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L’avvocato fallimentare - L’Italia si è stufata dei Cinquestelle, forse è il caso che il Pd adotti una nuova strategia

di Mario Lavia

Gli incubi che diventano realtà. Quelli di Giuseppe Conte e Matteo Salvini, il primo cancellato e il secondo sorpassato spesso e volentieri dalla grande rivale Giorgia Meloni. Fossero state elezioni politiche sarebbero state un terremoto: il Paese si è stancato dei partiti populisti, quelli della coalizione gialloverde, e dei loro leader, in particolare l’avvocato del popolo che credeva nei cosiddetti “bagni di folla” e invece poi sono stati solo bagni.

 

La lista “Con-te” a Rieti prende l’1%, per dire. L’ex presidente del Consiglio può dire quello che vuole ma è andato male ovunque si è presentato, cioè in pochi posti, il che già la diceva lunga sullo stato di salute del Movimento 5 stelle, un soggetto politico che semplicemente va spegnendosi come una candela, un partito che ha dettato legge per alcuni anni, gli anni dell’antipolitica al potere, e che ora è residuale, in attesa della scomparsa, e quindi serve a poco, anzi a pochissimo.

 

Per questo il Partito democratico, che pure ha fatto il suo, da alcune parti con punte lusinghiere ma con brutte sconfitte a Palermo, Genova, L’Aquila, farebbe male a crogiolarsi sui dati di ieri. Perché la verità è che il Pd è nudo. Solo. Senza nessuno a sinistra, che non si sa che fine abbia fatto, e con un politicamente moribondo come Conte.

 

Al Nazareno (dove ieri i leader si sono fatti un selfie tutti contenti) ce l’hanno con Carlo Calenda e Italia viva perché dove questi sono andati da soli ha vinto la destra, senza rendersi conto che proprio questo dimostra un fatto semplice: che la rottura, o la non sufficiente attenzione del Pd verso l’area Draghi li fa perdere.

 

Il dato di ieri infatti, pur senza enfatizzazioni, dimostra che sta prendendo corpo una potenziale forza riformista antitetica al populismo di Conte, è l’area draghiana di Azione/+Europa che ha colto brillantissime performance a Palermo, Catanzaro, L’Aquila, e Italia viva – come ha fatto notare Matteo Renzi –  che ha più sindaci dei grillini e che su Genova, piaccia o non piaccia, ha visto giusto.

 

Detto per la centesima volta che i leader antipopulisti dovrebbero tentare di non pestarsi i piedi tra loro ma rafforzare insieme una nuova offerta politica, il punto di fondo riguarda la discussione interna del Pd, dove pure qualcuno comincia a porre il problema del senso di un’alleanza preferenziale con un M5s che si va spegnendo.

Il tridente Letta-Conte-Speranza quanto vale nazionalmente? Il 35%? E che ci fanno? Malgrado questo, la strategia del segretario però non sembra cambiare di una virgola: costruire piano piano il famoso campo largo – prima che diventi un campo santo – nella convinzione che prima o poi tutti si salderanno attorno a Enrico Letta, virtuale candidato presidente del Consiglio, in nome dello stop alla destra di Giorgia Meloni, oggi come oggi la leader da battere, perché l’aria tira verso di lei compensando la crisi politica e personale di Salvini.

Alla fine, è la solita solfa: tutti uniti per sbarrare la strada alla destra sovranista e antieuropea. La destra cattiva. Discorso da CLN 2.0.

Di Mario Draghi, nei discorsi del dem, non c’è traccia, come se si esorcizzasse il piccolo problema che le elezioni politiche si terranno verosimilmente in una situazione speriamo non tragica ma certamente non facile.
  Ma per il Nazareno non cambia niente. Avanti così. E ora tutti al mare.

(da www.linchiesta.it - 14 giugno 2022)

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