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La pantomima - La stagione della responsabilità nazionale è agli sgoccioli, ma tutto questo Letta non lo sa

di Francesco Cundari

Nel giorno del dibattito parlamentare sull’informativa di Mario Draghi, la politica italiana si conferma un’ubriaca parodia degli anni Cinquanta, con la guerra in Ucraina al posto della guerra di Corea, a segnare il ritorno dei blocchi contrapposti e delle divisioni ideologiche, ma con tutti i protagonisti al posto sbagliato. A cominciare da un surreale Matteo Salvini che in Senato invoca pace e lavoro come fosse Giuseppe Di Vittorio, perché «pace significa lavoro». E perché, scandisce con guizzo orsiniano, quando «qualcuno anche in quest’aula rinnova l’invito a inviare altre armi, e al massimo gli operai italiani tireranno la cinghia, io non ci sto».

E questa del leader operaio è solo l’ultima incarnazione di Salvini. L’uomo che tre anni fa si faceva fotografare mitra in pugno, e che nei comizi rivendicava la difesa «sempre legittima» con lo slogan «entri in piedi ed esci steso», oggi che a entrare nelle case altrui è Vladimir Putin, si scopre di colpo pacifista. Di più, le sue continue citazioni di Papa Francesco sono ormai al limite della crisi mistica.

Per non parlare della posizione di Giuseppe Conte, che continua a chiedere un voto sull’invio di armi, che c’è già stato, al solo scopo di mettere in difficoltà il governo, come se il suo partito non fosse rappresentato dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

Dopo che tutti i membri della Commissione Esteri del Senato hanno dovuto dimettersi per far decadere il presidente Vito Petrocelli, eletto ovviamente con il Movimento 5 stelle, e rimuovere l’onta di avere un putiniano dichiarato in quel ruolo in un momento simile, Conte dovrebbe avere almeno il buon gusto di glissare sull’argomento. Invece se la prende con il presidente del Consiglio anche perché in Commissione, a voto segreto, guarda un po’, il suo candidato non è passato, ed è stata eletta Stefania Craxi.

A rendere ancora più surreale il tutto c’è poi il fatto che al rinnovato asse gialloverde sulla guerra si è di recente accodato anche Silvio Berlusconi, che di Putin è come noto amico di antica data.

Unica eccezione alla convergenza di tutti i populisti, vecchi e nuovi, sembra essere lo scarto di Fratelli d’Italia.
In politica estera, infatti, Giorgia Meloni si è collocata su una linea di pieno sostegno al governo – e meno male – pur essendo all’opposizione. In pratica, con l’eccezione del Partito democratico di Enrico Letta, la maggioranza gioca a fare l’opposizione e l’opposizione a fare la maggioranza, per ragioni puramente tattiche. Chi sta al governo ha infatti interesse a recuperare consensi nell’area della protesta, chi in quel bacino ha già fatto il pieno e punta a Palazzo Chigi ha al contrario interesse ad accreditarsi, anche all’estero, come forza affidabile e responsabile.

A dimostrazione dell’assoluta inconsistenza di tutta questa pantomima stanno i rapporti strettissimi, i selfie e gli abbracci con Viktor Orbán, cioè il principale cavallo di Troia putiniano in Europa, che accomunano Salvini e Meloni.

La parodia della guerra fredda che stiamo vivendo potrebbe dunque avere in serbo anche questo ulteriore paradosso: che l’arco della legittimità si riveli presto, proprio come all’indomani delle elezioni del 2018, il recinto capace di contenere appena un’infima minoranza, non sufficiente a fare blocco nemmeno dinanzi a eventuali modifiche della Costituzione (figuriamoci poi se le vota pure, com’è accaduto con l’insensato taglio dei parlamentari votato dal Pd, che renderà ancora più pericolosa la situazione nel 2023). In altre parole: un arco costituzionale al contrario, puntato contro tutti i principi fondamentali della Costituzione. Una ragione di più per cui Letta dovrebbe cercare meno giochi di sponda con Meloni e più accordi con gli altri sul proporzionale.

(da www.linchiesta.it - 20 maggio 2022)

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