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L'attualità delle riforme - Il manuale per liberare l’economia italiana dalla stagnazione

Istituto Bruno Leoni - Commento di Paolo Razzuoli

Fucinaidee ha ormai da lunghissimo tempo proposto contributi riguardanti la necessità di aprire una stagione riformista per il Paese. Nel contempo in vari contributi si è tentata qualche ipotesi attorno ai motivi che ostacolano un autentico processo riformatore, al di là delle "belle parole" spese più per paura di apparire passatisti che per sincero convincimento.
Evocare le riforme è stato, e forse lo è ancora nonostante la strettissima attualità, un "leit motiv" cantato un po' dall'intero arco politico. Naturalmente tenendosi ben distante dall'entrare nel dettaglio, poiché ciò può disturbare interessi consolidati e/o privilegi di settori dell'opinione pubblica che non si intende certo allarmare.
Ecco quindi che il riformismo italiano è stato, almeno sino ad ora, una bandiera dietro cui si è nascosta la più vuota retorica, il più granitico conservatorismo, o il più vile scarico di responsabilità del tipo "ce lo chiede l'Europa".

Essere riformisti è anzitutto un atteggiamento culturale; un atteggiamento di disponibilità a mettere in discussione anche i propri eventuali privilegi; un atteggiamento "laico" nel senso di saper affrontare le tematiche senza pregiudizi, senza condizionamenti, senza retropensieri. E ciò è molto difficile, in un Paese in cui i diritti acquisiti sono un tabù, in cui è fortissimo il condizionamento delle lobbies, in cui gli elettori sono più sensibili a prebende, privilegi e sussidi che non a strategie di buon governo.
Un Paese insomma in cui molti si offendono a sentirsi dare del "conservatore", ma in cui in realtà vige il più impenetrabile spirito conservatore, ammantato da una vuota etichetta progressista.

Venendo alla strettissima attualità, è interessante notare che è forse la prima volta, negli ultimi trent’anni, che in campagna elettorale non si parla di riforme. È comprensibile che l’attenzione dell’opinione pubblica e più in generale del dibattito politico sia puntato su inflazione e crisi energetica. Delresto sono queste le emergenze del momento più avvertite, ed è quindi su le risposte ad esse che i competitor sperano di lucrare consensi elettorali. Ma davvero non c’è più niente da cambiare, nell’ordinamento del Paese? E davvero non ci sono innovazioni giuridiche e istituzionali che forse potrebbero mitigare gli stessi aumenti dei prezzi?

Di riforme si parla solo in relazione agli impegni del Pnrr: qualcuno vorrebbe rinegoziarli, altri li dipingono come un moloch indiscutibile. Ma il tema delle riforme non coincide col Pnrr, né si esaurisce in esso. Se l’Italia oggi si trova in grave difficoltà economica non è solo per ragioni contingenti. È per ragioni di cui discutiamo da anni e che non hanno trovato, finora, nessuna soluzione. Gli aiuti dell’Europa, anziché spingerci a sciogliere quei nodi, ci hanno illuso che non ci fosse più bisogno di parlarne: che non servissero scelte di fondo, che interrogassero i valori di tutti e la coscienza di ciascuno.
Certo ne discutiamo da anni, poiché le riforme non sono necessarie soltanto in ragione dei mutamenti degli scenari nella contemporaneità (esempio la globalizzazione), bensì sono richiesti da sciagurate scelte "allegre" tenuti in passato, e si badi bene, senza che da alcun soggetto serio della società civile e della politica si sia mai alzato un grido di allarme.
Poi, per evitare di prendere i problemi di petto, il ricorso a qualche entità quasi taumaturgica da evocare in ogni salsa: ora il PNRR, altre volte, non voglio certo essere blasfemo, San Gennaro, la Madonna Pellegrina, Padre Pio e via dicendo.

Il tema centrale della discussione dovrebbe essere, oggi come in passato, la presenza eccessiva e disfunzionale dello Stato nell’economia. Ci sta bene oppure no? L’Italia è un paese che tassa troppo famiglie e imprese, sottraendo risorse preziose alle attività di consumo e investimento. È un paese che spende troppo, spiazzando le attività private e sbarrando l’accesso dei privati a interi settori. È un paese che regolamenta troppo, mettendo lacci e lacciuoli all’innovazione e generando inefficienze ed extracosti. Di conseguenza, la via d’uscita dalla crisi non può che passare da un percorso di riduzione del peso dello Stato.
Ed ancora, posto che la formazione è una delle più significative carte vincenti per una prospettiva di futuro per le nuove generazioni, come si può seriamente intervenire nel sistema scolastico e più in generale formativo, migliorando in modo sostanziale i parametri di efficacia degli investimenti?

Una strategia concreta per muoversi in tale direzione sono illustrati nel “Manuale delle riforme per il XIX Legislatura”, con cui l’Istituto Bruno Leoni porta il proprio contributo al dibattito in corso. Il Manuale propone ipotesi di riforma in cinque grandi aree: fisco, spesa pubblica, politica energetica, welfare (lavoro, pensioni, scuola e sanità) e concorrenza.

L’obiettivo è quello di disegnare un programma coerente di intervento per ampliare gli spazi di autonomia individuale e liberare le tante forze produttive ingabbiate da una presenza pubblica pervasiva e asfissiante. Prendere di petto l’interventismo italiano non significa solo mettere in atto alcune prescrizioni del Pnrr e, in generale, seguire le raccomandazioni che periodicamente arrivano dalla Commissione europea e che puntualmente sono disattese.
Significa anche e soprattutto mettere in discussione alcune tendenze recenti che hanno segnato una crescita incontrollata non solo dell’intervento pubblico, ma anche della sua arbitrarietà: dall’ingresso dello Stato nel capitale di imprese come Autostrade e Tim all’allargamento del golden power.

Il prossimo governo dovrà porsi (speriamo) la domanda su come mettere in moto la crescita italiana. La risposta non può essere cercata, di nuovo, nell’adozione di interventi magari di per sé utili, ma frammentari e incoerenti; tanto meno essa sta nella riproposizione stantia di forme di politica industriale che, oltre a non risolvere i problemi attuali, finirebbero per reintrodurne di vecchi. L’unico modo per uscire da una stagnazione pluridecennale è mettere mano ai fondamentali: liberare l’economia italiana.

Allegato

“Manuale delle riforme per il XIX Legislatura”

(materiali da www.linchiesta.it - 13 settembre 2022)

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