni, mantiene purtroppo tutta la sua attualità: non certo un buon segno, che attesta che niente è cambiato da allora rispetto alle grandi vere sfide della politica. E’ invece cambiato molto lo scenario; tanto per rinfrescarci un po’ la memoria, in quel febbraio 2020 Conte presiedeva il suo secondo governo, ed il Pd aveva quale segretario Nicola Zingaretti, che definì lo stesso Conte “riferimento fortissimo di tutti i progressisti”.   

   Proponendo il testo come mio contributo (ovviamente da indipendente) al percorso congressuale di Italia Viva, mi piace sottolinearne due elementi. Il primo è la necessità della costruzione di un vero partito, e ora sembrerebbe che ci siamo, salvo smentite. L’altro, sempre riconnesso con questo, è la necessità di costruire una forza strutturata e radicata ad una autentica visione politica, che sappia sopravvivere ai fondatori. Ebbene, Renzi nella replica, in un passaggio dedicato alla classe dirigente del futuro partito, ha detto “che sappiano rottamare anche noi”.

Insomma, a tre anni di distanza, sembrerebbe che le mie idee non fossero poi così peregrine.

Propongo il testo senza alcuna modifica. Mancano conseguentemente (ad esempio) riferimenti al PNRR, alla guerra in Ucraina, alla pandemia, alle recenti vicende del fenomeno immigratorio, a Calenda, a Giorgia Meloni ed al vigente scenario di governo e altri fatti attuali come il dibattito attorno al tema della cosiddetta “gestazione per altri”. Ma a parte vari passaggi legati allo specifico contesto di allora, mi pare che il testo dell’intervento politico e le proposte programmatiche allegate ancora conservino (ribadisco purtroppo), tutti i requisiti della più stringente attualità, quantomeno nel suo impianto complessivo.   

Offro ad Italia Viva queste idee perché solo in quello spazio politico-culturale possono rivelarsi utili per contribuire alla costruzione di un progetto politico.

Idee non richieste, ma spero comunque gradite. Se poi mi sarà richiesto, sarò ben lieto di confrontarmi su di esse e di attualizzarle.

 

 

(Intervento proposto all’Assemblea di Italia Viva – Roma, 1-2 febbraio 2020)

 

    Cari amici di Italia Viva,

    Per comprendere i tratti della vicenda politica nazionale sono indispensabili alcuni rapidissimi presupposti storici, quali strumenti indispensabili per interpretare le dinamiche del presente.

    Dal 1993, hanno del referendum che segnò la fine del sistema dei partiti che sino ad allora aveva contraddistinto la nostra storia repubblicana, sono sorti in Italia numerosi partiti e partitini, ma in massima parte si è trattato di forze leaderistiche, mancanti di radicamento territoriale e di procedure

democratiche per la selezione della classe dirigente.

    Sono stati in buona sostanza strumenti legati alle esigenze personali del leader, che si è circondato di Yes-man, in una logica feudale legata all’obbedienza. Ciò ha contribuito a accentuare il processo di distacco dalla politica dell’opinione pubblica, peraltro già in atto anche per altre ragioni di indole più generale, contribuendo alla caduta di qualità della classe dirigente che è oggi sotto gli occhi di tutti.

 

    Credo quindi che il rilancio della politica non possa passare che attraverso partiti che sappiano darsi regole certe per l’individuazione dei contenuti a tutti i livelli, che sappiano darsi regole certe per la selezione della classe dirigente privilegiando il merito e non l’obbedienza, che sappiano nuovamente radicarsi al territorio, ovviamente avendo ben presenti le nuove frontiere della tecnologia e della comunicazione.

    E questo dovrà essere per Italia Viva un chiaro elemento di discontinuità col passato. Dovrà essere la prima sfida da vincere: quella cioè di creare un progetto politico con le carte in regola per sopravvivere a coloro che lo hanno fondato.    

 

    Il secondo ordine di problemi è quello della rappresentanza delle culture politiche e dei blocchi sociali.

 

Saltati ormai i tradizionali riferimenti novecenteschi, la difficoltà della politica è quella di riuscire ad interpretare le sfide del futuro, in un orizzonte che sappia rassicurare sul presente e, nello stesso tempo, riesca ad individuare un percorso prospettico.

