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Come nella vita, anche nella politica prima o poi i nodi vengono al pettine

di Paolo Razzuoli

In questi giorni si sono verificati alcuni eventi non proprio ben augurali ed incoraggianti per il nostro premier in occasione del suo primo anno dall'ascesa alla guida del suo partito, tappa fondamentale per il successivo balzo a palazzo Chigi.

Dopo la bocciatura di Standard&Poor’s arriva il giudizio di insufficienza della Merkel - anche se successivamente un po' ammorbidito - sul risultato dell'azione riformatrice sinora raggiunto da Renzi.
E' vero che i giudizi delle agenzie di rating non hanno piu' l’aura di indiscutibilità di un tempo e che quella del cancelliere tedesco è l’opinione del capo di un governo estero. Si capisce una certa irritazione di Palazzo Chigi: "Quale diritto ha un governante estero di esprimere giudizi sul nostro Paese". Ma nessuno, nemmeno l’inossidabile ottimismo del presidente del Consiglio, potrà scrutare senza una certa ansietà l’effetto sui mercati del verdetto di S.&P. Né potrà sottovalutare la critica del più importante partner europeo.

Prescindendo dalle impressioni che sul lavoro del governo arrivano fuori dai nostri confini, anche dai sondaggi diffusi in Italia sembra crescere il senso di delusione per i concreti risultati degli sforzi riformistici compiuti finora da Renzi.

Cio' puo' derivare da molteplici fattori. Anzitutto puo' essere il frutto di una certa delusione di fronte alle eccessive promesse del premier e di un annunciato calendario di scadenze non rispettate, fatto evidentemente ignorando i ritmi bizantini della politica nazionale. Forse Renzi, (per carita' in buona fede), non aveva chiara la profonda differenza fra Palazzo Vecchio e Palazzo Chigi.

Penso che lo slancio e l'irruenza che ormai conosciamo nel nostro premier, lo abbiano portato ad una sottovalutazione delle pervicaci resistenze al cambiamento non solo della classe politica, ma anche, e soprattutto, di una società bloccata da interessi corporativi consolidati da decenni e impegnati in una difesa del potere che punta più sul logoramento dell’avversario che su una aperta ribellione.

Tema questo, su cui in varie occasioni ho espresso il mio pensiero, individuando nella forza delle corporazioni e nel loro enorme potere di interdizione, il principale ostacolo al cambiamento, ed anche - purtroppo - un tratto presente, direi quasi unificante, nell'arco dell'intera nostra storia nazionale.
Non e' certo casualmente che Giovanni Giolitti, gia' attorno alla meta' degli anni '80 dell'ottocento, acutamente osservava, e magistralmente sintetizzava, "in Italia lo Stato sembra una finzione in cui ciascuno cerca di vivere alle spalle degli altri".

Certamente alcuni degli ostacoli che si frappongono al cambiamento potranno essere ridimensionati. Penso che Renzi riuscira', ad esempio, a ridimensionare il potere di interdizione delle componenti piu' conservatrici del mondo sindacale, rappresentate dalla Cgil ed in particolare dalla Fiom. Ormai, in ragione delle modificazioni intercorse nella struttura delle professioni, e posto l'arroccamento del sindacato nella difesa di una parte sempre piu' minoritaria del mondo del lavoro (quella sempre piu' assottigliata dei protetti), esso non ha piu' l'appeal di un tempo e la battaglia puo' essere vinta.
Ma proprio perche' alcune difese riguardano segmenti sempre piu' minoritari del mondo del lavoro, E' lecito porsi la domanda di quanto la vittoria su queste, possa produrre un reale cambiamento di rotta, o invece costituisca solo un totem ideologico, su cui si vuol focalizzare l'interesse della pubblica opinione, per distrarla dalle difficolta' insite nell'affrontare altri temi, sicuramente assai piu' spinosi, da cui non si potra' comunque prescindere per dare un senso vero al cambiamento.

Certamente il rilancio del Paese non potra' prescindere da una profonda riforma della politica, nazionale ma anche, oserei dire soprattutto, locale. E' evidente che dei livelli di vertice si parla di piu'. Ma a chi voglia guardare il fenomeno in faccia, non puo' certo sfuggire l'enorme mole di rendite politiche, piu' o meno grandi, derivanti dalla rete elefantiaca delle societa' create e gestite dagli enti locali. Un tema scivoloso e magmatico, che rischia di travolgere nelle sue sabbie mobili chiunque osi avventurarvisi.

