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La commedia all'italiana - Meloni con gli europeisti e Salvini con Trump, quanto potrà durare?

 

di Amedeo La Mattina

 

La premier lavora per la riconferma di von der Leyen in cambio di tolleranza sui vincoli di bilancio. Il suo alleato fa la ola per il palazzinaro che mina la stabilità continentale e italiana. Quanto potrà durare?

 

 

In una realtà politicamente normale, con un'opposizione forte, credibile e unita, la maggioranza sarebbe in crisi. Ci sarebbero vertici a raffica, rimpasti, vendette, agguati parlamentari. Invece niente, solo tossine che si stanno però accumulando nel corso del secondo anno del governo Meloni. Non sappiamo, oggi, quanto e fino a che punto queste tossine riusciranno ad avvelenare i rapporti tra alleati. Rimane il fatto che i partiti del centrodestra fanno tutte le parti in commedia: si fanno opposizione a vicenda, si fregano i candidati alle regionali, lottano sulle nomine pubbliche, per la gestione dei fondi del Pnrr che la presidente del Consiglio ha messo nelle mani di Raffaele Fitto, tirando il collo al ministro delle Infrastrutture. Ma se c'è una cesura verticale tra gli alleati è la politica estera. In particolare le diverse posizioni in Europa e rispetto agli Stati Uniti nella sciagurata prospettiva Donald Trump.

E allora focalizziamo l'attenzione su quello che hanno detto Giorgia Meloni e Matteo Salvini negli ultimi giorni. Partiamo dalla visita a Forlì dell'altro ieri di Ursula von der Leyen. La presidente della Commissione Ue si è sperticata in parole mielose per il governo italiano, in particolare per la «carissima Giorgia». Un tripudio di riconoscimenti sulla revisione del Pnrr e la tabella di marcia per l'attuazione del Piano di ripresa e resilienza: «Metà dei fondi sono già stati erogati, bellissima notizia». E Meloni ha ricambiato: «Abbiamo lavorato insieme in modo molto proficuo».

Insomma, è sempre più forte l'intesa tra le due donne di potere e l'intenzione della presidente del Consiglio italiana di riconfermare l'esponente del Partito Popolare alla presidenza della Commissione Ue. Al di là delle moine, dei baci, dei riconoscimenti reciproci, in ballo c'è anche il destino e il futuro della destra italiana. Perché è chiaro che von der Leyen e il leader dei Popolari europei Manfred Weber stanno cercando di tenersi stretta una destra potabile rispetto a quella estrema di Identità e Democrazia, di Matteo Salvini, Marine Le Pen e dei neonazisti di Alternative für Deutschland. Sapendo, i Popolari, che qualcosa dovranno pagare per avere i voti dei Conservatori di cui fanno parte Fratelli d'Italia. Non sono voti gratuiti, soprattutto quando ritorneranno i vincoli del Patto di stabilità e l'Europa si troverà sottoposta a un enorme stress test nell'ipotesi malaugurata del ritorno di Trump alla Casa Bianca.

Il gioco si farebbe durissimo, il destino dell'Ucraina sarebbe a serio rischio, la Nato indebolita, i Paesi baltici esposti alle grinfie insanguinate della Russia, i governi europei costretti a prepararsi, anche dal punto di vista militare, all'America First. Le spese militari dovrebbero essere aumentate in maniera considerevole, quelle sociali invece ridotte. È di ieri la dichiarazione del presidente del comitato militare della Nato, l'ammiraglio Ron Bauer al termine della riunione dei capi di stato maggiore alleati: le opinioni pubbliche dei Paesi che compongono la Nato devono capire che non si può dare per scontata la pace nei prossimi anni.

Di fronte a questo scenario, al quale va aggiunto lo sconcertante scenario mediorientale, la piccola Italia si regge su una maggioranza politica nella quale la Lega diventerà sempre più insofferente, più bicefala tra spinte più di destra (vedi la probabile candidatura alle europee del generale Vannacci) e quelle più moderate incarnate da Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia. Salvini venderà cara la pelle mentre perderà sempre di più posizioni di potere. Piccoli ma significativi segnali sono la resa sulla Sardegna, in prospettiva lo stesso Veneto o una delle Regioni del nord a favore di Fratelli d'Italia. Ancora peggio quando rimarrà fuori dal portone di Palazzo Berlaymont nel quale si salderanno i rapporti ai quali stanno lavorando Ursula e Giorgia per tenere a bada le derive estremiste.

Derive che potranno essere forti e deleterie per la Comunità europea soprattutto se si sommeranno alle cattive intenzioni di Trump. Non è un caso che la presidente del Consiglio italiana non abbia fatto i complimenti al tycoon americano per la sua vittima nei caucus dell'Iowa. Mentre Salvini ha immediatamente espresso il suo entusiasmo. Non perde l'occasione per fare la ola a Donald e sparare cannonate contro Bruxelles.

Vedremo quanto reggerà Meloni dentro l'asse atlantico, senza lasciarsi tentare dalle sirene di Trump, che in passato era la sua stella polare. Si troverà a un bivio: rimanere accanto alla carissima Ursula, e a quello che la sua rielezione comporterà, dentro un'Europa costretta forse a diventare sempre più Stato, come ha auspicato di recente Mario Draghi; oppure dare retta al suo alleato leghista che non vede l'ora di rivedere Trump dentro lo Studio Ovale.

Divergenze di questo livello abbatterebbero un toro, farebbero saltare qualunque maggioranza ma in Italia la legge gravitazionale del potere sembra più forte. Finora. L'unico modo che ha Meloni per fare quello che vuole è di rivedere fino in fondo i rapporti di forza dentro la coalizione. Il voto europeo le servirà per mettere a tacere alleati e oppositori interni ed esterni. Ma ne avrà bisogno tanti di voti. Sempre che alla fine il richiamo della foresta non sarà più forte.

Dio salvi il vecchio Joe. Forse pure Meloni prega per Biden, altrimenti (eterogenesi dei fini) tutto il risiko del potere, a Roma come a Bruxelles, le salterebbe tra le mani.

 

(da www.linchiesta.it – 19 gennaio 2024)

 

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