 

    Direi che quattro sono le sfide che la politica non potrà più eludere: la globalizzazione, le migrazioni, la digitalizzazione, i cambiamenti climatici.

Temi su cui non servono vuote retoriche, bensì capacità di sintesi politica che, è inevitabile, comporterà anche problemi di consenso elettorale. Circostanza che induce più di qualche dubbio sulla capacità di affrontare i problemi in profondità, da parte di una classe politica che, direi fisiologicamente, è guidata dalla ricerca del consenso immediato; quella che in altre occasioni ho chiamata la “dittatura del presente”.

 

   Una complessità di scenari che sta portando, non solo in Italia, ad una radicalizzazione politica stimolata dalla difficoltà di guardare in avanti, rispetto alle quattro sfide che ho sopra indicate.

    Una difficoltà insomma che sembra privilegiare più il ripiegamento sul passato rispetto allo sforzo della ricerca di nuove frontiere politiche coerenti con la novità di un futuro che sembra incutere paura.

 

    Ed ecco che questo ritorno indietro si esprime in una radicalizzazione su posizioni nostalgiche, da un lato il sovranismo nazionalista, dall’altro il recupero di una ideologia legata a temi di una sinistra ormai definitivamente tramontata e sconfessata dalla storia.

 

   La dimensione di questo fenomeno, il cui tarlo sta anche corrodendo democrazie consolidate quali quella nord-americana e quella inglese, lo rende particolarmente

inquietante.

 

In Italia vi è di più: ovvero l’assenza di rappresentanza politica di una importante componente equilibratrice del sistema politico, qual è quella liberal-democratica.

Componente di cui molti si sono serviti in questi decenni (vedi Forza Italia), ma l’abuso di riferimenti ad essa è sembrato più un omaggio ad una moda che non una consapevolezza politico-culturale e la ricerca di coerenza con essa nell’azione politica.

 

    Non è quindi casuale che da noi non sia mai veramente iniziata una vera stagione maggioritaria dell’alternanza, che presuppone una reciproca legittimazione, sotto queste latitudini mai avvenuta.  In Italia, terra di forti condizionamenti corporativi, il liberal-riformismo non ha trovato terreno particolarmente fertile. A parole nessuno ama definirsi conservatore, ma nella sostanza il conservatorismo è riuscito, sinora, a bloccare ogni serio tentativo riformatore (vedi referendum del 2016).

 

    Ma da allora gli scenari sono cambiati. Le spinte populiste, del resto da noi ampiamente presenti un po’ in ogni fase della nostra storia unitaria, hanno fatto un significativo balzo in avanti, giungendo al governo del Paese, e riducendo lo spazio politico di quelle componenti che, se pur con difficoltà, avevano in precedenza cercato di porsi in funzione equilibratrice del pur traballante sistema.

 

    Ma vi è dell’altro. Attualmente, assistiamo ad una “infezione” populista anche di una forza come il Pd che, al di là di come se ne valuti l’azione politica, aveva costituito un presidio della democrazia e delle istituzioni repubblicane.

 

    Almeno in teoria, anche analizzando in modo non fazioso il risultato delle recenti elezioni regionali, dovrebbe esserci una importante fetta di elettorato attualmente orfana di rappresentanza politica: orfana perché in Italia manca una forza capace di proporsi con un credibile disegno liberal-riformista; orfana poiché la radicalizzazione degli schieramenti politici ed il cedimento verso posizioni populiste dei partiti diciamo “tradizionali”, li rende incoerenti come sbocchi idonei ad incorporare i tratti di tale cultura politica.

 

  Naturalmente nell’azione politica i numeri sono della massima importanza; quindi si pone il tema delle alleanze. In questa fase non ritengo possibile andare oltre la considerazione che il faro della nostra azione penso debba essere la chiarezza programmatica, scavando solchi invalicabili con chi si muove su direttrici valoriali incompatibili, e cercando di allargare il campo il più possibile con coloro che condividono il nostro percorso.    

 

    Amici, ci troviamo qui per lanciare una nuova esperienza, quella di “Italia viva”, che speriamo possa prendere il largo, anche grazie alla guida di un profilo di grande esperienza politica qual è Matteo Renzi.

