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La realtà e il voto: finzioni a destra e a sinistra

 

Di Angelo Panebianco

 

Nelle democrazie «destra» e «sinistra» sono degli utili segna-posti. Grazie ad essi, l’elettore può scegliere, a seconda dei suoi gusti e delle sue inclinazioni,

dove andarsi a sedere (per chi votare). Ma non significano sempre e dappertutto la stessa cosa. Le persone possono dare, e normalmente danno, significati

diversi a queste parole. Variano inoltre l’intensità con cui ci si identifica con la destra o con la sinistra nonché il grado di avversione che si nutre

per chi ha scelto l’etichetta opposta, l’opposto segna-posto.

 

Approssimativamente, gli elettori sono di due tipi. La larga maggioranza ha solo una blanda e vaga identificazione con la destra o con la sinistra. La ragione

è che il grosso degli elettori non vota, quando vota, spinto da chissà quale trasporto ideale. A schiacciante maggioranza, vota in un modo o nell’altro

sulla base di una valutazione (approssimativa, all’ingrosso) su quale sia , per ciascuno, il voto più conveniente. Ad esempio, nel caso italiano, chi non

vuole perdere il reddito di cittadinanza facilmente voterà 5Stelle, chi fa un lavoro dipendente penserà che forse gli conviene votare per il Pd, il grosso

degli artigiani o dei liberi professionisti si distribuirà fra i partiti di destra, eccetera. Ma poi c’è un secondo tipo di elettore. È la minoranza dei

politicizzati (di destra e di sinistra). Questa ridotta minoranza è importantissima.

 

Perché è quella che condiziona toni, stile e anche molti contenuti delle campagne elettorali. È questa minoranza che i leader incontrano quando girano per

il Paese, è soprattutto con costoro che interloquiscono sui social. Non si può arrivare a dire che i leader ne siano prigionieri ma di certo leader e minoranza

politicizzata si influenzano a vicenda. Sono qualità e caratteristiche della minoranza politicizzata a decidere se le elezioni manterranno il carattere

di una civile e sobria competizione democratica oppure se si trasformeranno in un giudizio di Dio. Con Trump, l’assalto a Capitol Hill e ciò che ne è seguito,

gli americani, trainati dalla minoranza politicizzata, si sono incamminati su quella strada. Qualcosa di più della normale, tradizionale, antipatia fra

repubblicani e democratici. Forse i politici americani avrebbero bisogno della consulenza di quelli italiani,i quali, delle campagne elettorali/giudizi

di Dio, sono veterani e specialisti.

 

È dalle elezioni politiche del 1948 (che hanno dato il vero imprinting alla repubblica) che gli scontri elettorali in Italia sono, ogni volta, un grande

spartiacque fra il regno della luce e quello delle tenebre. Nel ’48 si trattava di una buona approssimazione della verità. Ma che c’entra con tutto ciò

il presente? C’è sempre, nelle elezioni italiane, un «sovraccarico etico» dato che, secondo le minoranze politicizzate, a scontrarsi sono il Bene e il

Male. Per la minoranza di destra la parte del Paese che vota per la sinistra è dominata dai comunisti, per la minoranza di sinistra l’altra parte è in

mano ai fascisti. Magari non usano più tali parole ma il senso è quello. Che cascami dei totalitarismi del XX secolo ci siano, da una parte e dall’altra,

è ovvio. Solo chi crede che la storia passata non conti nulla può stupirsene. Come ha ben chiarito

Ernesto Galli della Loggia (Corriere del 18 agosto). Si potrebbe e si dovrebbe osservare che sull’Italia, sull’Europa e sul mondo incombono problemi di ben altra natura e che di questo — se non ci fosse il solito sovraccarico etico a ostruire le menti — la campagna elettorale dovrebbe occuparsi.

 

Le minoranze politicizzate chiedono, anzi esigono, dai rispettivi leader non solo che li rassicurino sul fatto che essi rappresentano il Bene. In più devono

anche promettere che , in caso di vittoria, essi saranno gli artefici di una «grande trasformazione», della «ricostruzione»(sic) del Paese. Insomma, devono

promettere il perseguimento di mete ambiziosissime. Non tutti — questo è vero — prendono sul serio, da una parte e dall’altra, queste esagerazioni. Per

alcuni, i più disincantati, è solo un gioco di società. Ma altri ci credono davvero. L’aspetto curioso e paradossale è che se anche la politica mantiene

tuttora il controllo di risorse che consentono ai leader di soddisfare le rispettive clientele, le sue capacità di manovra, nel corso dei decenni, si sono

fortemente ridotte. A causa di un insieme di ragioni che vanno dall’eccessivo indebitamento ai vincoli europei, a un indebolimento del circuito governo-Parlamento

al quale ha corrisposto un simmetrico rafforzamento dei poteri delle magistrature (di ogni tipo) e dell’alta dirigenza pubblica.

 

A questo proposito, sarebbe utile se, in questa campagna elettorale, mentre si scontrano il Bene e il Male e ciascuno promette grandi cambiamenti, si trovasse

anche il tempo di affrontare il seguente, non insignificante, problema. Tutti dicono di volere utilizzare i fondi del Pnrr e tutti sappiamo che è la nostra

pubblica amministrazione a gestirli concretamente. Se non che, sappiamo anche che non si tratta di un’amministrazione famosa per la sua efficienza, rapidità

di azione e capacità di semplificare iter e procedure relative all’impiego dei fondi. Verrà fuori qualche idea, magari anche solo terra terra, su come

rimediare? Quasi sicuramente no. È un argomento noioso, privo di appeal. E in più, soprattutto, c’entra poco con la divisione fra destra e sinistra, distoglie

le contrapposte armate dall’unico senso che sanno dare alla campagna elettorale.

 

In Europa, le democrazie stabili di un tempo (non l’Italia e nemmeno la Francia) erano regimi moderati con campagne elettorali abbastanza piatte ove gli

estremismi e i massimalismi erano tenuti a bada. Se si assisteva a un dibattito elettorale in quelle democrazie ci si poteva anche annoiare ed assopire.

Quello stile non ci è mai appartenuto. Ma, alla lunga, non è detto che l’effetto finale non sia lo stesso. Anche i giudizi di Dio possono venire a noia.

 

(da www.corriere.it - 20 agosto 2022)

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