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Sembra ieri, ma è oggi - Come uscire da questi trent’anni di Tangentopulismo

di Francesco Cundari

A un diciottenne di oggi, le decine di articoli che da giorni riempiono le pagine dei quotidiani per il trentennale di Mani Pulite devono fare l’effetto che ai diciottenni del 1992 avrebbero fatto altrettante pagine dedicate alla nazionalizzazione dell’energia elettrica o alla riforma della scuola media, alla nascita del quarto governo Fanfani o all’elezione di Antonio Segni al Quirinale. Un conto è il dovere della memoria e anche il gusto per le ricorrenze, un altro è l’ossessione.

Forse però non è proprio così. Forse sarebbe più esatto dire che ai diciottenni di oggi dovrebbero fare quell’effetto, trattandosi di vicende di trent’anni fa, se solo da trent’anni in qua gli eventi avessero seguito il loro corso naturale (diciamo pure un corso qualsiasi, invece di ristagnare in questa enorme pozzanghera da cui non riusciamo a uscire). La differenza, infatti, è che mentre i principali fatti politici del 1962 erano a tutti gli effetti, per un ragazzo dei primi anni novanta, materiale per musei e libri di storia, lo stesso proprio non si può dire, oggi, per Mani Pulite, per lo scontro tra politica e magistratura, per le polemiche su questione morale e stato di diritto, giustizialismo e garantismo.

Basta accendere la televisione per trovarci, quasi ogni giorno, Piercamillo Davigo intento a concionare su questi argomenti, accompagnato da numerosi colleghi (tanto quelli ancora in servizio quanto quelli nel frattempo diventati ministri, parlamentari e capi partito), sempre attorniati da uno stuolo di giornalisti amici, ma forse bisognerebbe dire compagni d’arme, perché è in quella stagione, nel fuoco della battaglia di trent’anni fa, che si sono saldate relazioni e solidarietà indistruttibili. Lo spettacolo è sempre lo stesso, gli stessi i protagonisti, lo stesso persino il lessico. Ieri, oggi e domani.

Sin dai primi anni novanta, si è pensato che riforme elettorali e istituzionali avrebbero chiuso quella fase drammatica dando vita a un nuovo sistema, fondato sulla legittimazione reciproca tra gli schieramenti in un quadro di regole condivise.
Sfortunatamente, abbiamo avuto invece il tentativo di entrambi i poli di scriversi le regole a proprio vantaggio, in un contesto di delegittimazione reciproca sempre più violento, che ha prodotto di conseguenza l’esplosione del populismo e dell’antipolitica, a destra e a sinistra.

Il dibattito pubblico è stato egemonizzato per decenni da un manicheismo isterico e paralizzante. Trent’anni di tangentopulismo, su cui si è cementato il bipolarismo di coalizione italiano tra berlusconiani e antiberlusconiani, anticomunisti e antifascisti, garantisti e giustizialisti. Due prigioni in cui le forze ragionevoli di entrambi gli schieramenti sono rimaste ostaggio dei rispettivi mestatori.

Le elezioni del 2018 sono state, c’è da augurarsi, il punto più estremo di una simile deriva, cominciata con Mani Pulite, o per meglio dire con l’illusione che i magistrati non dovessero limitarsi a mettere in galera i corrotti (possibilmente dopo un regolare processo e non prima), cioè accertare precise e ben determinate responsabilità penali di ben precisi e determinati individui, ma potessero guidare l’abbattimento di un «sistema» e addirittura decidere le caratteristiche del nuovo, conservando una sorta di perpetuo potere di «moral suasion», diciamo così, sulla politica.

Ma anche per smontare una simile alterazione del nostro dibattito pubblico e della stessa divisione dei poteri è necessario ricostruire un sistema politico realmente pluralistico, non ingabbiato nella logica della coalizioni pre-elettorali. Altrimenti, per non stare coi farabutti, anche i riformisti più ragionevoli finiranno sempre per schierarsi con i mozzorecchi, e al tempo stesso anche i liberali meglio intenzionati, per non stare con i mozzorecchi, finiranno sempre per schierarsi coi farabutti. E non ne usciremo mai.

(da www.linchiesta.it - 17 febbraio 2022)

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