a cura di Paolo Razzuoli
Paura di una guerra mondiale e un sentimento di maggiore insicurezza: nel rapporto Censis un'Italia post-populista e malinconica
Il 61% del campione teme che possa esplodere un conflitto globale e il 59% il ricorso all'atomica. La scuola si svuota di studenti. Insofferenza per la disparità di stipendi, ma questo non accende manifestazioni di piazza
Lo scorso venerdì 2 dicembre è stato presentato, nella sede del Cnel, l’ormai tradizionale rapporto Censis sulla società italiana, giunto alla sua cinquantaseiesima edizione.
Alla presentazione hanno partecipato Massimiliano Valerii - Direttore Generale Censis - e Giorgio De Rita - Segretario Generale Censis.
Il rapporto annuale Censis è, a mio modo di vedere, una delle più preziose occasioni di riflessione sullo stato della società italiana. E’ infatti uno studio condotto con rigore e serietà, che prende in esame molteplici e rilevanti aspetti del nostro contesto sociale.
per questo ai lettori di Fucinaidee ne ho sempre cercato di offrire un dettagliato resoconto.
Il rapporto Censis, interpreta i più significativi fenomeni socio-economici del Paese nella fase di crisi che stiamo attraversando.
Le Considerazioni generali introducono il Rapporto descrivendo una società che vive in una sorta di latenza di risposta, sospesa tra i segnali dei suoi
sensori e la mancata elaborazione di uno schema di funzionamento.
Nella seconda parte, La società italiana al 2022, vengono affrontati i temi di maggiore
interesse emersi nel corso dell’anno: il ciclo del post-populismo, l’ingresso in una nuova età dei rischi, il costo dei grandi eventi della storia, l’inceppamento
dei meccanismi proiettivi e la malinconia sociale, il riposizionamento latente del sistema economico.
Nella terza e quarta parte si presentano le analisi
per settori secondo uno schema ormai consolidato:
la formazione, il lavoro e la rappresentanza, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media
e la comunicazione, la sicurezza e la cittadinanza.
Di seguito potrete trovare una rapida sintesi dei temi trattati nel rapporto.
Consiglio comunque di approfondire i vari capitoli, mediante i comunicati pubblicati dal Censis, ai quali potrete accedere tramite il link più sotto riportato.
Addentriamoci quindi un po’ nelle pieghe del rapporto.
I grandi eventi della storia hanno fatto irruzione nelle microstorie delle vite individuali: il 61% degli italiani teme che possa scoppiare il terzo conflitto mondiale, il 59% il ricorso alla bomba atomica, il 58% che l'Italia entri in guerra.
Con l'ingresso in una nuova età dei rischi, emerge una rinnovata domanda di prospettive di benessere e si levano autentiche istanze di equità, non più liquidabili come "populiste".
La società italiana entra nel ciclo del post-populismo. Alle
vulnerabilità economiche e sociali strutturali, di lungo periodo, si aggiungono - secondo il Censis - gli effetti deleteri delle quattro crisi sovrapposte dell'ultimo triennio: la pandemia perdurante, la guerra cruenta alle porte dell'Europa, l'alta inflazione, la morsa energetica. E la paura straniante di essere esposti a rischi globali incontrollabili. Da questo quadro profondamente mutato emerge una rinnovata domanda di prospettive di benessere e si levano autentiche istanze di equità che non sono più liquidabili semplicisticamente come «populiste», come fossero aspettative irrealistiche fomentate da qualche leader politico demagogico.
La quasi totalità degli italiani (il 92,7%) è convinta che l'impennata dell'inflazione durerà a lungo, il 76,4% ritiene che non potrà contare su aumenti significativi delle entrate familiari, il 69,3% teme che il proprio tenore di vita si abbasserà (e la percentuale sale al 79,3% tra le persone che già detengono redditi bassi), il 64,4% sta intaccando i risparmi per fronteggiare l'inflazione.
Cresce perciò la ripulsa verso privilegi oggi ritenuti odiosi, con effetti sideralmente divisivi: per l'87,8% sono insopportabili le differenze eccessive tra le retribuzioni dei dipendenti e quelle dei dirigenti, per l'86,6% le buonuscite milionarie dei manager, per l'84,1% le tasse troppo esigue pagate dai giganti del web, per l'81,5% i facili guadagni degli influencer, per il 78,7% gli sprechi per le feste delle celebrities, per il 73,5% l'uso dei jet privati. Ma non si registrano fiammate conflittuali, intense mobilitazioni collettive attraverso scioperi, manifestazioni di piazza o cortei.
