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Possibili nuovi scenari nella politica italiana
L'intervista a Libero di Corrado Passera

Con l'incontro a Lucca dello scorso febbraio, Corrado Passera ha avviato il suo viaggio in Italia, in vista della nascita di un nuovo movimento politico: Italia Unica.
IL prossimo sabato 14 giugno, a Roma, si svolgera' la convention fondativa del movimento.

Nell'intervista al quotidiano Libero, che Fucinaidee propone ai suoi lettori, Passera traccia un profilo delle direttrici attorno a cui intende costruire il proprio impegno nell'agone politico nazionale.

Corrado Passera, 59 anni, è al telefono con Libero quando arriva il “conto” dei primi mesi del governo Renzi: la Commissione europea chiede altri «sforzi» che non sembrano escludere ulteriori manovre già per l’anno in corso. L’ex numero uno delle Poste e di Intesa, ex ministro di Mario Monti e oggi impegnato nel lancio del movimento «Italia Unica», non mostra stupore: «L’Europa tutto sommato ci ha trattato bene, visto che abbiamo mandato a Bruxelles un Def dove continuano ad aumentare le spese correnti dello Stato, dove gli investimenti continuano a diminuire e dove le riforme strutturali si annunciano soltanto. Gli otto richiami sono comunque un monito forte ».

Passo indietro. Il colloquio con Passera partiva dal dibattito lanciato da questo quotidiano sulla condizione del centrodestra italiano, uscito bastonato dal voto delle Europee. Del futuro politico dell’ex ad di Poste (nominato dal governo Prodi con Ciampi al Tesoro) si ragiona da quando, alla fine del governo Monti, ruppe col Professore. Si parte da lì per capire i passi che intende muovere con Italia Unica.

d. - Fine 2012, Monti è premier uscente e lei il suo ministro dello Sviluppo. Un’era politica fa, eppure è passato solo un anno e mezzo. Cosa accadde e perché decise di non salire in campo col Professore? E oggi cosa vuole fare da grande?

R. - «Alla partenza di Scelta civica decisi senza dubbi di non farne parte: non vedevo la forte novità di cui c’era bisogno e che avevo messo come condizione per il mio impegno. Il mio fu un “no” alle vecchie facce e alle combinazioni esistenti. Montezemolo, Casini e Fini convinsero l’allora premier a entrare in un cartello elettorale di partiti e leader esistenti, e decisi di non starci».

D. - Lo 0,72% alle Europee di ciò che resta del simbolo montiano l’avrà fatta sorridere

R. - «Un insuccesso inevitabile: non c’erano né grandi leadership né grandi idee in quel progetto».

D. - Lo stesso voto del 25 maggio ha fotografato una situazione molto critica nell’area del centrodestra. Libero ha avviato una discussione su idee e facce per la “rifondazione” di questa area. Le chiedo: in questo contesto Silvio Berlusconi è ancora un nome proponibile?

R. - «Bisogna rispettare la storia delle persone, ma avere anche il coraggio di dare un segnale di rinnovamento. Del resto sono stati gli italiani a bocciare chiaramente l’attuale offerta politica del centrodestra”».

D. - Assomiglia a un “no”. Detto questo, perché ha stravinto Renzi?

r. - «Per alcune ragioni solide: è impossibile non riconoscere la capacità del premier di dare una forte sensazione di energia e ottimismo dopo governi tristi e stanchi. Ma anche per condizioni irripetibili: la “sindrome Grillo” ha fatto sì che il Pd fosse percepito come l’unica alternativa al pericolo istituzionale che sembrava crearsi con un trionfo del Movimento 5 Stelle. E' stata una campagna elettorale di acquisto voti: gli 80 euro, che non sono 80, hanno sicuramente convinto molti a votare Renzi. Ma la ragione principale del successo è stata un’altra: Renzi ha sostanzialmente giocato a porta vuota per mesi. E questo spiega perché metà degli italiani non ha votato o ha votato scheda bianca o nulla. Non si ritrovano in alcuna delle offerte politiche disponibili. Il 40% del Pd va quindi letto come il 20% degli elettori: in valore assoluto sono un milione di voti in meno di quando Veltroni raggiunse il precedente record del 33%».

D. - Vede a rischio il bipolarismo dopo uno sfaldamento simile? In altre parole, a lei sta a cuore la ricostituzione di un’offerta politica di centrodestra in Italia? E su che basi? Con che ruolo per lei?

R. - «Proprio perché è a rischio, serve un bipolarismo vero costruito sulle due grandi famiglie politiche: socialisti e liberali-popolari. Se il primo “settore” ha dato mostra di sapersi riorganizzare, pur con vari limiti, dall’altra parte per ora si vede ben poco e anche con scarsa capacitò di autocritica. L’attuale frammentazione, la radicalizzazione delle posizioni e l’asservimento a Renzi non potrebbero che spingere altri indecisi verso il Pd».

D. - Ma quali sono i pilastri su cui costruire un’offerta politica di questo tipo? Il 14 giugno lei terrà la convention di Italia Unica: cosa dirà e farà?

«Il nostro viaggio è partito in febbraio dopo mesi di preparazione e vuole essere un grande richiamo allo sviluppo, una risposta concreta all’urlo di dolore di 10 milioni di persone che non hanno lavoro o sono prive di un lavoro sufficiente, alle tante aziende forti che possono trainare la ripresa e alle tantissime in difficoltà. 400 miliardi da mobilitare tra investimenti, credito e soldi in tasca a imprese e famiglie. 50 miliardi di tasse in meno per famiglie e imprese. Modello di sviluppo basato su istruzione, sviluppo, cultura e ambiente».

