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Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2014
Il fotogramma di un paese immobile

a cura di Paolo Razzuoli

La deflazione delle aspettative e dei desideri. La percezione di vulnerabilità, il senso di incertezza e di solitudine. L'individualismo.
Sono questi i tratti con cui il Censis dipinge la nostra società.

Venerdi' 5 dicembre, a Roma presso la sede del Cnel, e' stato presentato il rapporto con cui, ogni anno, il Censis fotografa la societa' italiana.
Giunto alla 48ª edizione, il Rapporto Censis ci offre anche quest'anno l'analisi e l'interpretazione dei più significativi fenomeni socio-economici del Paese, individuando i reali processi di trasformazione della società italiana. Su tali temi si soffermano le «Considerazioni generali» che introducono il Rapporto. Nella seconda parte, «La società italiana al 2014», vengono affrontati i temi di maggiore interesse emersi nel corso dell'anno. Nella terza e quarta parte si presentano le analisi per settori: la formazione, il lavoro, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, il governo pubblico, la sicurezza e la cittadinanza.
La pubblicazione del rapporto Censis e' sempre attesa con grande interesse, per l'affidabilita' dell'Istituto che lo realizza e per l'ampiezza dei punti di osservazione.
La presentazione e' stata fatta da Massimiliano Valerii e da Giuseppe De Rita.

Ma vediamo i tratti principali della fotografia scattata dal Censis alla societa' italiana.

Italia Paese “delle sette giare”: come ogni anno, il Censis conia una definizione d’effetto per la situazione sociale. Quest’anno si parla di “profonda crisi della cultura sistemica”: siamo una “società liquida che rende liquefatto il sistema”. Interessi e comportamenti individuali e collettivi si aggregano in mondi chiusi in se stessi. Sono le giare, contenitori con una ricca potenza interna ma che non dialogano tra loro: poteri sovranazionali, politica nazionale, istituzioni, minoranze vitali, gente, sommerso e media.

Siamo una società liquida che rende liquefatto il sistema. Senza ordine sistemico, i singoli soggetti sono a disagio, si sentono abbandonati a se stessi, in una obbligata solitudine: vale per il singolo imprenditore come per la singola famiglia. Tale estraneità porta al fatalismo e a episodi di secessionismo sommerso, ormai presenti in varie realtà locali. La profonda crisi della cultura sistemica induce a una ulteriore propensione della nostra società a vivere in orizzontale. Interessi e comportamenti individuali e collettivi si aggregano in mondi non dialoganti. Non comunicando in verticale, restano mondi che vivono in se stessi e di se stessi.

l'Italia si presenta come un paese stanco e "ripiegato". Il momento più buio della crisi è, probabilmente, alle spalle. La grande paura è passata. Ma, tra le famiglie italiane, a dominare è ora l’incertezza, alimentata da altre paure e timori, come quelli di una malattia o della perdita del lavoro o della povertà. O più in generale la paura per il futuro. Un sentimento di vulnerabilità, prevalente e diffuso, che si traduce, concretamente, nell’esigenza, che diventa una vera e propria parola d’ordine, di tenere i soldi vicini per poter affrontare qualsiasi evenienza, un ‘pronto cassa’ per fronteggiare gli eventuali imprevisti. È questa la tendenza fotografata dal Rapporto del Censis, che rivela come si vada ora imponendo tra gli italiani un approccio attendista alla vita.

Numeri alla mano, quella che emerge è la convinzione che il picco negativo della crisi sia alle spalle: lo pensa il 47% degli italiani, il 12% in più rispetto all’anno scorso. Ma ora è l’incertezza a prevalere. Di conseguenza, la gestione dei soldi da parte delle famiglie è fatta di breve e brevissimo periodo. Tra il 2007 e il 2013 tutte le voci delle attività finanziarie delle famiglie sono diminuite, tranne i contanti e i depositi bancari, aumentati in termini reali del 4,9%, arrivando a costituire il 30,9% del totale (erano il 27,3% nel 2007). A giugno 2014 questa massa finanziaria liquida è cresciuta ancora, fino a 1.219 miliardi di euro.

Prevale, secondo il Censis, un cash di tutela, con il 45% delle famiglie che destina il proprio risparmio alla copertura da possibili imprevisti, come la perdita del lavoro o la malattia, e il 36% che lo finalizza alla voglia di sentirsi con le spalle coperte. La percezione di vulnerabilità porta il 60% degli italiani a ritenere che a chiunque possa capitare di finire in povertà, come fosse un virus che può contagiare chiunque. La gestione del contante è una strategia di risposta adattativa di fronte all’incertezza. Pensando al futuro, il 29% degli italiani prova ansia perché non ha una rete di protezione, il 29% è inquieto perché ha un retroterra fragile, il 24% dice di non avere le idee chiare perché tutto è molto incerto, e solo poco più del 17% dichiara di sentirsi abbastanza sicuro e con le spalle coperte.

Tra i giovani, tra 18 e i 34 anni, sale al 43% la quota di chi si sente inquieto e con un retroterra fragile, e scende ad appena il 12% la quota di chi si sente al sicuro. E il cash è anche carburante dell’informale, del nero, del sommerso, per creare reddito non tassato e abbattere i costi. L’attendismo cinico degli italiani si alimenta anche della convinzione che in fondo ci sono alcune invarianti nei processi sociali che con la crisi finiscono per patologizzarsi.

Siamo un Paese dal capitale inagito anche perché non riusciamo ancora a ottimizzare i nostri talenti. Agli oltre 3 milioni di disoccupati si sommano quasi 1,8 milioni di inattivi perché scoraggiati. E ci sono 3 milioni di persone che, pur non cercando attivamente un impiego, sarebbero disponibili a lavorare. È un capitale umano non utilizzato di quasi 8 milioni di individui.

Più penalizzati sono i giovani. I 15-34enni costituiscono il 50,9% dei disoccupati totali. E i Neet, cioè i 15-29enni che non sono impegnati in percorsi di istruzione o formazione, non hanno un impiego né lo cercano, sono in continua crescita. C’è poi il capitale umano sottoutilizzato, composto dagli occupati part time involontari (2,5 milioni nel 2013, raddoppiati rispetto al 2007) e dagli occupati in Cassa integrazione, il cui numero di ore è passato nel periodo 2007-2013 da poco più di 184.000 a quasi 1,2 milioni, corrispondenti a 240.000 lavoratori sottoutilizzati. E c’è anche il capitale umano sottoinquadrato, cioè persone che ricoprono posizioni lavorative per le quali sarebbe sufficiente un titolo di studio inferiore a quello posseduto: sono più di 4 milioni di lavoratori, il 19,5% degli occupati. Il fenomeno dell’overeducation riguarda anche i laureati in scienze economiche e statistiche (il 57,3%) e persino un ingegnere su tre.

Siamo un Paese dal capitale inagito anche perché l’Italia riesce solo in minima parte a mettere a valore il ricco patrimonio culturale di cui dispone. Il numero di lavoratori nel settore della cultura (304.000, l’1,3% degli occupati totali) è meno della metà di quello di Regno Unito (755.000) e Germania (670.000), e di gran lunga inferiore rispetto a Francia (556.000) e Spagna (409.000). Nel 2013 il settore ha prodotto un valore aggiunto di 15,5 miliardi di euro (solo l’1,1% del totale del Paese) contro i 35 miliardi della Germania e i 27 della Francia.

Tra i fattori più importanti per riuscire nella vita, il 51% richiama una buona istruzione e il 43% il lavoro duro, ma per entrambe le variabili la percentuale italiana è inferiore alla media europea, pari rispettivamente al 63% per l’istruzione (82% in Germania) e al 46% per il lavoro sodo (74% nel Regno Unito). In Italia risultano molto più alte le percentuali di chi è convinto che servono le conoscenze giuste (il 29% contro il 19% inglese) e il fatto di provenire da una famiglia benestante (il 20% contro il 5% francese). Il riferimento all’intelligenza come fattore determinante per l’ascesa sociale raccoglie il 7% delle risposte in Italia: il valore più basso in tutta l’Unione europea.

Si fanno sempre meno figli. Tra le cause della denatalità pesano la crisi economica e la mancanza di un lavoro fisso. È quanto emerge dal Rapporto annuale del Censis sulla situazione sociale del Paese. Interrogati sulle possibili cause della scarsa propensione degli italiani ad avere figli, gli intervistati della recente ricerca del Censis sulla fertilità hanno sottolineato nella grande maggioranza (85,3%) il peso della cause economiche, e in misura più marcata al Sud (91,5%). Se l’83,3% degli italiani è convinto che la crisi economica abbia un impatto sulla propensione alla procreazione rendendo la scelta di avere un figlio più difficile da prendere anche per chi lo vorrebbe, questa quota raggiunge il 90,6% proprio tra i giovani fino a 34 anni, che sono contemporaneamente coloro che più subiscono l’impatto della crisi e nello stesso tempo dovrebbero essere i protagonisti delle scelte di procreazione.

Qualche nota positiva, nel Rapporto Censis riguarda l’Italian way of life. L’interesse suscitato all’estero dall’Italia, sebbene non adeguatamente sfruttato, non conosce crisi. Siamo la quinta destinazione turistica al mondo, con 186,1 milioni di presenze turistiche straniere nel 2013 e 20,7 miliardi di euro spesi (+6,8% rispetto al 2012). L’export delle 4 A del made in Italy (alimentari, abbigliamento, arredo-casa e automazione) è aumentato del 30,1% in termini nominali tra il 2009 e il 2013. Sempre più persone parlano la nostra lingua: circa 200 milioni nel mondo. E crescono le reti di aziende italiane in franchising all’estero: 149 reti nel 2013 per un totale di 7.731 punti vendita (+5,3% rispetto al 2011). Il soft power dell’enogastronomia nazionale conquista le culture globali. Il successo di cibo e vini italiani nel mondo è uno degli indicatori più significativi del fortissimo appeal del nostro stile di vita. L’Italian food, inteso come rapporto con il territorio, autenticità, qualità, sostenibilità, è uno straordinario ambasciatore del nostro Paese nel mondo globalizzato. Il made in Italy agroalimentare è una delle componenti più dinamiche dell’export: 27,4 miliardi di euro nel 2013, con un aumento del 26,9% rispetto al 2007. L’Italia è il Paese con il più alto numero di alimenti a denominazione o indicazione di origine (266), seguito a distanza da Francia (219) e Spagna (179). Così il nostro Paese sta riuscendo a conquistare, con logica da soft power, cuori, menti e portafogli dei cittadini a livello globale.

Per approfondire

(da www.censis.it )

Lucca, 6 dicembre 2014

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