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La nuova stagione della politica e i cantieri riformisti di Letta, Renzi e Calenda

di Mario Lavia

Il18 si terrà la Direzione del Pd, il 19-20 il primo congresso di Azione, il 24 l’Assemblea nazionale di Italia viva. Cosa lega, o potrebbe legare, questi tre appuntamenti? L’aggiornamento delle rispettive linee politiche in un quadro apparentemente stabilizzato attorno al confermato binomio Mattarella-Draghi ma sotto la superficie sempre molto nervoso.

Per quanto riguarda il partito di Enrico Letta ci si possono al massimo aspettare movimenti millimetrici: è d’altronde la caratteristica del partito e del suo segretario. Già un’apertura del maggioritarista Letta al proporzionale, sistema elettorale ormai auspicato da tutte le correnti del Pd, sarebbe una grossa notizia. Anche perché la questione incrocia quella del rapporto con un M5s in via di destrutturazione della leadership di Conte, punto dolente della strategia del Nuovo Ulivo, e infatti proprio in questo modo è stata posta da Giorgio Gori: l’esponente dell’ala riformista che probabilmente è quello che parla con più chiarezza di tutti auspica un dialogo con le forze riformiste, compresa Forza Italia o almeno una sua parte, relativizzando molto la questione del M5s, ancora più facile in quadro proporzionale, con Mario Draghi a fare da guida del Paese anche dopo il 2023.

È una linea, quella di una coalizione ispirata al modello Ursula, che non coincide con quella di Letta, ancora aggrappata al mitico “campo largo” che sic stantibus rebus al massimo può estendersi a Nicola Fratoianni, non a caso incontrato dal leader dem tre giorni fa: pensa che abile mossa.

Quello che è certo è che l’alleanza strategica con i grillini è morta e sepolta anche se nessuno al Nazareno si incarica di impartire l’estrema unzione, ma ha ragione Matteo Orfini nel dire al Riformista che «vogliamo il proporzionale per non avere alleanze prima del voto»: potrebbe essere un’idea che unifica il partito.

Per Carlo Calenda poi la tendenziale eclissi dei Cinque Stelle è ovviamente un’ottima notizia, e anche lui ritiene che «il proporzionale sia un bene per l’Italia»; dopodiché il congresso del 19-20 a Roma – ospiti Letta, Speranza, Rosato, Bonino, Cottarelli, Tajani, Salvini o Giorgetti: brilla l’assenza dei grillini – serve «per passare da Movimento a Partito molto strutturato» (Calenda sarà il segretario, Matteo Richetti Presidente, la storica Emma Fattorini e la dirigente milanese Giulia Pastorella vicepresidenti) potendo contare su quasi 300mila iscritti e una fittissima rete di amministratori locali. Azione, nata due anni fa, si lancia dunque nella battaglia politica “tradizionale”, quella fatta dai partiti, non puntando ad «un centro all’italiana, come ago della bilancia tutto di ceto politico».

Di qui la critica di Calenda a Matteo Renzi: «Io gliel’ho pure detto: Matteo, la prospettiva riformista non può essere ’sta roba dell’alleanza con Toti e Brugnaro, che tra l’altro hanno già litigato tra di loro: vedrete che alla fine tutti questi andranno con Forza Italia che bene o male finché c’è Berlusconi ha i voti. Vedremo cosa risponderà alla sua Assemblea nazionale».

Dove forse il leader di Italia viva potrebbe lanciare un progetto aperto chiamato “Italia al centro” partendo dall’incontro tra Italia viva e Coraggio Italia. Oppure riservare qualche sorpresa, come spesso gli è capitato nei momenti difficili.

Sicuramente sarà l’ennesima occasione per Renzi di prendersi la scena in un contesto che per lui è diventato davvero complicato dopo il rinvio a giudizio a Firenze per l’inchiesta su Open e la corrispondente sua denuncia dei Pm.

Insomma, i cantieri del riformismo sono in qualche modo aperti, come al solito in maniera non coordinata, sia nella prospettiva di un cambio delle regole del gioco che in quella della continuazione del falso bipolarismo figlio del Rosatellum: di certo nessuno in questa fase può stare fermo, le elezioni in fondo sono dopodomani.

(da www.linchiesta.it - 11 febbraio 2022)

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