D. - Renzi sottoscriverebbe

R. - «Non direi. Il Def prevede ben 50 miliardi di aumento delle spese correnti dello Stato e un taglio ulteriore degli investimenti, cioè l’esatto opposto di quel che sto dicendo. Se vanno in quella direzione sarà impossibile tagliare le tasse. Vogliamo uno Stato davvero leggero: qui vedo invece tentativi di riforme di Senato e province dove non cambia letteralmente nulla. Portiamo piuttosto il Parlamento a una sola Camera, e facciamo veramente uscire i partiti da imprese, Rai e sanità. Dovunque io sia andato durante il viaggio, la sensazione è di soffocamento da burocrazia. C’è invece tanta energia da liberare. Abbiamo progetti per dare soluzioni economiche e istituzionali e il 14 giugno queste proposte diventeranno un cantiere offerto alla politica e al governo».

D. - Quindi considera questo governo un interlocutore? Renzi ha parlato di un partito della nazione, capace di attrarre anche a destra.

r. - «Faccia quel che crede, ma non c’è democrazia moderna senza una reale offerta bipolarista. Mi pare che questa del partito della Nazione sia l’ennesima deriva populista e partitista che non ha niente a che vedere con una democrazia matura. L’Italicum non va bene anche per questo: forza a combinazioni troppo eterogenee e non assicura governabilità».

D. - Insomma, farebbe il premier?

R. - «Nasce un cantiere aperto. Non c’è limite a quel che può diventare. A partire dal programma noi ci siamo e io ci sono».

D. - Mettiamola così: se il centrodestra decidesse di darsi un leader con le primarie, se la sentirebbe di sfidare Berlusconi, Alfano, Salvini o chi per loro?

R. - «Guardi, io voglio creare una cosa che oggi non c’è. Primarie per mettersi alla guida di cose vecchie non mi interessano. Ci vuole un progetto per ridare agli italiani che da vent’anni aspettano una rivoluzione liberale sempre e solo annunciata, una ragione per un nuovo impegno. E allora si potrà parlare anche di primarie».

D. - Ecco: quando saranno?

R. - «Tra l'anno prossimo o il 2018 noi ci saremo. Il nostro è un progetto di lungo respiro. Oggi parlano di governo di legislatura, ma purtroppo i tempi potrebbero essere più brevi se si andasse avanti con la politica degli ultimi tre mesi. Sarebbe la crisi economica e sociale a forzare il ritorno alle urne».

D. - Alcune ricostruzioni attribuiscono a lei un progetto economico diffuso alla fine del governo Berlusconi in cui, tra le altre cose, avanzava la proposta di una patrimoniale cospicua. Se è vero, come si concilia con le critiche sulla pressione fiscale?

R. - «L’estate 2011 vedeva l’Italia scivolare verso il commissariamento. In tutte le sedi avevo ipotizzato una serie di interventi di grande impatto, tra cui una patrimoniale alternativa alla property tax, poi realizzatasi con l’Imu, per finanziare il riavvio degli investimenti. Tre anni dopo, visto quel che è successo, è inimmaginabile parlare di qualsiasi nuova tassa, e tantomeno di patrimoniale».

D. - Nell’ultima campagna elettorale, Lega a parte, il problema del ruolo dell'Italia in Europa e quello della moneta unica non è stato di fatto posto. Eppure Mario Draghi da settimane ha indicato temi fin qui riservati agli “anti-euro”: il cambio troppo forte, la deflazione in atto. Pensa sia così folle ragionare su una disarticolazione dell’euro?

R. - «Considero una grave responsabilità non aver parlato di Europa e di euro, tanto più alla luce del semestre di presidenza. L’Europa è il nostro contesto per garantire pace, prosperità e un ruolo da grande potenza nei prossimi decenni. Sono stati fatti passi importanti ed errori, fin dall’introduzione dell’euro e poi allo scoppio della crisi. Oggi però la BCE sta diventando una vera Banca Centrale e sono certo che riporterà il valore dell’euro più vicino al punto di partenza, favorendo le nostre esportazioni e garantirà liquidità al mercato legandola all’effettiva erogazione del credito alle imprese. Ma ciò che veramente mi aspetto, è la prova che l’Europa crede nello sviluppo. E’ ora di avviare un Piano straordinario di 1.000 miliardi di euro da finanziare solidalmente (eurobond, BEI, ecc) per far fare un salto in avanti alla competitività del sistema-Europa».

D. - Lei si è battuto perché i debiti commerciali scaduti della PA venissero saldati. Come si sta comportando Renzi in proposito?

R. - «Grandissima delusione. Il suo impegno è finito nelle pastoie burocratiche. Il modo per pagare subito 100 miliardi c’è, la Spagna l’ha dimostrato, e anche di questo il 14 giugno parleremo»

D. - Tanti progetti, ma non rischia di finire contro il muro del 3% che sta inguaiando Renzi?

R. - «Possiamo rimettere in moto l’economia italiana senza deroghe. Mi fanno sorridere quelli che insistono con la necessità dei pugni sul tavolo. Per poter difendere i nostri diritti in Europa dobbiamo essere credibili, presentare riforme profonde e dimostrare la volontà di realizzarle».

D. - Lei è stato archiviato per due indagini relative al suo lavoro precedente, un'altra è tuttora aperta. Teme condizionamenti da parte dei pm?

R. - «No. Guidare aziende con centomila dipendenti e decine di milioni di clienti comporta un carico di responsabilità rilevanti. Con la magistratura abbiamo sempre collaborato e sempre si è dimostrata la linearità dei miei comportamenti».

(dal sito www.italiaunica.it - 3 giugno 2014)

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