Alle ultime elezioni il primo partito è stato quello dei
non votanti, composto da astenuti, schede bianche e nulle, che ha segnato un record e una profonda cicatrice nella storia repubblicana: quasi 18 milioni di persone, pari al 39% degli aventi diritto. In 12 province i non votanti hanno superato il 50%. Tra le politiche del 2006 e quelle del 2022 i non votanti sono raddoppiati
(+102,6%), tra il 2018 e il 2022 sono aumentati del 31,2% (quasi 4,3 milioni in più). Per porzioni crescenti dei ceti popolari e della classe media il tradizionale intreccio lineare "lavoro-benessere economico-democrazia" non funziona più.
Oggi il 66,5% degli italiani (10 punti percentuali in più rispetto al 2019 pre-Covid) si sente
insicuro. I principali rischi globali percepiti - scrive il Censis nel suo 56esimo Rapporto - sono: per il 46,2% la guerra, per il 45,0% la crisi economica, per il 37,7% virus letali e nuove minacce biologiche alla salute, per il 26,6% l'instabilità dei mercati internazionali (dalla scarsità delle materie prime al boom dei prezzi dell'energia), per il 24,5% gli eventi atmosferici catastrofici (temperature torride e precipitazioni intense), per il 9,4% gli attacchi informatici su vasta scala.
Gli italiani non sono più disposti a fare sacrifici: l'83,2% per mettere in pratica le indicazioni di qualche
influencer, l'81,5% per vestirsi secondo i canoni della moda, il 70,5% per acquistare prodotti di prestigio, il 63,5% per sembrare più giovani, il 58,7% per sentirsi più belli. E il 36,4% non è disposto a sacrificarsi per fare carriera nel lavoro e guadagnare di più. Complessivamente, 8 italiani su 10 affermano di non avere voglia di fare sacrifici per cambiare, diventare altro da sé.
Al vertice delle insicurezze personali degli italiani, per il 53,0% c'è il rischio di non autosufficienza e invalidità, il 51,7% teme di rimanere vittima di reati, il 47,7% non è sicuro di poter contare su redditi sufficienti in vecchiaia, il 47,6% ha paura di perdere il lavoro e quindi di andare incontro
A difficoltà economiche, il 43,3% teme di incorrere in incidenti o infortuni sul lavoro, il 42,1% di dover pagare di tasca propria prestazioni sanitarie impreviste. Eppure, nell'ultimo decennio i reati denunciati in Italia si sono ridotti complessivamente del 25,4%.
Oggi siamo il Paese statisticamente più
Sicuro di sempre. I crimini più efferati, gli omicidi volontari, sono diminuiti dai 528 del 2012 ai 304 del 2021 (-42,4%). E sono in forte contrazione i principali fenomeni di criminalità predatoria: in dieci anni le rapine sono diminuite da 42.631 a 22.093 (-48,2%), i furti nelle abitazioni da 237.355 a 124.715 (-47,5%), i furti di autoveicoli da 195.353 a 109.907 (-43,7%). Nell'ultimo decennio sono aumentate solo alcune fattispecie di reato: le violenze sessuali (4.689 nel 2012, 5.274 nel 2021: +12,5%), le estorsioni (+55,2%), le
truffe informatiche
(+152,3%).
La mappa delle nuove fragilità
sociali contempla innanzitutto le famiglie che vivono in condizione di povertà assoluta: sono più di 1,9 milioni (il 7,5% del totale), cioè 5,6 milioni di persone (il 9,4% della popolazione: 1 milione di persone in più rispetto al 2019). Di queste, il 44,1% risiede nel Mezzogiorno. I giovani 18-24enni usciti precocemente dal sistema di istruzione e formazione sono il 12,7% a livello nazionale e il 16,6% nelle regioni del Sud, contro una media europea di dispersione scolastica che si ferma al 9,7%. Mediamente nei Paesi dell'Unione europea la quota di 25-34enni con il diploma è pari all'85,2%, in Italia al 76,8% e scende al 71,2% nel Mezzogiorno. È inferiore alla media europea anche la percentuale di 30-34enni laureati o in possesso di un titolo di studio terziario: il 26,8% in Italia e il 20,7% al Sud, contro una media Ue del 41,6%. Il nostro Paese detiene anche il primato europeo per il numero di Neet, i giovani che non studiano e non lavorano: il 23,1% dei 15-29enni a fronte di una media Ue del 13,1%. Ma nelle regioni del Mezzogiorno l'incidenza sale al 32,2%.
