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Commento introduttivo

Mi pare di grande interesse il contributo di Angelo Panebianco che propongo ai lettori di Fucinaidee, giacché riprende il discorso sulle riforme istituzionali che, soprattutto alcune forze politiche, stanno ponendo all'ordine del giorno della loro campagna elettorale.
Tema che non riguarda solo Giorgia Meloni, bensì, se pur in altra forma, anche altri competitor.
La Meloni parla espressamente di presidenzialismo, sicuramente nel solco di una indicazione che fa parte del patrimonio valoriale di una certa destra, ma, io ritengo, anche in modo strumentale, per cercare di intercettare il consenso di quegli elettori che pensano all'uomo forte, una percentuale importante almeno stando a quanto ci diceva anche un rapporto Censis di due o tre anni or sono.
Delresto, per accorgersi della strumentalità ed incoerenza della proposta, basta ricordarsi come si schierarono i partiti di centrodestra nel referendum del 2016, quello della proposta Renzi tanto per intenderci.

Il tema, così come viene proposto in campagna elettorale, è semplicistico, così come sono stantie le solite osservazioni contrarie che ripropongono argomentazioni agitate in ogni circostanza in cui si è cercato di affrontare il tema della debolezza dei nostri governi.
Ne sottolineo una, la più storicamente smentita, ovvero quella secondo cui chi vuole il rafforzamento del governo vuole portare il Paese verso una deriva autoritaria. Dicevo la più falsa, poiché ogni svolta veramente autoritaria è stata preceduta da governi deboli e non da governi forti.

Il tema vero, come ci dice anche Panebianco, è che in Italia ci sono ampi e forti poteri che non vogliono una vera democrazia governante. Poteri che, oltre ad essere forti e ben radicati, sono anche occulti, quindi non appaiono all'opinione pubblica presso la quale nulla hanno da giustificare o magari da scusare.
Sono quei poteri che sanno che solo l'attuale consociativismo gli consente di mantenere i loro privilegi e le loro rendite di posizione.
Sono poteri che si annidano un po' ovunque: nelle università, nei grandi media di informazione, nelle corporazioni professionali, fra i cosiddetti intellettuali, ed ovviamente negli apparati politici ed istituzionali.

Sono quei poteri che, magari senza venire allo scoperto, sono riusciti a bloccare ogni tentativo di riforma, a partire dagli anni '80, quelli della prima Commissione per le riforme presieduta dall'Onorevole Aldo Bozzi, con Craxi alla guida del governo.

Al tempo della bocciatura della riforma Renzi, a mio avviso la migliore sinora elaborata, era diffusa l'opinione che il motivo fosse da ricercarsi nella personalizzazione che lo stesso renzi ne aveva fatta. Penso che l'allora presidente del Consiglio abbia sbagliato, e probabilmente ora ne è convinto anche lui. Però già allora ritenevo - e ovviamente lo ritengo ancor più oggi - che le ragioni andavano cercate altrove, ovvero nella subdola opposizione a riforme che tentassero l'instaurazione di una più efficiente forma di democrazia governante.
Una opposizione probabilmente ancora maggioritaria nel Paese, anche se il tema delle riforme, naturalmente prescindendo dal modo e dal tempo in cui viene in questi giorni proposto, credo andrà ripreso.

Tema rispetto al quale la politica dovrà esprimere un senso di responsabilità ben maggiore di quello espresso sinora, smettendo di farne oggetto di zuffe permanenti, quindi avendo presente esclusivamente il buon funzionamento di una democrazia autenticamente governante.
Se la XIX legislatura che il 25 settembre andremo ad eleggere riuscisse a raccogliere e vincere questa sfida, sarebbe un grande traguardo per il Paese.

Questa mattina qualche quotidiano ha riportato che al Pontefice che chiedeva quanti governi ha avuto l'Italia nel nostro secolo, è stato risposto che ne ha avuti venti.
La risposta sarà sicuramente giusta e se c'è un errore è cosa da poco.
C'è poco altro da commentare: quando si convinceranno la politica e la società italiana che è ormai improcrastinabile un intervento riformatore per l'efficientamento della nostra democrazia?

Paolo Razzuoli

Presidenzialismo, riforme e i poteri (nascosti) di veto

 

di Angelo Panebianco

 

C'è una parte ampia del Paese (fino ad oggi è risultata maggioritaria) che non vuole in nessun modo un rafforzamento dell'esecutivo e, più precisamente, dei poteri del capo del governo

 

Parlamentarismo, presidenzialismo: solo etichette su scatoloni vuoti. Ci sono buoni e cattivi parlamentarismi, buoni e cattivi presidenzialismi. È sbagliato scegliere, per partito preso, fra i suddetti scatoloni senza conoscere i dettagli. Ciò premesso, non nascondiamoci le grandi difficoltà che incontrano sempre in Italia i tentativi di intervenire sui rami alti della Costituzione (governo, rapporti fra governo,Parlamento e presidenza della Repubblica).

 

Difficoltà che hanno fin qui sempre fatto fallire i vari progetti riformatori. Si pensi a quante Bicamerali, dagli anni Ottanta ad oggi, ci sono passate sotto il naso concludendosi sempre con un nulla di fatto. Invece di discutere su scatoloni ed etichette, è meglio dirsi la verità. Perché sono fallite tutte le Bicamerali? Perché nei referendum costituzionali (2006, 2016) gli elettori hanno rispedito al mittente le proposte di riforma comunque congegnate?

