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Brevissimo commento

Poche e brevissime osservazioni di commento alla vicenda:
1) Sarà il processo a stabilire l'innocenza o la colpevolezza di Giovanni Toti. Prima del processo nessuno ha il diritto di anticipare giudizi. Comunque nel nostro ordinamento vige il principio secondo cui nessuno può essere ritenuto colpevole sino a sentenza passata in giudicato.
2) In uno Stato di Diritto è inammissibile che la volontà politica degli elettori, democraticamente espressa, possa risultare così pesantemente compromessa dall'intervento a gamba tesa del potere giudiziario. In Italia c'è un'emergenza della salvaguardia di prerogative della politica, rispetto ad interventi di altri poteri dello Stato. Tutto ciò è il risultato del tarlo avvelenatore dell'antipolitica; è necessario che la funzione politica riprenda la propria dignità, anche tramite interventi legislativi che ne tutelino l'esercizio.
3) E infine il modo con cui la vicenda Toti si sta svolgendo: un modo da tribunale dell'inquisizione, che sembra riportarci indietro di qualche secolo. Infatti che differenza c'è fra l'uso della tortura quale mezzo per estorcere confessioni e l'uso della carcerazione preventiva per il medesimo scopo (in questo caso le dimissioni)? E' paradossale (se non pensando alla malafede) come questo non venga visto da chi va nelle piazze o sui media presentandosi come difensori della democrazia e dello Stato di Diritto.

Paolo Razzuoli

Toti assunto dagli elettori, licenziato dai magistrati: esultano i forcaioli ma solo i più stupidini possono godere

di Tiziana Maiolo (1)

I giustizialisti fanno festa senza considerare che la partita politica è aperta: il governatore è già stato premiato due volte alle urne e la Liguria è una Regione modello. L’entrata a gamba tesa delle toghe potrebbe non bastare

Giovanni Toti non è più il presidente della Regione Liguria. Assunto dagli elettori, licenziato dai magistrati. Ha lasciato con una lettera dignitosa e senza sbavature, con il rammarico per un’opposizione che ha saputo solo “cavalcare” l’inchiesta giudiziaria, e l’invito agli alleati a non “perdersi in egoismi e particolarismi”. E ha ragione su tutti e due i contendenti. Non una parola su chi lo ha tenuto prigioniero per 80 giorni. Ma non è detto che sia lui, che ha dovuto combattere a mani nude contro una corazzata in toga, ad aver perso la guerra: questo lo si vedrà nel prossimo futuro. Per ora sono loro, i padroni del pallone, o meglio delle chiavi del carcere, a sembrare i vincitori, perché hanno ottenuto le dimissioni del governatore, dopo averlo preso per il collo e averlo trattenuto prigioniero dal 7 maggio al 26 luglio.

La resa ottenuta dalle toghe

Le toghe genovesi, tutte quante, dallo squadrone della Procura guidato dal capo, Nicola Piacente, fino alla gip Paola Faggioni, fino ai tre giudici del riesame, sono la dimostrazione plastica di quanto sarebbe necessaria e urgente la separazione delle carriere. Ma anche quanto potere riesca a esercitare chi è in grado, proprio perché detiene nelle mani l’altrui libertà, di maneggiare il codice di procedura penale fino a farlo diventare il nodo scorsoio destinato a ottenere la resa dell’altro. E a poco serve, in casi come quello del governatore Giovanni Toti, disporre di un bravo avvocato come Stefano Savi. Che ha dovuto pure lui, dopo 80 giorni, arrendersi, e forse, al di fuori della politica, dare anche qualche buon consiglio al proprio assistito.