Altro aspetto da cui non potra' sottrarsi chiunque abbia una concreta visione del cambiamento, e' quello della burocrazia e della riorganizzazione della Pubblica Amministrazione. Un tema complesso che mi pare possa essere riassunto cosi': "smetterla di trattare gli italiani da sudditi, per trattarli, finalmente, da cittadini".
Cio' significa tante cose, capaci di incidere profondamente sul rilancio produttivo del Paese. Significa, ad esempio, rovesciare la prassi corrente per cui e' l'amministrazione che decide i tempi dei permessi, oggi peraltro abnormi nella quantita' e non raramente anche nella sostanza. Salvo casi eccezionali, da definire con estrema precisione, l'amministrazione deve essere chiamata a rispondere in tempi certi, secondo il principio del silenzio-assenso.
Una riforma questa, che andrebbe a modificare un atteggiamento antico e consolidato della nostra prassi amministrativa: sarebbe una straordinaria rivoluzione. Lo capisce chiunque abbia avuto l'ardire di iniziare una qualsiasi attivita'.
Non e' quindi solo il tema dell'assai sbandierato dimagrimento della Pubblica Amministrazione. E' invece quello di ripensarne in profondita' il funzionamento ed il suo ruolo con i cittadini. Oggi e' arrogante ed autoritaria; deve divenire efficiente ed autorevole.

Poi il tema della corruzione, la cui drammaticita' e attualita' non necessitano di commenti. Senza voler affatto sottolineare la dimensione criminale del problema, mi sia consentito dire che un diverso rapporto fra cittadino e pubblica amministrazione offrirebbe importanti opportunita' di superarne almeno alcuni aspetti, magari non i piu' eclatanti, ma certamente assai diffusi.

Scontata quindi la necessità di una accelerazione sui progetti del governo, del resto condivisa dal premier e dai suoi ministri, sarebbe opportuno rivedere le priorità delle riforme, secondo una diversa urgenza, puntando decisamente la prua verso quelle che piu' possono incidere sulla ripresa dell'occupazione.
Con cio' non intendo certo sottovalutare il tema della riforma istituzionale e della legge elettorale. Sono pero' convinto che se tali riforme non si coniugheranno con altre, non saranno sufficienti a rimettere il Paese sul binario giusto.

In Italia e' diffuso un pericoloso vezzo, quello di scaricare su altri cio' che non si riesce, o non si vuole fare. C'e' bisogno di affrontare la realta' senza finzioni e senza le ipocrisie che, troppe volte, hanno impedito di dipanare i veri nodi dei problemi.

Gli ostacoli posti per una simile rivoluzione sono enormi e si intrecciano con la difesa degli interessi diffusi e corporativi alimentati e consolidati nel corso di decenni in cui la politica ha di fatto rinunciato ad un disegno complessivo, riducendosi a dare risposte alle spinte settoriali provenienti da lobbies e/o corporazioni piu' o meno forti e capaci di trovarsi il loro "santo in Paradiso".

Non ci si puo' nascondere che i compiti e le responsabilita' di chi voglia veramente assumersi l'onere di riformare in profondita' questo Paese sono tali da "far tremare le vene ai polsi".
Personalmente credo nella buona fede di Renzi; meno convinto sono del fatto che al momento abbia gli strumenti per poter andare avanti sulla sua strada.

Anzitutto il suo partito. Non vi e' dubbio che Renzi ha introdotto temi e modalita' di fatto estranei alla storia e tradizione del Pd, o almeno ad una buona parte delle componenti che in esso sono confluite. Al momento sembra riuscire a governarlo, limitando i danni di una minoranza che pur si sta agitando. Ma la situazione non e' certo facile giacche' in quel partito e' significativamente presente una importante componente, quella di provenienza comunista, sostanzialmente estranea alla visione di Renzi. Oggi Renzi sembra aver in qualche modo spiazzata la dissidenza interna ma, non e' difficile immaginarlo, essa cerchera' di riorganizzarsi e di ostacolare un processo riformatore che inevitabilmente andra' ad intaccare interessi vitali per le fortune elettorali di quella parte.
Ne consegue che, prima o poi, Renzi si trovera' di fronte ad un dilemma: o portare alle estreme conseguenze il chiarimento politico nel suo partito, traendone coerenti comportamenti, anche a costo di una scissione, o annaffiare la spinta riformatrice, perdendo il consenso nel Paese che oggi ha acquisito anche da settori tradizionalmente non legati al Pd.