 

    Naturalmente, non volendo cedere a facili illusioni, dobbiamo essere consapevoli di interrogativi che il tempo si incaricherà di sciogliere:

 

- Italia Viva sarà in grado di creare un vero partito radicato sul territorio, con metodi trasparenti di selezione della classe dirigente, che privilegino il merito e non l’obbedienza?

 

- Italia Viva sarà in grado di assumere il profilo di un movimento che sappia valorizzare al meglio le potenzialità delle dimensioni locali quali laboratori di esperienze politiche originali, da intendersi anche quali banchi di prova capaci eventualmente di proiettarsi nella dimensione nazionale?

 

- Sarà in grado Italia Viva di superare i recinti degli immediati tatticismi in favore di scelte di ampio orizzonte, anche se in un primo momento dovessero tradursi in sacrifici di consensi?

 

- Sarà in grado Italia Viva di proporsi al Paese con un disegno riformista complessivo che agisca in profondità sui mali cronici del nostro sistema paese?

 

- In altre parole, Italia Viva troverà la forza di sapersi svincolare dalla “dittatura del presente”, in favore di una strategia che, mentre riesca a rassicurare sui timori dell’oggi, sappia far sognare per il domani?

 

      Sono sfide gigantesche, che richiedono coraggio, equilibrio, lungimiranza. Sono le sfide che segnano il confine fra i politicanti e gli statisti.

    De Gasperi diceva che la differenza fra un politico ed uno statista è che il politico pensa alle prossime elezioni mentre lo statista pensa alle prossime generazioni.

    Amici, in Italia, e non solo, c’è un grande bisogno di statisti, nel senso indicato da De Gasperi.

    E’ questa la sfida tremenda che siamo chiamati a combattere e, speriamo, a vincere.

    Una sfida che passa - anzitutto per una nuova capacità progettuale, che sappia immaginare un modello di Paese per i prossimi decenni.

    Per questo – raccogliendo peraltro lo spirito di questo nostro incontro, propongo alcune idee di un progetto di Paese che offro quale mio contributo al lavoro politico di questa nuova esperienza. Non potendo illustrarle in questo intervento per ragioni di tempo, consegno il testo alla presidenza dell’assemblea. 

 

    Machiavelli ci ammonisce che la fortuna va cavalcata con la virtù. Ebbene, non sappiamo se il tortuoso cammino della storia ci favorirà o meno. Sappiamo però che possiamo aiutarne gli esiti, con il nostro impegno e con la nostra capacità di lettura politica del tempo che viviamo.

Un impegno che deve anzitutto partire dalla consapevolezza che non siamo qui per delegare qualcuno, anche se abbiamo la fortuna di avere una guida forte, intelligente ed abile.

Ma siamo qui per assicurargli l’impegno di tutti, corale, robusto.

Anche perché in Italia dovrà affrontare qualche fatica supplementare: il grande Ennio Flaiano ebbe infatti a dire che “gli italiani sono disposti a perdonare tutto fuorché il talento”.   

        E’ questo il senso della nostra presenza a questa assemblea.

   

    Amici, buon lavoro e viva “Italia Viva”.

   


Allegato

 

Idee per un disegno riformista per l'Italia

 

Paolo Razzuoli

 

1.     Il Paese non potra' ritrovare una stagione di crescita, anzi non potra' nemmeno salvarsi, senza l'abbattimento del debito. Una zavorra gonfiata in decenni di scelte scellerate i cui costi sono stati progressivamente scaricati su figli e nipoti. La riduzione del debito non è obiettivo facile, giacché potrà essere ottenuta solo mediante scelte strutturali di grande impatto sul Paese, che solo una politica forte e credibile potrà compiere. Nella breve prospettiva, un po' di ossigeno potrà venire dallo sfruttamento del patrimonio pubblico, che potrà essere alienato stando però ben attenti di non svenderlo.

