logo Fucinaidee

Macron è il nuovo Presidente francese. I segnali da non sottovalutare

di Paolo Razzuoli

Emmanuel Macron sarà il prossimo inquilino dell'Eliseo.
Sotto la scorza dura e vociante delle suggestioni nazionaliste, in Europa ancora si aggira una speranza.
La vittoria del “rifondatore” Emmanuel Macron fa tirare un sospiro di sollievo all'Europa che ha vissuto, a ragione, le elezioni presidenziali francesi come un referendum sul suo destino.
Junchker e gli altri esponenti delle istituzione europee si sono affrettati a dirlo; le ripercussioni finanziarie non si sono fatte attendere con il balzo in avanti dell'Euro.
A ragione, molti media hanno sottolineato che Emmanuel Macron ha salvato l’Europa perché il suo avversario avrebbe cominciato a sfasciarla.
Qualcuno già comincia a dire che questo passaggio non sarà sufficiente perché "ci vuole ben altro". La solita retorica di quelli che “non è mai abbastanza” e che rinvieranno alle incognite di un politico inesperto che faticherà ad avere una maggioranza per governare e a quelle di un’Europa tutta da riformare e forse da rifondare affinché smetta di alimentare un populismo oggi sconfitto ma sempre irriducibile.

Posto quindi che la vittoria di Macron rappresenta un passaggio fondamentale per dare prospettiva e speranza all'Europa, vi sono segnali che, se sottovalutati, ancora una volta sarebbero indicatori di una politica incapace di leggere la complessità del nostro tempo, e che ci potremmo trovare a commentare con ben altro registro. Segnali in parte legati alla specificità francese, ma in altra parte riconducibili a processi che coinvolgono l'intero continente europeo.
Il 66% dei voti è per Macron un risultato di grandissimo spessore. Non va però dimenticato l'aumento delle astensioni e delle schede bianche e nulle che, anche in Francia è in crescita, al pari di molti altri paesi europei, primi fra tutti il nostro. E' un segnale di disaffezione alla politica che non deve essere sottovalutato e rispetto al quale qualsiasi atteggiamento fatalista potrebbe rivelarsi letale per le sorti della democrazia.
Vi sono poi i circa 11 milioni di voti ottenuti dalla Le Pen, una non certo trascurabile fetta dell'elettorato francese, che su questa scelta ha riversato uno stato di disagio che non può certo essere sottovalutato, ovviamente cercando risposte coerenti con la prospettiva europeista e liberal-riformista scelta dalla maggioranza dei francesi.
Nella recente storia francese, sembrerebbe la prima volta che l'elettorato si è spaccato in modo diciamo "classista"; finora, i vari presidenti della V Repubblica, avevano rappresentato un blocco sociale interclassista. Questa volta sembra che le classi più colte e più tranquille economicamente abbiano guardato a Macron, mentre le classi meno abbienti e culturalmente meno attrezzate abbiano preferito la Le Pen.
La Francia si presenta quale Paese spaccato sul quale lavorare. Più dei politologi classici sono stati gli storici, i geografi e i demografi (Christophe Guilluy, Hervé Le Bras, Jacque Lévy) a farci capire ciò che avevamo sottovalutato in Brexit e nelle elezioni americane: la linea di divisione, la frattura sociale economica e territoriale tra centro e periferia, quest’ultima intesa sia come propaggine dei grandi e medi agglomerati urbani sia come provincia profonda e rurale. Le loro rappresentazioni cartografiche hanno dato spazialità e dimensionalità alla divisione tra sconfitti e beneficiari della globalizzazione, a misurare l’assottigliamento e la quasi estinzione di intere categorie della classe media fino a rendere obsolete le categorie politiche di destra e sinistra, che per molto tempo hanno tratteggiato lo scenario politico francese.
Frantumazione che non riguarda solo la Francia, come noi italiani ben sappiamo.

