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Riforme, flebili speranze sulla giustizia: il bilancio 2023 è disastroso

di Gian Domenico Caiazza

Se un augurio dobbiamo formulare al Paese ed a noi tutti in tema di giustizia penale, è che il 2024 non abbia nulla a che vedere con il 2023.
Tanto alte erano le aspettative, legate all’avvento in via Arenula del ministro liberale Carlo Nordio, quanto desolante la lunga teoria di promesse mancate e di provvedimenti legislativi schiettamente illiberali. Non una delle riforme liberali annunciate è approdata in Gazzetta Ufficiale e nemmeno è stata seriamente impostata, mentre riforme di segno decisamente populista sono state varate a passo di carica.

Le abbiamo ricordate mille volte: dai 15 nuovi reati, all’inasprimento del regime delle intercettazioni telefoniche, all’aumento a pioggia delle pene edittali per reati già esistenti, agli inasprimenti del regime penitenziario. Insomma, l’esatto contrario di quanto promesso agli elettori, e di quanto solennemente preannunciato davanti alle Camere dal Ministro Guardasigilli. Ciò che ha sorpreso al di là di ogni più pessimistica aspettativa è stato proprio il segno culturale della politica giudiziaria in questo primo anno di governo. Vale a dire il segno di rigorosa continuità con l’esperienza del populismo giustizialista della sciagurata stagione gialloverde guidata dal prof. Conte.

Nuovi reati dettati dalla cronaca e dai social; identificazione assoluta tra pena e carcere; retorica dell’antimafia come veicolo di ogni possibile controriforma in materia processuale. Le poche cose buone (penso ad esempio alla eliminazione della equiparazione tra reati di corruzione e reati di mafia in fase esecutiva) sono state frutto di singole iniziative parlamentari di parte della maggioranza in coordinamento con la componente liberale e garantista delle opposizioni. Se queste sono le premesse, tanto vale puntare almeno su alcuni obiettivi minimi ma concreti, in attesa di tempi migliori. Il primo dovrebbe riguardare, quanto alla pur differita riforma costituzionale della separazione delle carriere, almeno la scelta di campo chiara ed inequivoca da parte del Governo del modello di riforma.

Non parole generiche, ma la adozione inequivocabile ed immediata di un testo (e l’auspicio è che sia quello scelto dai gruppi parlamentari di Forza Italia, Lega, Italia Viva ed Azione, cioè quello delle Camere Penali Italiane sottoscritto da 72mila cittadini). La seconda: abrogare, come dal primo giorno chiesto dai penalisti italiani, la assurda norma della riforma Cartabia che, imponendo cervelloticamente una nuova procura al difensore per proporre appello, falcidia impietosamente il diritto di impugnazione dei soggetti più deboli, in precario contatto con il proprio difensore d’ufficio. Terzo: almeno riaprire il dibattito sulle misure alternative al carcere, sul modello già elaborato nel dettaglio dalla Commissione Giostra nel 2017, per prevenire il disastro umanitario che sta per abbattersi sulle carceri italiane, e la inevitabile nuova condanna CEDU. Non certo una rivoluzione liberale, quella -facciamocene una ragione- necessita di ben altri interpreti. Ma almeno un segnale che inverta il disastroso bilancio 2023.

(da Il Riformista - 5 gennaio 2024)

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