Dimissioni Toti, solo i più stupidini possono godere

Esce di scena, per ora, con molta dignità, colui che per due volte – nel 2015 contro Raffaella Paita e nel 2020 sbaragliando il grillino Ferruccio Sansa – i cittadini liguri hanno voluto alla propria guida. E ora è un gruppo di magistrati a cancellare, a suon di intercettazioni e ordinanze, quel voto popolare.
Toghe rosse? E chi se ne frega, avrebbero scritto in prima pagina i redattori di una testata che fu gloriosa negli anni settanta, “Cuore”. Solo i più stupidini tra coloro che – al seguito di Elly Schlein, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli – si sono fatti accompagnare sul pullman gratuito a Genova l’8 luglio per manifestare contro un carcerato, possono da ieri godere. E stringersi al fianco dei giudici-compagni (compagni di scuola, compagni di niente, ci disse Antonello Venditti), e darsi di gomito con complicità perché il loro sbarco sudato dalla corriera è stato annunciato da un assurdo e paradossale secondo mandato per Toti. Quello in cui si diceva che uno stesso fatto non era da qualificarsi solo come atto di corruzione, ma anche di violazione della legge sul finanziamento dei partiti. Sono i famosi spot di Esselunga su Primocanale, che avrebbero contenuto in pancia anche un pizzico di campagna elettorale in favore del sindaco di Genova Marco Bucci per conto della Lista Toti. Miracoli dell’uso da giocolieri del codice di procedura! I famosi mandati a grappolo, croce e delizia della procura di Milano fin dagli anni settanta e le inchieste sul terrorismo di Armando Spataro, e poi, vent’anni dopo, dalla procura di Saverio Borrelli sui reati contro la Pubblica amministrazione, la mitica stagione di Tangentopoli e Mani Pulite. Ma dove stanno la novità e l’astuzia di oggi a Genova? Nel fatto di aver scoperto, in corso d’opera che – per fare un esempio – Tizio non si era limitato a uccidere Caio, ma gli aveva anche provocato lesioni.
Due diverse qualificazioni del fatto, di cui una dovrebbe contenere l’altra, e invece diventano due pallottole diverse che cambiano il quadro difensivo dell’indagato. Il quale è costretto, per riavere la libertà, a presentare diversi ricorsi. Uno, del tutto inutile, visto il risultato dell’ordinanza precedente, quella il cui senso neppure lo stesso ministro Nordio ha compreso, al tribunale del riesame. E un altro, gemello del primo già in itinere, in Cassazione. E nel frattempo dover lottare per la propria libertà, con i giornali di regime che ti soffiano sul collo, quasi non avessero atteso altro per i nove anni del governo di centrodestra, con appesa sulla testa la spada di Damocle del processo di rito immediato “cautelare”. Quello che si celebra celermente e direttamente in aula, scavalcando il giudice dell’udienza preliminare. E chissà come la pensa quello già fissato di turno in tabella a Genova. Ma soprattutto andando a giudizio in manette, per tutta la durata del processo. Domestiche, certo, ma si tratta sempre di privazione della libertà.

Toti, battaglia impari: pm armati, lui a mani nude

A questo quadro e a questi espedienti, che non sono “contra legem”, ma neppure casuali e di ordinaria applicazione, dobbiamo aggiungere gli antefatti, e cioè quattro anni di sorveglianza stretta di Toti, con l’uso di cimici, trojan e intercettatori vari, al termine dei quali la selvaggina nel paniere della Procura è apparsa veramente scarsa. Perché siamo sempre ai 74.000 euro versati dall’imprenditore Aldo Spinelli alla lista del governatore in trasparenza e legalità, ma interpretati come oggetto di scambio politico-elettorale. E agli spot di Esselunga su Primocanale. Con l’aggiunta addirittura di un fatto inesistente, il progetto di privatizzazione di una spiaggia, che comunque non si sarebbe neppure potuta fare. Così siamo alla resa delle armi di una battaglia impari, perché una delle parti era armata e l’altra giocava a mani nude. Ma nessuno ha ancora vinto la guerra. E quella della politica è tutta aperta. Ci pensi bene chi sta già assaporando la tripletta autunnale, dal momento che persino l’università svedese di Goteborg ha citato la Liguria come la meglio amministrata tra le Regioni italiane a statuto ordinario. Buona amministrazione o “sistema” di corruzione e malgoverno? E se il vero “sistema” invece fosse quell’altro?

note

(1) Tiziana Maiolo: Politica e giornalista italiana è stata deputato della Repubblica Italiana nella XI, XII e XIII legislatura.

(2) Il testo della lettera di Giovanni Toti. Nel testo della lettera di dimissioni, pubblicato dal Corriere.it, Toti scrive: “Io sottoscritto, Giovanni Toti, con questa mia rassegno dimissioni irrevocabili da presidente della Giunta regionale della Liguria, carica alla quale sono stato proclamato con atto dell’ufficio centrale per l’elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale della Liguria presso la Corte di appello di Genova in data 8/10/2020. Inoltro questa mia alle autorità in indirizzo per tutte le competenze di legge relative alla gestione transitoria dell’ente e l’avvio delle procedure per l’indizione di nuove elezioni”.
Nella lettera che Giovanni Toti ha inviata ai vertici regionali si legge:  “Dopo tre mesi dall’inizio dei miei arresti domiciliari e la conseguente sospensione dall’incarico che gli elettori mi hanno affidato per ben due volte, ho deciso sia giunto il momento di rassegnare le mie irrevocabili dimissioni da presidente della Giunta regionale della Liguria. Oggi sento come necessario che i cittadini tornino ad esprimersi per ridare alla politica, al più presto, quella forza, quella autorevolezza, quello slancio, indispensabili ad affrontare le moltissime sfide che la Regione ha di fronte per continuare nel percorso di modernizzazione e crescita economica” aggiunge Toti. “Lascio una Regione in ordine. Ho atteso fino ad oggi per rassegnare le mie dimissioni per consentire al Consiglio regionale di approvare l’assestamento di bilancio e il rendiconto, fondamentali per la gestione dell’ente” conclude.

(da Il riformista - 27 luglio 2024)

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