Ed ecco un altro segnale da leggere con attenzione. In Europa sembra che le novecentesche categorie di destra/sinistra abbiano fatto il loro tempo e che la cultura e la prassi politica si stiano orientando verso paradigmi sinora sconosciuti. Le elezioni francesi si sono giocate sul binomio internazionalisti/nazionalisti; insomma, il confine è stato tracciato fra coloro che guardano alla prospettiva europeista e chi, invece, guarda indietro, alla vecchia dimensione nazionale. Nell'attuale fase, sembra che questo sia il confine più urgente fra le proposte politiche: un guado che separa coloro che vedono nell'Europa una risposta alla crisi attuale e chi, al contrario, questa risposta vede nel rilancio della vecchia nozione di nazione. Un confine certo importante, ma che non può da solo interpretare le complessità delle scelte politiche.
La globalizzazione pone la governance dell'intero pianeta di fronte a sfide nuove e di straordinaria complessità, che non sono riconducibili ai classici paradigmi economici e politici. Certo le risposte possono avvenire con ricette diverse, ad esempio fra chi accentua la funzione del mercato quale fattore propulsivo dello sviluppo, e chi - invece - pone l'accento sulla necessità di un intervento politico per una sua regolazione. Posto il superamento dei sistemi ideologici novecenteschi, parlare esclusivamente di buone o cattive politiche non appare sufficiente stante le opzioni ancora a disposizione della politica, che però sono altra cosa, rispetto al paradigma conservatore/progressista o destra/sinistra. L'accelerazione delle dinamiche di trasformazione delle società contemporanee, spinte da una evoluzione tecnologica senza precedenti, determinano la nascita, lo sviluppo ed il rapido tramonto di contesti coinvolgenti la vita individuale e sociale di interi Paesi e/o continenti. In un siffatto scenario le categorie da riformare, quelle da conservare, e perché no quelle da recuperare, si modificano tumultuosamente, rendendo ormai impraticabili le classiche letture delle appartenenze identitarie come definite nella politica del XX secolo.
Analisi confermata dalle dichiarazioni di Macron, che ama definirsi «né di destra né di sinistra». È così convinto di questa sua non-appartenenza alle categorie tradizionali del bipolarismo che potrebbe tranquillamente rivendicare il contrario («Sono di destra e di sinistra») se ciò non gli impedisse di qualificarsi come campione del Centro.
Insomma si sta modificando il dna della politica europea: le elezioni francesi sono una cartina di tornasole di questa dinamica.

Modifica delle categorie politiche che, inevitabilmente, trascina in uno stato di crisi i partiti tradizionali. En Marche, il movimento di Macron, può essere definito un "partito liquido", applicando un termine ampiamente usato dalla sociologia. Delresto di partiti liquidi ne sappiamo qualcosa anche noi italiani. Proprio sulla base della nostra esperienza, credo di poter tranquillamente dire che è necessario il recupero di partiti veri, certo diversi da quelli del passato, ma partiti veri, gestiti con criteri democratici, e non affidati a criteri feudali in cui la legittimazione della classe dirigente ai vari livelli proviene dall'alto, quindi da investiture frutto di servitù vassallari.
Anche da questa consapevolezza passa il recupero di fiducia fra cittadini e governanti, anzitutto nei singoli paesi, ma di riflesso anche nella dimensione europea.

Ma quali sono i segnali che noi italiani possiamo (anzi dobbiamo) saper leggere nell'elezione del nuovo presidente francese?
Anzitutto la proposta politica, saldamente ancorata al liberal-riformismo. E' vero che da noi tale nozione ha avuto storicamente poca fortuna; ma molti segnali mi inducono a ritenere che una vera piattaforma liberal-riformista (che sappia coniugare mercato e sensibilità sociale) potrebbe risultare maggioritaria anche in Italia. Ma al momento non si vede all'orizzonte chi possa avere la forza e l'autorevolezza per organizzare e rappresentare tale area.

In Italia, oggi si plaude (giustamente) all'elezione di Macron, ma ciò non deve far dimenticare alcuni problemi non certo marginali.
Ecco il primo. Macron, sui temi dell'Europa da ricostruire, ha un programma chiaro e per nulla scontato. Il suo non è un europeismo di maniera ma molto pragmatico. L'Europa, dice, tramonta se accetta la propria dissoluzione per conformismo. Brexit? Non è una crisi del Regno Unito, osserva, ma una crisi dell'Europa, un segnale d'allarme lanciato a tutti gli stati membri, a coloro che non vogliono vedere gli effetti negativi della globalizzazione. Le politiche industriali? Macron sostiene la necessità di arginare il dumping extraeuropeo e vuole uno scudo a protezione delle imprese strategiche. La Francia, com'è nelle sue corde storiche, darà battaglia su questi punti. Insomma con questo pragmatismo puntuale occorrerà fare i conti e sarebbe opportuno che l'Italia moltiplicasse gli sforzi per sedersi ai tavoli del confronto europeo con la stessa determinazione che metterà sicuramente in campo il neo-presidente francese.

