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Roma, la grande bruttezza

 

Di Fabio Martini

 

Il travagliato rapporto tra il Pd e Roma, da Mafia Capitale

All’emergenza rifiuti. L’indecisionismo da una ventina d’anni accomuna

Un’intera classe dirigente

 

In un verso dedicato a Roma, Pier Paolo Pasolini scrisse che “non si

piange per una cittŕ coloniale” e quella espressione bella ed

enigmatica sembra fatta apposta per pennellare il rapporto “maledetto”

che ormai lega il Pd romano e la Capitale. Certo, la scenata nella

notte ciociara andrŕ capita in tutti i suoi addentellati, ma la

vicenda ripropone una volta ancora il rapporto, spesso coloniale, tra

il Pd e Roma, un rapporto illustrato da una “striscia” di brutture mai

viste prima e mai viste altrove.

Come la storia di “mafia capitale”, esplosa nel 2014, con il

coinvolgimento dei Dem in affari opachi, riassunti bene in una

intercettazione nella quale Salvatore Buzzi, prima di diventare

imputato e condannato, diceva: “Il Pd sono io!”. Cosě come una storia

originalissima, unica nella storia della Repubblica, resterŕ  per

sempre l’appuntamento dal notaio dei consiglieri comunali del Pd che

nell’ottobre 2015 firmarono per far dimettere il loro sindaco Ignazio

Marino, “colpevole” di eccessiva indipendenza agli occhi del

presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Un licenziamento che equivalse

ad un harakiri: il Campidoglio fu conquistato da Virginia Raggi e dai

Cinque stelle.

Potere spesso senza politica, quella del Pd romano, un potere che

diventa impotente come nella vicenda dei rifiuti, che fa di Roma una

Capitale unica al mondo. In questi mesi si sono susseguite tante

narrazioni indignate, ma carenti nell’indicare le responsabilitŕ

politiche: il fallimentare sistema di smaltimento č una

“co-produzione” che vede come attore protagonista il Pd romano e

laziale. Per anni e anni sindaci e amministratori regionali, buon

ultimo Nicola Zingaretti, hanno lasciato crescere in regime di

monopolio la piů grande discarica d’Europa, Malagrotta: una buca nella

quale si buttava tutto, senza canali alternativi, sinché Roma č stata

assediata da montagne di rifiuti, gabbiani e cinghiali. E lě sta, da

anni.

Certo, la deriva del Pd romano come partito “prosaico” sta dentro una

storia piů lunga, la storia di una cittŕ  nella quale ha sempre

dominato un potere pubblico fortissimo, capace di garantire una

miriade di interessi privati. Quelli che Alberto Arbasino una volta

ebbe a definire “una quantitŕ di piccoli ambienti, minuscoli clan”.

Una storia antica che viene da lontano, anche dal paternalismo dei

Papi, che garantivano pace alimentare e pace sociale con la

beneficenza. Un paternalismo proseguito nel secondo dopoguerra quando

il consenso politico č cresciuto attorno a poteri forti, che prima

erano democristiani e poi hanno cominciato a guardare al

centro-sinistra: i costruttori, la Rai, il mondo del cinema, i

dipendenti pubblici, anche le associazioni cattoliche come

Sant’Egidio, che non a caso da pochi giorni č entrata nelle liste del

Pd. E tuttavia i progenitori del Pd, la sinistra che nel 1976 per la

prima volta si affaccia al potere cittadino, il Pci di Giulio Carlo

Argan e Petroselli, aveva un volto diverso da quello della sinistra di

oggi. Racconta Corrado Bernardo, l’ultimo assessore democristiano

nella storia di Roma: “Ricordo in Consiglio comunale degli anni

Ottanta: “noi Dc eravamo gli avversari, ma tanto di cappello ai

comunisti e alla loro serietŕ. Ogni volta che c’era un problema, a

cominciare dal giovane Veltroni, si consultavano con Petroselli. Per

diventare il capo dovevi avere una storia dietro le spalle. Oggi nel

Pd a Roma non c’č un capo, ognuno fa per sé».

In queste ore ci si affanna a capire la matrice politica di Albino

Ruberti e la natura dei suoi rapporti politici con Nicola Zingaretti,

per anni il suo “principale” e con il sindaco Roberto Gualtieri. Chi

conosce Ruberti da 30 anni confida: “La storia che circola in queste

ore per cui Albino sarebbe stato messo da Zingaretti per “controllare”

Gualtieri, č una bufala. Albino aveva capito che in Regione il potere

andava scemando e l’epicentro sarebbe diventato il Campidoglio. La

mappa del potere della sinistra a Roma č cambiata, attenzione a

ragionare con vecchi schemi”.

Una storia interessante, mai scritta. A Roma la Seconda Repubblica si

apre, nel 1993, con il ritorno della sinistra in Campidoglio: i romani

eleggono e rileggono sindaco prima Francesco Rutelli e poi Walter

Veltroni. Per 14 anni il gran patron č Goffredo Bettini: i rapporti

con i poteri forti sono quelli di sempre, ma il buon governo del

Campidoglio copre tutto. Il vecchio “sistema”ť si rompe il 16 marzo

2021 quando Nicola Zingaretti vorrebbe candidarsi sindaco, ma

tergiversa e Claudio Mancini, il “nuovo” Bettini, lo brucia, lanciando

Roberto Gualtieri.

Ma alla fine la “grande bruttezza” nel rapporto tra Pd e Roma si puň

riassumere in due sequenze, in parte sfuggite all’attenzione

collettiva. Era l’alba del 15 giugno e un cinghiale riuscě a

passeggiare lŕ dove nessuno dei suoi parenti aveva osato spingersi:

attorno al colonnato di Gian Lorenzo Bernini in piazza San Pietro.

Qualche ora dopo un incendio ha distrutto il gassificatore ed altri

due impianti, alzando nel cielo una nube nerastra, in parte diossina.

Due eventi collegati da un filo rosso: il prolungato indecisionismo,

una paralisi che da una ventina d’anni accomuna una intera classe

dirigente, non solo Pd.

 

(da La Stampa – 20 agosto 2022)

 

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