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Nordio prova a riformare la giustizia come non c’è mai riuscito nessuno

di Amedeo La Mattina

La riforma della giustizia che il ministro Carlo Nordio ha delineato in Parlamento in questi ultimi due giorni sta agitando i Pm e incentivando Cinquestelle e Partito Democratico a serrare i ranghi. La parte civile della riforma rientra nelle priorità del Pnrr. La riforma del Codice penale ha un risvolto costituzionale che complica il passaggio parlamentare, ma allo stesso tempo crea un’opportunità politica.

Sarà una battaglia durissima che il centrodestra storicamente non ha mai vinto, neanche quando Silvio Berlusconi mostrava i denti contro le toghe rosse e caricava come un ariete. A questo giro, con la destra meloniana trainante e i leghisti senza forca, ha buone possibilità di farcela. Su questo terreno, e non solo, la maggioranza non ha avversari coesi, mentre sulla carta potrebbe contare sui voti del Terzo Polo. Una strada pericolosa che Carlo Calenda e Matteo Renzi potrebbero attraversare, bruciandosi i ponti alle spalle con gli altri oppositori e aiutando Giorgia Meloni a realizzare un progetto più complessivo che non si limita alla giustizia.

 

È un passaggio, anzi sarà un passaggio (siamo ancora alle enunciazioni di principio, nessuna proposta di legge scritta nero su bianco) che porta tutta la destra a suonare lo spartito tradizionale di Forza Italia dopo aver chiuso nel baule della memoria i cappi agitati in aula e le monetine lanciate contro Bettino Craxi. Preistoria politica.

 

Il merito delle intenzioni del Guardasigilli sono note. A proposito delle intercettazioni, il ministro dice di non volere eliminare ma regolamentare per evitare il ludibrio e la gogna della divulgazione mediatica. Superare le fattispecie dell’abuso d’ufficio e del traffico di influenze, considerate «reati evanescenti» che paralizzano gli amministratori e usate per uccidere le cartiere politiche dei nemici. Tra le altre cose, si salirà di livello e si arriverà a nuove norme sull’obbligatorietà dell’azione penale e sulla separazione delle carriere. È soprattutto qui che bisognerà mettere mano alla Costituzione, «senza che questo significhi assoggettare i magistrati all’esecutivo», sostiene Nordio. «Chi sostiene che questo sia il mio obiettivo – sostiene il ministro della Giustizia – mi offende personalmente, dopo 40 anni di magistratura, e fa speculazione politica per non dire che il problema esiste».

Ma l’ex magistrato, che negli anni ’90 a Venezia portò alla sbarra il ministro democristiano Carlo Bernini e quello socialista Gianni De Michelis e polemizzò con i colleghi di Milano (li accusò di essere mossi da intenti politici), vuole aprire un confronto: «l’opposizione è il sale della fertilità». Una pia illusione se pensa al Pd o ai Cinquestelle. Discorso diverso, come dicevamo, se gli interlocutori saranno quelli del Terzo Polo.

 

In sostanza, Giorgia Meloni aprirà una fase costituente con una parte del Parlamento che potrebbe sommare la riforma della giustizia e quella istituzionale. Una riforma della Costituzione che apra la strada anche al presidenzialismo, da affiancare all’autonomia differenziata. La presidente del Consiglio ha sempre detto che le due cose devono marciare insieme perché il presidenzialismo rende equilibrato il progetto leghista. È scritto nel programma con cui il centrodestra si è presentato e ha vinto alle elezioni del 25 settembre.

 

Sarebbe la classica quadratura del cerchio. Silvio Berlusconi vedrebbe coronato il sogno di spuntare le unghie ai magistrati. Matteo Salvini quello dell’autonomia regionale. Meloni blinderebbe la sua maggioranza negli anni necessari per fare le lunghe letture parlamentari e approvare la riforma costituzionale. Meloni arriverebbe al 2024 sull’onda lunga che potrebbe regalarle un voto europeo scoppiettante e il 30% che oggi i sondaggi assegnano a Fratelli d’Italia.

 

Un sogno o un incubo? Dipende dai gusti politici. Se il sogno si realizzerà, questo governo guiderà l’Italia fino alla fine della legislatura. Poi si porrà il problema dell’elezione diretta del capo dello Stato, a tre anni dalla scadenza del mandato di Sergio Mattarella. Meloni è giovane e determinata: potrebbe aspettare ancora qualche anno al governo, un nuovo governo, e correre lei stessa per il Quirinale. Un altro record, una donna per la prima volta a Palazzo Chigi e poi sul più alto Colle.

 

Il punto è se i suoi compagni di viaggio, contenti di avere fatto la grande riforma, consentiranno di aprire una lunga era meloniana. Sempre che nel frattempo siano capaci, tutti insieme, di gestire anche l’economia e spendere la montagna di miliardi del Pnrr.

  

Sempre che quel pezzo di opposizione disponibile a essere il sale della fertilità abbia la lucidità di sottrarsi al disegno politico altrui o di parteciparvi consapevolmente.

 

(da www.linchiesta.it - 8 dicembre 2022)

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