In secondo luogo, il nuovo inquilino dell'Eliseo punterà dritto su un rinnovato asse franco-tedesco, che considera un punto di forza della nuova Europa, e si muoverà presto in coerenza con questo obiettivo, trovando un terreno fertile a Berlino. Per l'Italia si pone dunque la questione di “come”, e con quali idee, stare in questa partita decisiva. Per non ritrovarsi o nella semplice posizione di testimone-esecutore di ciò che matura sull'asse Parigi-Berlino o, ancora peggio, di contestatore velleitario a bordo campo che vagheggia improbabili alleanze.

In terzo luogo, la vittoria di Macron sottrae la Francia, almeno per il momento, dai radar delle preoccupazioni dei mercati finanziari e un abbassamento delle tensioni non potrà che far bene a tutti. Tuttavia, il vuoto non s'addice ai mercati e la speculazione non dorme mai. L'Italia ha un debito pubblico altissimo, pari al 133% del Pil, e una crescita del Prodotto interno lordo più bassa della media europea. A questi dati di fondo si aggiungono i pericoli di campagne elettorali permanenti e di un'instabilità politica diffusa. Il rischio è che, scampato il pericolo francese, s'innesti un rilassamento generalizzato che finirebbe per mettere in un angolo i dati di fondo di una condizione che permane molto difficile. Inutile progettare scorciatoie e rinviare la soluzione delle questioni irrisolte.

Insomma, il testimone è nostro e i compiti dobbiamo farli noi. Dobbiamo quindi tenere i piedi per terra: Con la vittoria di Macron l'Europa può continuare a sperare ma i nostri problemi sono tutti lì, e tocca a noi risolverli. Se lo dimenticassimo, i primi a ricordarcelo sarebbero i mercati, nel modo brutale in cui essi lo fanno.
Non dimentichiamo che al momento l'Italia è uno dei paesi più fragili dell'area Euro. Una fragilità non solo economica (basso tasso di crescita, alto tasso di disoccupazione, bassa produttività e altissimo debito pubblico), ma soprattutto politica, per la presumibile instabilità a cui si andrà incontro con una legge elettorale a forte impronta proporzionale.
Da noi le forze euroscettiche potrebbero giocare un ruolo non marginale, compromettendo quel po' di credibilità che ancora conserviamo in Europa, e facendo del nostro Paese l'anello debole di quell'Europa diversa che con gran voce chiediamo.

Mentre in Francia è andata bene, in Germania comunque vada lo scontro è all'interno di visioni europeiste, le maggiori preoccupazioni potranno venire dall'esito delle elezioni italiane.
Non basta esorcizzare i populismi, occorre combatterli con politiche accorte, soprattutto sui temi sensibili quali, ad esempio, ridurre l'intrusività della burocrazia, dare un forte segnale sulla riduzione di certi privilegi della politica, mettere in campo una più accorta politica sull'immigrazione.
Quest'ultima è un tema particolarmente sensibile. Gli italiani non sono razzisti, e nessuno vuole erigere muri. Ma non possiamo chiudere gli occhi sugli esiti di una politica ispirata ad un buonismo che, oltre a non poter offrire in prospettiva dignitose condizioni di vita per gli immigrati, alimenta reazioni destinate ad accrescere il radicamento nel Paese dei movimenti nazionalisti.

Insomma, così come in questi giorni l'Europa è stata in ansia per le elezioni francesi, fra qualche mese (non importa quanti) lo sarà per le elezioni italiane.
Oggi l'Europa brinda per lo scampato pericolo francese; speriamo che a suo tempo possa alzare i calici anche per lo scampato pericolo italiano.

Lucca, 8 maggio 2017

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina