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Terzo polo: chissà?

di Paolo Razzuoli

Sabato scorso Fucinaidee ha pubblicato un articolo di Francesco Cundari intitolato "Il flipper delle alleanze promette una campagna elettorale coi fiocchi". Ebbene, le attese non sono andate deluse. Sono bastate meno di 24 ore per assistere ad un brusco cambio di scena, direi un "colpo di teatro", che rendono gli scenari di questa campagna elettorale veramente unici.

Confesso che me lo aspettavo. Pur di fronte alla imprevedibile personalità di Calenda, che ci ha abituati ai repentini cambi di scena, mi sembrava impossibile che potesse reggere un'ammucchiata che raccoglieva l'inconciliabile: un po' come mettere assieme Giacinto Menotti Serrati e Filippo Turati.
Ma al di là dei riferimenti storici, non appariva credibile che Calenda potesse accettare un così forte appannamento della sua proposta politica, senza temerne i contraccolpi su quello che viene ritenuto il suo potenziale elettorato.

Naturalmente nel Pd le reazioni ufficiali sono state di contumelie per la rottura del patto. Ma quelle più vere sono di segno ben diverso, visti i collegi che si libereranno. Cosa non da poco, per una classe politica purtroppo primariamente interessata al mantenimento delle posizioni di potere.

Ma ora cosa succederà?
Per saperlo ci vorrebbe la sfera di cristallo. Però un auspicio si può fare.
E' l'auspicio che in un modo o nell'altro, si realizzi quel terzo polo di stampo draghiano di cui tante volte si è detto su queste pagine. Una proposta in cui l'Agenda Draghi non sia lo specchietto per le allodole per conferire dignità e presentabilità a tutto ed il contrario di tutto, ma sia l'indicazione di una prospettiva politica senza ambiguità alcuna, nel solco dell'azione del Governo Draghi.
Caratteristiche che non possono certo essere individuate in un'ammucchiata in cui si trovano forze che hanno costantemente votato contro importanti decisioni di questo Governo.

Come questa proposta politica potrà trovare rappresentazione sulla scheda elettorale non è facile da prevedere. Siamo ormai al ridosso delle scadenze ed il tempo per le decisioni è veramente poco. Le liste andranno presentate il 21 e 22 agosto, i simboli anche prima. Ci sono poi problemi tecnici legati alla Legge Elettorale, che andranno visti con calma e lungimiranza.
Ci sarebbe stato tutto il tempo per dar vita ad una proposta politica di impianto liberal-riformista, tante volte auspicata anche su queste pagine. Ma è inutile piangere sul latte versato.
E' auspicabile che, se pur nelle convulse giornate che attendono i vari protagonisti, prevalga il buon senso, la capacità di immaginare una traiettoria politica concreta, la consapevolezza dell'importanza del dialogo, la disponibilità a mettere da parte risentimenti e spigolosità d'ogni tipo.

E' uno scenario possibile? Non lo so. Posso solo dire che è altamente auspicabile.

Ma vediamo ora alcune dichiarazioni dei protagonisti, riportate oggi dalla stampa.

«Hanno voluto l’ammucchiata contro e perderanno». Sono le parole di Carlo Calenda al Corriere dopo la rottura del patto con il Partito democratico. Letta «sapeva, perché glielo avevo detto, che non sarei stato nell’alleanza se si fosse siglato con Fratoianni, Bonelli e Di Maio un patto che di fatto rendeva la coalizione un’ammucchiata».

Secondo il leader di Azione, Letta si è trovato «di fronte a un bivio che il Partito democratico ha affrontato tante volte nella sua storia. Quello tra una scelta riformista o un’alleanza in cui mettere tutto e il contrario di tutto. Alla fine ha scelto questa seconda strada. E questo è stato l’errore».
Il Pd, «dall’arrivo dei Cinque Stelle in poi, ha sempre l’ansia di avere tutto dentro. Il Pd non ha il coraggio di rappresentare i socialdemocratici: deve avere dentro i populisti di sinistra. Una cosa per me inspiegabile. E così facendo in questa legislatura si sono suicidati».

E se hanno detto no al Movimento Cinque Stelle, secondo Calenda «hanno semplicemente sostituito il M5S con Fratoianni. Il che non ha senso perché Fratoianni e i Cinque Stelle la pensano nello stesso modo su tutto, solo che uno ha il 2% e gli altri il 10. Non si capisce quale sia la logica. Allora tanto valeva tenersi il 10».

Il Pd poteva scegliere «tra fare l’ammucchiata “contro” e fare un progetto politico serio, alla fine ha scelto l’ammucchiata contro. E l’ammucchiata contro perderà. Non solo: non darà mai un’alternativa agli italiani. Cercare di mettere insieme tutti gli ex Cinque Stelle possibili e immaginabili, noi, Fratoianni, Bonelli, è un’operazione che non puoi spiegare agli italiani. Non puoi spiegare che per difendere la Costituzione fai un patto con gente con cui sai che non governerai mai. Nessuno può comprenderlo». Una coalizione del genere, prosegue, «non avrebbe portato gli italiani al voto. Avremmo avuto tanti astenuti e saremmo stati sconfitti pesantemente dalle destre».

Calenda ribadisce: «Io ho fondato Azione quando il Pd si è alleato con il M5S, ora lascio il Pd mentre si riallinea con Cinque stelle che adesso si chiamano Sinistra italiana ma sono esattamente la stessa cosa.

Calenda introduce poi il tema della raccolta delle firme. Qui si entra nel meccanismo della Legge Elettorale su cui non è il caso di indugiare; basta dire che se si alleasse con Matteo Renzi, Calenda non avrebbe bisogno di raccogliere le firme.

«Sicuramente ci incontreremo e parleremo», dice il leader di Azione.
Sembra che si incontreranno tra domani e mercoledì. La trattativa, che nei due partiti è considerata una strada quasi obbligata, non è comunque banale. Il rischio che affiorino vecchie ruggini e personalismi è dietro l’angolo. Anche per questo Renzi pensa di offrire un messaggio distensivo: fare un passo di lato. Se davvero Calenda si mostrasse deciso a un accordo, il leader di Italia Viva sarebbe disposto a cedergli il ruolo di front runner del raggruppamento centrista. Di più: potrebbe perfino rinunciare al cognome nel simbolo, a patto che rimanga da qualche parte il logo di Italia Viva, a cui si è appena aggregato l’ex sindaco di Parma, Federico Pizzarotti.

C’è un altro ostacolo però: per raccogliere le firme, ad Azione serve l’elenco dei candidati, regione per regione. Vorrebbe dire trovare l’accordo su tutti i nomi entro dopo domani. Non è cosa da poco, per un partito ancora in gestazione. Ma c’è una ragione tattica, nella mossa: se ci riuscisse, Calenda avrebbe le mani libere. Potrebbe correre in solitaria o potrebbe chiedere di dar vita non a una lista unica con Italia Viva, ma a una coalizione. Un cartello in cui ognuno gareggia per sé. E chi scavalla il 3% va in Parlamento. L’ipotesi coalizione però a Renzi piace poco. Sarebbe una lotteria. Mentre con percentuali dal 5 al 10%, le previsioni verrebbero più facili.

Intanto Renzi gongola: «Questo è l’ennesimo capolavoro di Letta. Come sta facendo campagna elettorale per Meloni lui, nessuno».

Infine, se mi è consentito di dare un suggerimento a Renzi e Calenda, è quello di presentarsi ciascuno con la propria lista, sulla base però di un preambolo politico condiviso. Credo sia questo il modo migliore di trarre il maggior vantaggio dal complicato meccanismo della Legge Elettorale e, nel contempo, di offrire un orientamento chiaro al corpo elettorale.

Lucca, 8 agosto 2022

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