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Roulette russa - Le imbarazzanti ambiguità di Conte su Putin non bastano a svegliare il Pd dal sogno del voto anticipato

di Francesco Cundari

A volte gli aspetti personali, umani e persino caratteriali prendono il sopravvento sulle grandi questioni della politica e della geopolitica, rivelando in un momento quanto mille analisi e dissertazioni stentavano a mettere a fuoco. Quel momento per molti credo sia venuto ieri, nel leggere come Giuseppe Conte, in un’intervista al Corriere della sera, ha risposto a una domanda sull’imbarazzante sfilza di alte onorificenze conferite dai suoi due governi (mica una solo) al fior fiore dell’oligarchia putiniana. Compresi soggetti nel frattempo colpiti dalle sanzioni, e compreso persino quello stesso Alexei Paramanov che in questi giorni ha apertamente minacciato il nostro paese, prendendo di mira il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, anche con equivoche allusioni agli accordi presi nel marzo 2020 tra il governo russo e il governo italiano (cioè sempre con Conte) sulla strana missione russa che avrebbe dovuto aiutarci nel fronteggiare il Covid, pur essendo composta da molti militari e pochi medici.

La risposta di Conte è stata la seguente: «Immagino che nel corso del tempo siano state assegnate onorificenze a tantissime personalità russe. Non ricordo in particolare il nominativo di Alexei Paramonov, ma dai riscontri effettuati risulta che gli sono state consegnate su proposta del ministro degli Esteri e che la consegna della Stella d’Italia è stata concessa dal ministero degli Esteri senza coinvolgere la presidenza del Consiglio». Inutile aggiungere che il ministro degli Esteri nel 2020 era lo stesso di oggi, Luigi Di Maio, vale a dire il principale rivale interno di Conte nel Movimento 5 stelle. Ogni commento mi pare superfluo, tanto sul merito quanto sullo stile della risposta.

Qualcosa di più andrebbe detto invece sul contesto. Conte dice infatti «immagino» e «non ricordo», ma se volessimo rinfrescargli la memoria, e approfondire un po’ le origini di tanti equivoci, potremmo star qui fino a domani. Forse, prima ancora della strana missione russa del marzo 2020, bisognerebbe parlare delle visite di William Barr nel 2019, e dell’aiuto generosamente offerto al ministro della Giustizia di Donald Trump dal governo italiano, consentendogli un’irrituale riunione con i vertici dei nostri servizi segreti, nel pieno delle manovre per fabbricare prove contro Joe Biden.

Non per niente all’origine della procedura di impeachment contro Trump c’era tra l’altro l’indimenticabile telefonata in cui chiedeva a Volodymyr Zelensky di attivarsi in tal senso, sollecitando azioni giudiziarie contro il figlio di Biden, seguita dal tentativo di bloccare le forniture militari degli Stati Uniti all’Ucraina come strumento di pressione.

Quello che riemerge dalle allusive parole degli oligarchi russi non è insomma nulla di nuovo, per chi a suo tempo avesse voluto vedere, elenco in cui purtroppo non possiamo includere buona parte della stampa e della politica italiana, e tantomeno quella sinistra che nel frattempo incoronava Conte suo fortissimo punto di riferimento.

La novità è che ora, nel nuovo e drammatico contesto internazionale in cui siamo precipitati, quegli equivoci e quelle ambiguità assumono ben altro rilievo, e non è più possibile fingere di non vederle. Non foss’altro perché continuano a ripresentarsi, nelle parole e negli atti del Movimento 5 stelle e di Conte in particolare, e in modo ancor più evidente sulla stampa di area.

Il Pd si trova dunque dinanzi a un doppio problema, perché il suo principale alleato, almeno nelle aspirazioni del Pd, non riesce a uscire dalla crisi che lo sta portando rapidamente verso l’autoestinzione, e al tempo stesso reagisce alle difficoltà rispolverando il peggio del suo repertorio, per di più su un terreno su cui evidentemente troppe ambiguità e doppi giochi non sono più ammissibili. La risposta razionale a questo problema sarebbe spingere immediatamente per una legge proporzionale che consenta a ciascun partito di presentarsi col suo simbolo e solo con quello, ponendo fine alle coalizioni pre-elettorali, prendendo anche atto del loro oggettivo sfarinamento (più ancora del solito, diciamo così).

A quanto pare, invece, nel Partito democratico, e in particolare nell’entourage di Enrico Letta, prenderebbe quota l’idea di puntare al voto anticipato in ottobre, ovviamente con la legge elettorale attuale, in un bello scontro bipolare con un centrodestra di fatto guidato da Giorgia Meloni, cioè esattamente quello che avrebbero voluto ottenere con l’elezione di Mario Draghi al Quirinale. Magari, in questo caso, dopo una bella crisi di governo sul catasto, o qualcosa del genere, nei giorni in cui il resto del mondo osserva col fiato sospeso i rischi di una guerra mondiale.

Sarebbe tragico se non fosse ridicolo, o forse sarebbe ridicolo se non fosse tragico. Di sicuro, per mille ragioni, è un modo grottesco di giocare alla roulette russa con il futuro dell’Italia. Anche nel senso dello stupido gioco di parole che l’inconscio mi ha appena dettato.

(da www.linchiesta.it - 23 marzo 2022)

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