Negli ultimi cinque anni gli
Alunni delle scuole sono diminuiti da 8,6 milioni a 8,2 milioni: -4,7% (403.356 in meno). L'onda negativa della dinamica demografica è particolarmente evidente nella scuola dell'infanzia (-11,5% nei cinque anni) e nella scuola primaria (-8,3%). Anche nelle università nell'anno accademico 2021-22 si assiste a una brusca contrazione del numero delle immatricolazioni: -2,8% rispetto all'anno precedente (9.400 studenti in meno). In base alle previsioni demografiche, si prefigurano aule scolastiche desertificate e un bacino universitario depauperato. Già tra dieci anni la popolazione di 3-18 anni scenderà dagli attuali 8,5 milioni a 7,1 milioni, e nel 2042 potrebbe ridursi a 6,8 milioni (1,7 milioni in meno rispetto al 2022). Lo tsunami demografico investirà prima la scuola primaria e la secondaria di primo grado, con un decremento, rispetto a oggi, di quasi 900.000 persone di 6-13 anni nel 2032, per arrivare nel decennio successivo a colpire duramente la scuola secondaria di secondo grado: 726.000 ragazzi di 14-18 anni in meno rispetto al 2022. Tra vent'anni, nel 2042, la popolazione 19-24enne avrà subito un calo di quasi 760.000 persone rispetto a oggi: a parità di propensione agli studi universitari, si conterebbero 390.000 iscritti e 78.000 immatricolati in meno rispetto a oggi (e attualmente gli studenti stranieri sono appena il 5,5% degli iscritti all'università).
Mentre nel decennio 2010-2019 il Fondo sanitario nazionale ha registrato un incremento medio annuo dello 0,8%, passando da 105,6 a 113,8 miliardi di euro, nel 2020 è aumentato a 120,6 miliardi, con un incremento medio annuo dell'1,6% nel periodo 2020-2022 dovuto alle misure per fronteggiare l'emergenza Covid.
Ma l'incidenza del finanziamento del
Sistema sanitario
nazionale scenderà al 6,2% del Pil nel 2024 (era il 7,3% nel 2020). Dal 2008 al 2020 il rapporto medici/abitanti in Italia è diminuito da 19,1 a 17,3 ogni 10.000 residenti, e quello relativo agli infermieri da 46,9 a 44,4 ogni 10.000 residenti. L'età media dei 103.092 medici del Ssn è di 51,3 anni, 47,3 anni quella degli infermieri. Il 28,5% dei medici ha più di 60 anni e un numero consistente si avvicina all'età del pensionamento. Si stima che, nel quinquennio 2022-2027, saranno 29.331 i pensionamenti tra i medici dipendenti del Ssn, 21.050 tra il personale infermieristico. Dei 41.707 medici di famiglia, saranno 11.865 ad andare in pensione (2.373 l'anno).
A causa del
caro-bollette, si stima che 355.000 aziende (l'8,1% delle imprese attive) potrebbero subire un grave squilibrio tra costi e ricavi. La gran parte (l'86,6%) si colloca nel terziario, una parte minore (il 13,6%) nel settore industriale. Le criticità interessano 3,3 milioni di addetti (il 19,2% del totale), di cui il 74,5% nel settore dei servizi (2,5 milioni di addetti) e il 25,5% nell'industria (850.000 addetti). Se si verificassero gli esiti già osservati nelle passate ondate di crisi, sarebbero ancora una volta le microimprese a soffrire di più. Tra il 2012 e il 2020 le imprese attive si sono ridotte di 15.000 unità.
Il saldo negativo deriva dal calo nella classe di addetti fino a 9 unità (-18.115), mentre le altre classi dimensionali presentano, all'opposto, saldi positivi, soprattutto nella dimensione 50-249 addetti (+2.225 imprese).
Cliccare qui per i comunicati stampa Censis
(Materiali da www.censis.it - www.repubblica.it)
Lucca, 3 dicembre 2022