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Rapporti di forza - Chi decide la revoca delle misure alla Russia

 

di Alessandro Campi

 

La migliore prova che le sanzioni contro la Russia stanno funzionando ce la forniscono il buon senso, la cronaca difficile di questi giorni e l'atteggiamento dello stesso Putin. Ci si riferisce alla richiesta pressante di quest'ultimo affinché esse vengano rimosse al più presto. Gentilmente accompagnata dalla minaccia di sospendere, in caso contrario, le forniture di gas all'Europa: minaccia diventata nel frattempo una mossa concreta.

 

Se le sanzioni non stanno avendo alcun effetto economico negativo, come alcunisostengono anche in Italia, perché pretenderne la revoca? Solo per un fatto di orgoglio e prestigio politico? Su una questione così delicata, si obietterà, non possiamo affidarci a indicatori estemporanei ed effimeri. Ci vogliono numeri e dati oggettivi, che però sono alquanto controversi e tutt'altro che univoci. Secondo alcune fonti entro il 2022 il Pil russo farà registrare, proprio a causa delle sanzioni, un -11,2%. Secondo altre la caduta sarà del 6% nel 2022 e del 3,5% nel 2023. C'è poi chi fa notare come dall'inizio della guerra (e delle relative misure economiche punitive) il costo crescente degli idrocarburi sul mercato mondiale abbia consentito alla Russia di accumulare uno straordinario surplus, grazie al quale essa ha tenuto sotto controllo l'inflazione e ridotto l'impatto della recessione.

 

Il problema è che i dati di cui disponiamo – su cui si basano le valutazioni/previsioni sull'economia della Russia diffuse dal Consiglio europeo, dalla Banca Mondiale, dal Fondo monetario internazionale o dai ricercatori e centri studi indipendenti – scontano tutti lo stesso limite: riprendono e rielaborano gli indicatori statistici ufficiali diffusi dalle autorità di quel Paese. Ci si può stupire se un regime autocratico, per di più impegnato in una guerra, piega la verità alla propaganda e diffonde cifre non propriamente attendibili? Ma un conto è la difficoltà a calcolare con relativa precisione l'andamento effettivo del Pil russo dopo le sanzioni, tutt'altro immaginare che le cose in Russia non vadano poi così male nonostante la condizione di isolamento in cui essa si trova ormai da mesi. Hai voglia a incassare rubli e ad accumulare riserve valutarie con la vendita di materie prime se poi non hai più alcun accesso alla tecnologia occidentale, sei escluso dai circuiti finanziari internazionali, non puoi commerciare con le economie sviluppate e i tuoi stessi cittadini si trovano nell'impossibilità sostanziale di uscire dai propri confini.

 

Il sistema economico-sociale russo rischia, così continuando, di arretrare di parecchi decenni. Putin lo sa bene e per questo chiede a gran voce il ritorno a relazioni politico-commerciali normali con i Paesi occidentali. Anche se dovrebbe sapere altrettanto bene che ciò sarà impossibile sino a che perdurerà lo stato di guerra con l'Ucraina. Ciò detto, è chiaro che le sanzioni contro una grande potenza sono destinate a produrre - specie in presenza di un sistema internazionale fortemente interconnesso - conseguenze negative anche sulle economie di chi le applica. Ma dinnanzi alla brutale invasione dell'Ucraina il blocco euro-atlantico poteva comportarsi diversamente? Se si è scelta questa strada - sapendo che ci sarebbe stato un prezzo da pagare per le nostre società - è stato essenzialmente per ragioni politico-ideali: una violazione tanto smaccata del diritto internazionale non poteva restare senza conseguenze, salvo legittimare altri autocrati a comportarsi nel prossimo futuro nello stesso modo.

 

E' una questione, quest'ultima, delicata e dirimente, che forse i gruppi dirigenti delle nostre democrazie dovrebbero spiegare con maggiore forza persuasiva alle rispettive opinioni pubbliche. E' vero, le sanzioni stanno facendo male anche a noi. Ma la loro adozione non equivale ad un atto di irresponsabile autolesionismo: non si tratta di rinunciare al proprio benessere materiale a difesa di un'astratta idea di libertà politica o di giustizia internazionale.