Mi pare chiaro che la vicenda politica di Renzi abbia provocato un terremoto in entrambi gli schieramenti. Infatti, mentre sta cercando di modificare profondamente il tradizionale profilo politico del Pd, nel contempo ha prodotto un effetto dirompente nell'altro schieramento, facendone propri alcuni contenuti di fondo quali la sottolineatura del merito, l'accentuazione della necessita' di riformare la Pubblica Amministrazione, le riforme istituzionali, la accentuata attenzione al mondo dell'impresa, il tema della riforma del sistema giudiziario, l'emancipazione da certi "guru dell'intelligentia di sinistra".
Che l'emisfero destro dello schieramento politico viva in profonda crisi lo attesta la circostanza che attualmente si dibatte fra il populismo di Salvini ed il Mantra di un Berlusconi che vuole riprendersi la scena. Altre iniziative che cercano di nascere da quelle parti, al di la' delle buone intenzioni, mi sembrano sinceramente utopistiche e a volte anche un po' patetiche.

Mi pare che ora siamo come in una fase di sospensione, foriera degli esiti piu' diversi. Nel breve termine nulla potra' accadere: lo impediscono il semestre dell'Ue a presidenza italiana e la vicenda del Quirinale.
Ma prima o poi qualcosa dovra' accadere: o Renzi riuscira' ad imprimere una nuova spinta al processo riformatore, o il consenso che ha acquisito nel Paese si ridimensionera'.

Anche se nessuno di coloro che contano puo' ora affermarlo, io sono convinto che il nodo potra' essere sciolto solo mediante un profondo chiarimento politico. Un chiarimento che porti alla creazione di un soggetto politico che riesca, senza riserve, ad intercettare il bisogno di cambiamento che viene richiesto dalla maggioranza degli italiani.
La storia dell'ultimo ventennio, ci ha proposto soggetti politici palesemente inadeguati, che ora, non per caso, stanno ansimando in una crisi profonda.

Mi rendo ben conto delle difficolta', ma credo che solo mediante questo sforzo di adeguamento dell'offerta politica ai nuovi scenari, con connotati di forte discontinuita', possa realmente partire il processo di rilancio morale, politico, culturale ed economico, senza il quale ogni speranza si rivelera' illusoria.
Renzi potrebbe avere le carte in regola per provarci: bisognera' vedere se ne trovera' il coraggio!!!
Il gioco e' sicuramente grosso: ci sono momenti pero' in cui chi ha responsabilita' deve trovare il coraggio di rischiare. diceva De Gasperi: "Il politico e' colui che pensa alle prossime elezioni; lo statista e' colui che pensa alla prossima generazione". Ebbene, c'e' bisogno di statisti; di politici ne abbiamo avuti sin troppi.

Certamente il nodo verra' al pettine. In politica, come delresto nella vita, ci sono delle scelte che magari possono essere rimandate ma che, ad un certo momento, non possono essere piu' eluse.

Infine, ma non certo per ultimo di importanza, il tema del dividendo delle riforme. è certamente ingenuo pensare che gli effetti delle riforme, tanto piu' se sono veramente importanti, possano essere visti in pochi mesi.
In linea di principio, e' estremamente pericoloso affrontare il corpo elettorale nelle vicinanze di riforme che hanno colpito interessi consolidati senza avere ancora prodotto effetti benefici. In questi casi, normalmente, dal corpo elettorale arriva una punizione senza appello.
Nella particolare situazione italiana pero' vi sono variabili importanti, prima fra tutte quella specie di delega in bianco per le riforme, che Renzi ha avuto con le elezioni della scorsa primavera. Di fronte alle difficolta' incontrate nel processo riformatore, chi avesse il coraggio di presentarsi al corpo elettorale con propositi chiari e con il giusto patrimonio di credibilita', penso verrebbe capito e premiato.
So che molti sono di diverso avviso. I fatti diranno chi ha ragione.

Un grande pericolo voglio in conclusione segnalare: quello della rassegnazione.
Rassegnazione all’impossibilità di attuare nel nostro Paese vere riforme, che abbiano l’efficacia indispensabile per dare una scossa a quell’Italia dall’economia stagnante.
Rassegnazione a quell’Italia del malaffare, dove la mafia non è più un nome proprio, con una propria regione di appartenenza e regole criminali proprie, ma è diventata l’etichetta infamante di un costume politico comune, allargato all’intera comunità nazionale degli affari e dell’amministrazione pubblica.

Una rassegnazione che si e' fatta sentire con il campanello d'allarme dell'astensionismo nella recente tornata elettorale.
Una rassegnazione che emerge anche dall'ultimo Rapporto Censis sulla societa' italiana .
Una rassegnazione che non ci possiamo più permettere.

Lucca, 9 dicembre 2014

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