La ragione è questa: c'è una parte ampia del Paese (fino ad oggi è risultata maggioritaria) che non vuole in nessun modo un rafforzamento dell'esecutivo e, più precisamente, dei poteri del capo del governo. Presidenzialismo, cancellierato, sindaco d'Italia e qualunque altra formula si voglia immaginare, sono slogan dietro ai quali si intravvede la stessa aspirazione: mettere fine al vizio d'origine della Repubblica, fare dell'Italia una democrazia governante, accrescere i poteri di chi sta al vertice dell'esecutivo, dare più stabilità al governo.

 

È l'impossibilità di creare un consenso sufficientemente esteso per superare questo scoglio, per mettere fine al vizio d'origine, la causa di tutti i fallimenti delle continuamente tentate riforme costituzionali in Italia.

 

Il vizio d'origine nasce dal fatto che i costituenti , per ragioni note e che è inutile ripetere, vollero un esecutivo debole, con un primo ministro che, rispetto ai suoi ministri, fosse solo un primus inter pares , in balia di due Camere con eguali poteri. Nonostante l'assetto assembleare disegnato dalla Costituzione e le conseguenti, endemiche, instabilità governativa e breve durata dei governi, la democrazia potè reggere a lungo per la concomitante presenza di due fenomeni: un partito egemone (la Democrazia cristiana), sempre al governo. E la Guerra fredda che, avendo incastonato l'Italia nel blocco occidentale, la proteggeva dalle turbolenze internazionali. In seguito, nell'età del maggioritario, si è visto quante disfunzioni generasse la compresenza di democrazia assembleare e di competizione bipolare.

 

Che cosa si è sempre obiettato a chi voleva il rafforzamento del governo ? Che stava spingendo il Paese verso una deriva autoritaria. Ricordate le vignette con Bettino Craxi con gli stivaloni alla Mussolini? Chiunque voglia dare più poteri all'esecutivo si espone a campagne che lo dipingono come un golpista.

Ed è fatica sprecata spiegare che le maggiori democrazie europee dispongono di esecutivi forti: il governo del premier in Gran Bretagna, il cancellierato in Germania e Spagna, il semipresidenzialismo in Francia. Ciò che va bene, poniamo, in Gran Bretagna, qui da noi diventa fascismo o la sua anticamera.

C'è chi ha criticato la proposta presidenzialista di Meloni praticamente con le stesse parole che aveva usato per criticare la proposta di riforma di Renzi nel 2016. Si può scommettere che domani userebbe ancora le stesse parole contro qualunque proposta di rafforzamento del governo, di superamento della democrazia assembleare.

 

Dietro al tradizionale fuoco di sbarramento ideologico contro le aspirazioni a irrobustire la figura del capo del governo dando contemporaneamente più stabilità al medesimo, si intravvede l'azione di diverse forze che riterrebbero pericoloso per i loro interessi e le loro rendite di posizione un accrescimento dei poteri e della durata degli Esecutivi. A costoro non interessa un equilibrato sistema di pesi e contrappesi. Interessa che ci siano, come ci sono, solo contrappesi senza pesi, i poteri di veto che si mangiano il potere di decisione.

 

Le due condizioni che diedero a lungo stabilità alla democrazia non ci sono più. Sono scomparsi i forti partiti di un tempo («vasto programma» quello di chi vorrebbe farli risorgere). E sono finite le condizioni internazionali di sicurezza del passato: le turbolenze esterne sono cresciute e nulla fa pensare che non cresceranno ancora. Pertanto, il parlamentarismo assembleare fa oggi dell'Italia una zattera alla deriva. Il sotterfugio, l'espediente usato per aggirare gli ostacoli creati dalla debolezza dell'esecutivo, ossia il continuo ricorso ai decreti-legge, non è più sufficiente per compensare il difetto del manico, il vizio d'origine.

 

Negli ultimi trent'anni gli ostacoli che impediscono di rimediare al problema sono cresciuti. Perché, venuti meno i partiti forti di un tempo, la politica nel suo complesso si è indebolita e, in modo simmetrico, sono cresciute autonomia e poteri di altri gruppi. Come alta burocrazia, enti pubblici vari, magistrature di ogni tipo. Nessuno di questi gruppi ha interesse a un rafforzamento dell'esecutivo che ne ridurrebbe gli spazi di manovra. Oltre a tutto, questi gruppi sono in una posizione invidiabile. La politica, che sta sotto i riflettori, è esposta al pubblico ludibrio a causa della sua impotenza, della sua incapacità di affrontare i mali antichi del Paese. Quei centri di potere, invece, sono al riparo dai riflettori,non ricevono fischi né contestazioni. Nonostante la parte importante di responsabilità che hanno nel tenere bloccata la società italiana. Un gioco perverso: politica impotente, centri di potere nell'ombra che fanno il bello e il cattivo tempo.

 

I partiti(ciò che ne resta), dovrebbero riconoscere un comune interesse e trovare un punto di incontro per rimediare. Ma non possono, sono condannati a una zuffa permanente. Sulla zattera.

 

(dal Corriere della Sera - 16 settembre 2022)

 

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