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Breve commento introduttivo

In un mio articolo intitolato Macron è il nuovo Presidente francese. I segnali da non sottovalutare - pubblicato su questo sito in data 8 maggio 2017 - mentre esprimevo una valutazione positiva per l'esito delle elezioni francesi mettevo in guardia verso certe infantili interpretazioni della politica nostrana, che sembravano attribuire alla vittoria di Macron il presupposto per un'alleanza per risolvere i problemi di casa nostra.
Rimandando alla lettura della riflessione, mi pare chiaro che per questi "opinion maker" ancora non cresciuti l'illusione è destinata a dissolversi ben presto.
Del mio contributo riporto solo un punto utile per questa riflessione:
"L'Europa, dice, tramonta se accetta la propria dissoluzione per conformismo. Brexit? Non è una crisi del Regno Unito, osserva, ma una crisi dell'Europa, un segnale d'allarme lanciato a tutti gli stati membri, a coloro che non vogliono vedere gli effetti negativi della globalizzazione. Le politiche industriali? Macron sostiene la necessità di arginare il dumping extraeuropeo e vuole uno scudo a protezione delle imprese strategiche. La Francia, com'è nelle sue corde storiche, darà battaglia su questi punti. Insomma con questo pragmatismo puntuale occorrerà fare i conti e sarebbe opportuno che l'Italia moltiplicasse gli sforzi per sedersi ai tavoli del confronto europeo con la stessa determinazione che metterà sicuramente in campo il neo-presidente francese."
Ebbene, la posizione che Macron ha assunto circa la questione degli immigrati economici, risponde coerentemente a questa visione.
E' compito del nostro Paese battersi nelle sedi opportune per l'affermazione di una politica immigratoria europea, ma potrà farlo solo se sarà in grado di proporre una vera politica razionale e di visione prospettica, coniugata con il recupero di una maggior credibilità nello scenario internazionale.
L'alternativa a queste condizioni non potrà che risolversi in infinite chiacchiere inconcludenti e in un inarrestabile flusso di migranti verso i nostri porti.

Paolo Razzuoli

Gli eterni interessi nazionali e l’equilibrio necessario

di Angelo Panebianco

Chi lo avrebbe mai detto? Macron, presidente della Francia, vuole fare, sulla questione dei migranti, l’interesse della Francia anziché dell’Italia. Era lecito, quando Macron venne eletto, rallegrarsi per la sconfitta di Le Pen. Ma molti commenti che abbiamo letto in Italia sul presidente «europeo», erano fuori misura, rivelavano l’infantilismo politico dei loro autori. Gli «europeisti macroniani», però, non sono i soli afflitti da tale malattia. I loro avversari, i «sovranisti», non sono da meno. Mentre i primi ignorano l’importanza degli interessi nazionali, i secondi ne offrono un’immagine caricaturale, pensano che le nazioni siano le stesse dell’Ottocento, mondi a tenuta quasi stagna, ove basta chiudersi dentro e buttare via la chiave per vivere prosperi e felici (per inciso, non era vero neppure nell’Ottocento). Il cosmopolitismo, che ignora la forza degli interessi nazionali, e il sovranismo, che li finge diversi da ciò che sono, sono due diverse versione dell’incapacità di pensare con realismo il mondo in cui viviamo. Spiegare la forza degli orientamenti cosmopoliti in Italia è facile. La presenza del papato, una unificazione nazionale recente, la sconfitta nella Seconda guerra mondiale (a cui ci condusse il nazionalismo muscolare dell’età fascista), il perpetuarsi di divisioni (fra Stato e Chiesa, fra Nord e Sud) che non hanno mai permesso a molti italiani di sviluppare un senso di appartenenza collettiva, sono all’origine della sindrome cosmopolita, di quelli che si credono «cittadini del mondo» anziché italiani.

Per costoro non solo gli interessi nazionali non esistono o, se esistono, basterebbe la buona volontà per neutralizzarli, ma è anche illegittimo evocarli, è segno di grettezza morale, forse una manifestazione di cripto-fascismo. Incapaci di capire che un mondo diviso in una pluralità di Stati e nazionalità implica necessariamente la presenza di altrettanti interessi, a volte fra loro compatibili e a volte no, i cosmopoliti sono anche inconsapevoli di come funzioni una democrazia. La democrazia è quel regime in cui se la maggioranza degli elettori vuole intensamente una cosa, Macron o chi per lui, non gliela può negare. Questa inconsapevolezza fa dei cosmopoliti una «élite senza popolo». I sovranisti sono afflitti dalla sindrome opposta. Credono di sapere cosa sia l’interesse nazionale. Lo credono sinonimo di autarchia: niente euro, niente Europa, niente migranti, niente più interdipendenza. Nella variante lepenista, questo orientamento si sposa al tradizionale nazionalismo francese.

In Italia, ove il nazionalismo è debole, il sovranismo è solo desiderio di sicurezza, l’illusione di acquisirla chiudendo le frontiere, anche quelle economiche. Se i cosmopoliti pensano che la democrazia sia un fastidioso inciampo che impedisce al cosmopolitismo di trionfare, per i sovranisti, all’opposto, la democrazia è un totem: ciò che vuole la maggioranza deve essere attuato senza passare attraverso filtri e mediazioni. Per i sovranisti il «popolo» ha sempre ragione. Non è compito delle élite distinguere, a fronte degli elettori, che cosa sia ragionevole e possibile e cosa sia invece irragionevole e impossibile. Le élite, ammesso che possano ancora essere definite tali, sono soltanto i portavoce dei desiderata delle maggioranze. I cosmopoliti sono una élite senza popolo, i sovranisti sono popolo senza élite. Ma, qualcuno potrebbe replicare, una cosa è il cosmopolitismo, un’altra l’europeismo, anche quello dei macro-entusiasti. Non è cosi: l’europeismo acritico, che nega l’esistenza di interessi nazionali in competizione in Europa, è solo una variante del cosmopolitismo. È una ricostruzione falsa della storia dell’Europa quella che la divide in due periodi: la fase di successo (dai trattati di Roma in poi) in cui l’interesse europeo prevaleva sugli interessi nazionali e la fase attuale, della crisi, quella in cui comandano i «gretti» interessi nazionali. Bugie. Gli interessi nazionali hanno sempre dominato l’Europa. La differenza è che un tempo i diversi interessi si sostenevano (quasi sempre) a vicenda e oggi sono molto spesso in conflitto.

Il cosmopolitismo (anche nella variante dell’europeismoacritico) e il sovranismo sono orientamenti ideologici che impediscono di valutare realisticamente il mondo in cui viviamo. Il primo non capisce che se si nega l’importanza degli interessi nazionali si finisce per favorire l’interesse di altri a scapito di quello del proprio Paese. Il secondo non capisce che difendere l’interesse nazionale oggi è possibile solo rifiutando la tentazione autarchica, sfruttando le opportunità che offre, ma anche i vincoli che impone, un mondo interdipendente. In Europa si tratta di cercare punti di equilibrio fra la tutela dell’interesse nazionale e gli interessi altrui. Cosmopoliti/europeisti acritici e sovranisti, con la loro presenza, indeboliscono la nostra posizione contrattuale in Europa. Quando sui tavoli europei bisognerà discutere dei futuri assetti — e anche valutare proposte che, come quella di Renzi, puntano a strappare vantaggi per l’Italia — bisognerà sollecitare da coloro che prendono la parola più realismo e sobrietà.

(dal Corriere della Sera - 11 luglio 2017)

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