 

2.     L'assenza di lavoro e' la piu' drammatica emergenza del Paese. La riforma del mercato del lavoro varata dal Governo Renzi qualche effetto positivo sembrava averlo prodotto. Oggi stiamo attraversando una stagione controriformista anche nelle politiche del lavoro, e le conseguenze negative stanno emergendo, come anche i recenti dati Istat attestano. Ciò detto, sicuramente anche le riforme del Governo Renzi non bastano. Non si potranno creare nuovi posti di lavoro senza riduzioni significative del costo del lavoro ed in particolare del cuneo fiscale (anche se non solo, soprattutto per le imprese), unitamente ad una modernizzazione delle regole del sistema. Vanno ripensate le politiche attive del lavoro e gli ammortizzatori sociali, fra cui la Cassa Integrazione Guadagni che va riportata alla funzione originaria: quella cioè di sostegno al reddito per aziende momentaneamente in difficoltà, e non per sostenere situazioni decotte che mai potranno recuperare capacità produttive. Fondamentale è la tutela della dignità del lavoro attraverso:

1)     fissazione di parametri che evitino situazioni di sfruttamento incompatibili con la nostra civiltà;

2)     individuazione di strumenti repressivi rapidi, semplici ed efficaci, per combattere eventuali abusi. Va comunque ripensato il ruolo dei sindacati, riconducendolo nell’alveo di quanto indicato nell’Art.39 della Costituzione.

 

3.     Avvio di un vasto programma per l'occupazione femminile attuabile, al di la' delle varie retoriche sul tema, accrescendo sensibilmente le necessarie strutture sociali, in testa gli asili nido. Andra' poi disegnata una concreta politica per la famiglia, nel cui seno prevedere i coerenti sgravi fiscali.

 

4.     Una incisiva riforma pensionistica che, mentre deve garantire Pensioni decorose per tutti, non abbia timore nel contempo ad operare tagli più aggressivi alle pensioni d'oro (e ai troppi regali dello Stato).

 

 

5.     Poiche' l'Italia, coerentemente con la propria tradizione di attenzione ai diritti, deve garantire la sanità per tutti, non e' piu' eludibile un serio e concreto intervento per riqualificarne, e per quanto possibile, ridurne i costi. In questa prospettiva, dobbiamo tagliare gli sprechi e togliere molte delle competenze alle Regioni.

 

6.     Creando vere condizioni affinche' Meritocrazia, valutazione e trasparenza totale siano le parole d'ordine per ridisegnare la pubblica amministrazione. In buona sostanza: "Chi sbaglia paga, e chi e' bravo viene premiato".

 

 

7.     Incisiva azione di riforma del sistema scolastico e formativo in genere, andando oltre le pur lodevoli direttrici della Legge n.107/2015, PURTROPPO depotenziata già dalla sua prima applicazione, depotenziamento peraltro proseguito con i successivi governi. Occorre attivare serie procedure di valutazione delle performance quindi superando l'attuale autoreferenzialita', introducendo criteri di premialita' al merito, operando seriamente per un collegamento sempre piu' stretto fra la formazione e le esigenze dei territori.

 

8.     E' ora di stipulare un nuovo patto fiscale fra istituzioni e cittadini, basato su una nuova politica che impegni tutti a pagare in base alle loro possibilita', e nel contempo lo Stato a render conto con la massima trasparenza della destinazione del denaro pubblico. Oltre ad una riduzione della pressione fiscale, partendo dal costo del lavoro, è necessaria una complessiva riorganizzazione delle procedure, in modo da semplificare il rapporto di cittadini ed imprese con il fisco.

L’attuazione di una nuova politica fiscale, profilata come indicato, costituirebbe un vettore formidabile per riannodare il rapporto fiduciario fra Stato e cittadini.

 

9.     E' indispensabile l'avvio di una vera politica di liberalizzazioni, condizione necessaria per dar fiato alle energie per fortuna ancora vitali del nostro tessuto sociale. Liberalizzazioni intese anche come liberazione dai tanti vincoli creati ormai da quasi un cinquantennio di invasione ai danni della societa' perpetrata dal perverso intreccio fra politica e burocrazia. La liberalizzazione non deve essere piu' vista come qualcosa da temere e da allontanare.

Non è un feticcio ma una necessità per la ripresa del Paese.

 

10. Nonostante l’esito del referendum del 4 dicembre 2016, è giunto il tempo di riprendere il tema della Profonda revisione del sistema degli strumenti di governo dello Stato e del complesso delle istituzioni del governo locale, riprendendo le riforme a suo tempo varate, modificandone i contenuti ove consigliato dall’esperienza nel frattempo maturata, prevedendo altre razionalizzazioni e accelerando sensibilmente sugli accorpamenti fra Comuni. Tema delicato e complicato, ma dalla cui soluzione discendono efficacia e efficienza della Pubblica Amministrazione, slancio alla ripresa, reale diminuzione dei costi della politica. E’ da sottolineare che, pur nel contesto costituzionale vigente, sussistono ampi strumenti di intervento la cui attivazione presuppone certo una seria volontà politica.