Bisogna invece convincersi che pluralismo delle idee e difesa dei diritti individuali sono, nell'esperienza storica delle democrazie occidentali, la condizione necessaria perché ci siano sviluppo economico e ricchezza diffusa.

 

Ma stando così le cose la questione, sempre politica, è quanto si sia intenzionati a mantenere il sistema sanzionatorio nei confronti della Russia nonostante i segnali di malessere che provengono dalla società. La crisi, per famiglie e imprese, è in questo frangente obiettivamente grave, anche se bisognerebbe ricordare che le fibrillazioni sui prezzi delle materie prime e dei prodotti energetici non sono stati prodotte dalla guerra e da quel che ne è seguito in termini di tensioni crescenti tra Russia e Occidente. Il conflitto semmai ha reso la situazione ancora più drammatica. Per questo motivo la presa di posizione di ieri di Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, è la conferma che bisogna stare attenti, proprio in questo momento delicatissimo, a non cadere nella trappola della propaganda russa, che punta come d'abitudine a confondere colpe e responsabilità.

 

L'Europa si appresta, durante il Consiglio europeo dei ministri dell'energia del prossimo 9 settembre, ad adottare misure finalizzate a contrastare i gravi disagi prodotti dalla crisi energetica globale e dalla decisione russa di sospendere le forniture di gas verso il Continente. Si prospettano diversi interventi piuttosto significativi: massicci aiuti finanziari diretti a famiglie e imprese, l'introduzione di un sistema regolatorio europeo per evitare speculazioni finanziarie sui prezzi (si tratta in particolare di mettere sotto controllo la Borsa di Amsterdam), la separazione del prezzo dell'energia elettrica da quello del gas. Interventi che richiedono, per essere varati e resi efficaci in breve tempo, il massimo dell'unità d'intenti tra i diversi Stati e governi dell'Unione.

Da qui l'interesse della Russia a creare divisioni e contrasti, utilizzando come grimaldello l'Italia alle prese, in queste settimane, con un complicato passaggio politico-istituzionale. Prima la Zakharova, poi lo stesso ministro dell'Energia russo Nikolai Shulginov, hanno ribadito che in questa situazione gli unici a guadagnare siano gli Stati Uniti, mentre l'Europa, e l'Italia in particolare, hanno tutto da perdere. Secondo la prima il nostro ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani, che ha appena varato un piano nazionale per la riduzione dei consumi energetici, è solo un burattino nelle mani di Washington. Fare l'interesse dell'Italia e degli italiani dovrebbe significare, per i due solerti propagandisti putiniani, battersi perché le sanzioni vengano al più presto ritirate. L'Italia dovrebbe o sfilarsi unilateralmente dalle sanzioni o far pesare il proprio ruolo internazionale (con riferimento in particolare al futuro governo) affinché l'intera Europa cambi il proprio atteggiamento verso la Russia, a costo di entrare in rotta di collisione con l'Amministrazione americana.

 

A chi è rivolto un simile invito, subdolo e peraltro largamente irrealistico? C'è qualche forza politica, tra quelle impegnate nella campagna elettorale, disposta a recepirlo attivamente? Quello di ieri è stato, da parte della Russia attraverso suoi autorevoli esponenti, un atto di grave ingerenza politica che i partiti d'ispirazione cosiddetta “sovranista” per primi dovrebbero respingere come inopportuno e inaccettabile. Chiedere al governo di farsi carico delle difficoltà dei cittadini per le difficoltà prodotte anche (ma non solo) dalle sanzioni, come ad esempio sta facendo Salvini con particolare impegno, è un conto. Ma minare, anche solo involontariamente, le scelte di politica internazionale fatte dall'Italia nel quadro della sua storica (e irreversibile) collocazione euro-atlantica e liberal-democratica è davvero tutt'altro.

 

Le sanzioni contro la Russia sono state – per l'Italia, per l'Europa, per l'intero mondo occidentale – una scelta difficile, ma politicamente inevitabile.

La loro revoca, certamente auspicabile per il benessere di tutti, dipende solo dai comportamenti futuri di chi, agendo brutalmente fuori dalle regole del diritto e dalle convenzioni della diplomazia, le ha rese dolorosamente necessarie. Il resto è, appunto, propaganda da respingere al mittente.

 

(da Il Messaggero - 7 settembre 2022)

 

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