La crisi ha scaricato i suoi effetti su una sola componente del mercato del lavoro, quella giovanile. Nel 2009 tra gli occupati di 15-34 anni si sono persi circa 485.000 posti di lavoro (-6,8%) e nei primi due trimestri del 2010 se ne sono bruciati quasi altri 400.000 (-5,9%). Di contro, se si esclude la fascia immediatamente successiva, dei 35-44enni, dove pure si è registrato un decremento del livello di occupazione (-1,1% tra il 2008 e il 2009 e -0,7% nel 2010), in tutti gli altri segmenti generazionali, non solo l’occupazione ha tenuto, ma è risultata addirittura in crescita: è aumentata di 85.000 unità tra i 45-54enni (+1,4% tra il 2008 e il 2009) e di oltre 100.000 tra gli over 55 (+3,7%). I primi segnali relativi al 2010 (+2,4% per i primi, +3,6% per i secondi) sembrano andare nella stessa direzione. Tra le ragioni che hanno visto così penalizzata la componente giovanile del lavoro vi è il loro maggiore coinvolgimento nei fenomeni di flessibilità: tra il 2008 e il 2009, a fronte della sostanziale tenuta del lavoro a tempo indeterminato, si è registrata una fortissima contrazione sia del lavoro a progetto (-14,9%), sia del lavoro temporaneo (-7,3%).
Nell’ultimo decennio, a fronte di una crescita del lavoro dipendente di 2.406.000 unità (+16,2% tra il 1999 e il 2009), i lavoratori autonomi sono diminuiti di circa 200.000 unità (-3,8%), portando la loro incidenza sul totale degli occupati dal 26,6% al 24,5%. Tra le diverse tipologie di lavoro autonomo, ad essere più in crisi è quella imprenditoriale. Tra il 2004 e il 2009, il numero di imprenditori è passato da 400.000 circa a 260.000, cioè 140.000 in meno (-35,1%). Il lavoro libero professionale ha registrato una piccola crescita (+2,2%), mentre i lavoratori in proprio (piccoli artigiani e commercianti) hanno visto indebolite le loro fila di oltre 90.000 occupati (-2,5%). Sono soprattutto i giovani a cimentarsi di meno nell’attività in proprio. I lavoratori autonomi con meno di 35 anni sono passati da 1.480.000 a 1.070.000, 400.000 in meno (-27,8%), mettendo così in discussione una delle più consolidate certezze del sistema di sviluppo italiano.
La maggioranza degli italiani sembra ormai convinta che la crescita di competitività di cui il sistema-Paese ha bisogno non possa avvenire senza un surplus di impegno da parte di tutti. Circa l’80% si dichiara d’accordo sul fatto che la retribuzione dei lavoratori dovrebbe essere collegata per una quota significativa alla produttività individuale. Una delle strade da percorrere è il rilancio della contrattazione decentrata. Nell’ultimo decennio, tra le aziende industriali con oltre 20 addetti il ricorso alla contrattazione di secondo livello è andato progressivamente diminuendo: se alla fine degli anni ’90 il 43,4% delle aziende aveva sottoscritto nel corso del decennio (1990-1998) almeno un contratto integrativo aziendale, coinvolgendo il 64,1% degli addetti, nel 2008 la percentuale è scesa al 30,6% e quella degli occupati al 54,4%.
Nell’ultimo decennio il terziario è stato, assieme alle costruzioni, il settore che più ha contribuito all’aumento della forza occupazionale del Paese, con la creazione di 2,2 milioni di nuovi posti di lavoro tra il 1999 e il 2009. Si sono così colmate le perdite registrate nell’agricoltura (-150.000 unità circa) e nell’industria (-280.000 lavoratori). La capacità di crescita del terziario si è andata però progressivamente esaurendo: il contributo alla creazione di nuova occupazione è passato da 1,3 milioni nel quinquennio 1999-2004 a 890.000 nel quinquennio 2004-2009. L’andamento negativo dell’ultimo anno (-0,8% tra il 2008 e il 2009), non controbilanciato da una ripresa nell’anno in corso (al secondo trimestre del 2010 i dati evidenziano una tendenziale stagnazione), sembra confermare i segnali già emersi. Le dinamiche interne al settore terziario sono tuttavia molto differenziate. Il mondo dei servizi sociali alla persona e alla famiglia è un’area in forte crescita occupazionale (+36,3% tra il 2004 e il 2009). Il terziario alle imprese è un comparto in consolidamento, registrando una significativa crescita del lavoro (+9,9%). Altri comparti stanno vivendo una vera e propria fase di metamorfosi, con uno stravolgimento degli assetti organizzativi, come il turismo (+12,7% di occupati) e la grande distribuzione (+14%). All’insegna dell’immobilismo altri comparti come il credito, le assicurazioni e i trasporti, dove non si riscontrano apprezzabili fenomeni sul versante del lavoro. In forte ridimensionamento occupazionale è il commercio al dettaglio (-6,1% di occupati) e la Pubblica Amministrazione (-2,8%).
L’occupazione femminile sembra resistere meglio di quella maschile. Tra il 2008 e il 2009 sono stati gli uomini a registrare i maggiori contraccolpi della crisi, con una perdita secca di 274.000 occupati (-2%). Anche le donne hanno visto ridurre la propria partecipazione al lavoro, ma in misura meno drammatica: sono stati bruciati 105.000 posti di lavoro femminili, con un calo netto dell’1,1%. Una tendenza che sembra confermata anche nel 2010, considerato che nei primi due trimestri dell’anno, a fronte di un’ulteriore contrazione dell’occupazione maschile dell’1,1%, quella femminile registra un calo solo dello 0,5%.
Il 44,3% dei collaboratori domestici ha avuto almeno un incidente sul lavoro nell’ultimo anno, l’11,3% addirittura più di uno. Secondo l’indagine del Censis, si tratta di incidenti che nella maggior parte dei casi non comportano alcun tipo di inabilità al lavoro (48,6%), né l’esigenza di assentarsi (71,5%). Tuttavia, una quota non trascurabile di infortuni (il 28,5%), oltre a produrre effetti sulla salute di colf e badanti, condiziona il proseguimento dell’attività comportando l’assenza dal lavoro per inabilità: nel 18,8% dei casi superiore a tre giorni, nell’11,9% superiore a una settimana. Bruciature (18,7%), scivolate (16,1%), cadute dalle scale (12,2%) sono gli incidenti più frequenti tra colf e badanti. Ma la casistica appare ampia, con casi frequenti di ferite prodotte dall’utilizzo di coltelli o elettrodomestici (8,6%), strappi e contusioni da sollevamento (7,6%), intossicazioni con prodotti per pulire (4,2%), scosse elettriche (3,6%). I lavoratori domestici si rivelano poco attenti al problema. Il 12,4% dichiara di non preoccuparsi più di tanto della propria sicurezza, e chi lo fa preferisce le soluzioni «fai da te»: nel 46,1% dei casi dichiarano di affidarsi all’esperienza, nel 18,6% di mantenere la concentrazione durante il lavoro. Solo il 22,9% mostra curiosità e attenzione dichiarando di informarsi sulla materia.
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