 

11. Riforma della Giustizia, civile e penale, per rendere il sistema coerente con gli standard piu' avanzati dell'Unione Europea . In Italia è pregnante il tema del ritorno ad un autentico stato di diritto. In tale prospettiva, pur nella salvaguardia dell’indipendenza del potere giudiziario, la separazione delle carriere e degli organi di autogoverno fra magistratura inquirente e magistratura giudicante è imprescindibile.

 

 

12. Seria politica dell'immigrazione, soprattutto con riferimento all'immigrazione per ragioni economiche, distante tanto dagli atteggiamenti muscolari e populisti della destra, quanto dal buonismo e/o ideologismo di certo mondo cattolico e della sinistra, entrambi inidonei ad affrontare un fenomeno di estrema complessità e dimensioni. L'immigrazione richiede la messa in campo di grandi capacità di visione politica e di solida credibilità in ambito internazionale.

L'Italia ha sicuramente ragione nel chiedere la solidarietà europea ma, nel contempo, deve saper proporre politiche razionali unitamente alla capacità di risultare credibile nel sapersi far carico degli impegni assunti. In questo orizzonte potranno certo essere presi accordi con i paesi di provenienza degli immigrati economici, ed il nostro paese potrà giocare una partita decisiva per l'intera Unione Europea. La profonda revisione dell’accordo di Dublino è un passaggio fondamentale per sancire una nuova assunzione di responsabilità in ambito europeo.

 

13. L'immenso patrimonio artistico-culturale e paesaggistico-ambientale italiano potrà, se adeguatamente gestito mediante politiche lungimiranti e non ideologiche, offrire formidabili opportunità di sviluppo in un mondo sempre più globalizzato e interconnesso. Negli ultimi anni qualche segnale nella giusta direzione è arrivato: occorre andare oltre, prendendo a modello esempi virtuosi ampiamente disponibili in molti paesi europei che riescono a trarre profitti da patrimoni ben inferiori quanto a qualità e dimensioni. Da noi il tema risulta particolarmente delicato e di difficile soluzione, sia in ragione della necessità di superare certi tabù ideologici consolidatisi in decenni di supremazia della sinistra nella società politica, sia in ragione della frammentazione e sovrapposizione delle competenze fra i vari livelli di governo. La riforma costituzionale rigettata con il recente referendum conteneva elementi utili; se ci sarà la volontà politica, potranno essere recuperati nell'ambito della ridefinizione dello scenario normativo di settore.

Comunque, anche qui è un problema di qualità e non di quantità. Non è vero che in Italia non si investono risorse nella cultura; il tema vero è che si investono di sovente per alimentare clientele politiche e non per costruire veri progetti di sviluppo del settore. Non raramente le spese culturali assumono in Italia più la connotazione di costi aggiuntivi della politica che non il profilo di veri investimenti di ampio respiro culturale. Occorre quindi un radicale cambio di passo.

 

14. Tema delicatissimo è quello della riforma della burocrazia, di cui tutti parlano, ma in modo sostanzialmente evanescente. La situazione della burocrazia italiana non è frutto del caso, ed affonda le radici nella vicenda unitaria della nazione, a partire dai suoi primi passi. Non a caso già il sessantennio di governo liberale è stato definito "Governo burocratico dello Stato". Burocrazia e politica (e negli ultimi decenni anche sindacato) si sono infatti reciprocamente sostenuti ed alimentati, mediante uno scellerato patto con il quale si sono distribuiti vantaggi reciproci. Mettere le mani in questo vespaio vuole sicuramente dire prendersi tante punture velenose; nel mondo di pavidi ed irresponsabili che affollano la politica italiana, non si vede chi possa avere il coraggio di farlo. Concretamente, un grosso risultato verrebbe sostituendo il silenzio rifiuto, che attualmente vige nel rapporto fra cittadino e burocrazia, con il silenzio assenso. Sarebbe una grande scelta di civiltà giuridica, che potrà dare dignità di cittadini a coloro che oggi la burocrazia considera come sudditi. Sarebbe anche un forte elemento di impulso alla crescita economica, poiché ogni intervento di efficientamento del sistema si traduce in qualche punto di PIL.

 

15. La riforma Costituzionale votata dal Parlamento che prevede la riduzione del numero dei parlamentari, è monca se non si accompagna ad altre riforme finalizzate a creare le condizioni per una autentica democrazia governante.

Oltre a riprendere il tema delle riforme istituzionali, come già indicato al punto 10, è indispensabile affrontare il tema della riforma della Legge Elettorale, senza ipocrisie, mettendo a frutto l’esperienza maturata negli ultimi decenni. Ciò premesso, penso che sia giunto il tempo di prendere atto che in Italia non funzionano i sistemi elettorali maggioritari. Pertanto, anche se con sacrificio di posizioni precedentemente espresse, penso si debba tornare ad una Legge Elettorale di impianto proporzionale, con sbarramento, ridando dignità al concetto di mediazione che, troppo frettolosamente, abbiamo scambiato con l’inciucio.

 

16. Mettere in campo provvedimenti atti a sconfiggere la diffusa corruzione, in una prospettiva di oggettività e senza ipocrisie e/o presunzioni di superiorità morale, smettendola con la logica del rigore per l'avversario e di indulgenza per l'amico.

 

17. Ripensare radicalmente la politica della ricerca in una prospettiva che, pur senza sminuire il ruolo della ricerca di base, incentivi la ricerca applicata, per favorire nuovi sbocchi competitivi del sistema industriale italiano. Un modello di riferimento potrebbe essere quello tedesco di Fraunhofer-Gesellschaft.

 

18. Sviluppare una seria politica estera, con particolare attenzione ai temi europei, contribuendo con decisione allo sviluppo di azioni capaci di imprimere una spinta in avanti al processo di integrazione. Una politica che dovrà essere costruita senza ambiguità e senza ipocrisie. Se infatti appare sicuramente corretta la richiesta di revisione di varie politiche comunitarie, non ci si può nascondere che la politica italiana ha cercato di scaricare sugli organi di Bruxelles proprie inadeguatezze e proprie pavvidità, in tal modo massimizzando i danni: perdita di credibilità nello scenario internazionale e, sul fronte interno, aiuto alla diffusione di mentalità anti-europea che andrà ad ingrossare il bottino elettorale dei partiti sovranisti. L'Italia potrà giocare un ruolo importante nel percorso che l'Europa è chiamata a percorrere; il presupposto indispensabile sarà quello di recuperare una autentica credibilità internazionale, oggi molto compromessa.

 

 

19. La sfida ambientale è una delle più importanti e complesse che attende la politica. VA saputa affrontare in modo lungimirante, evitando di cadere nella logica della retorica, e dei lacci delle spinte ideologiche. E’ inevitabile che le attività antropiche incidano sull’ambiente; occorre saperne rendere compatibili gli effetti con la tutela delle risorse del pianeta, pensando alle prossime generazioni. Vanno però evitati crinali anti-industriali, al pari di atteggiamenti dettati da cedimenti a spinte emotive, retoriche ed irrazionali, confliggenti con l’equilibrio e la razionalità con cui vanno governati fenomeni di tale complessità. La necessità di scelte prospettiche, rendono assolutamente inutili, anzi dannosi, interventi spot quali ad esempio quello della tassazione degli involucri di plastica, con i quali, ipocritamente, si vorrebbe attribuire una patente di scelta green ad una determinazione dettata esclusivamente dalla volontà di fare un po’ di cassa, a danno dei disarmati consumatori.

 

20. Infine, ma non certo per ultimo di importanza, una fondamentale questione di metodo. I punti elencati vanno affrontati globalmente, non solo perche' parziali riforme non sono sufficienti, ma perche' solo nell'ambito di un complessivo e riconoscibile disegno riformatore, si puo' sperare che la societa' italiana possa riconoscersi, superando il ben noto e cronico arroccamento alla difesa degli interessi di parte e/o di corporazione, il piu' tenace ostacolo sul quale si sono sinora infrante anche le piu' timide aspirazioni riformatrici.

 

Lucca, 15 giugno 2023

 

 

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