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che cosa serve ora al paese

di Luciano Fontana

Dobbiamo soltanto essere grati al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per come ha guidato il Paese in questi sette anni.

L'Italia ha attraversato un lungo periodo di difficoltà economiche con una politica sull'orlo del fallimento, incapace di indicare un governo, un assetto istituzionale stabile, una prospettiva di futuro. La pandemia ha aggravato terribilmente questo vuoto, alimentando un senso di smarrimento proprio nei giorni in cui eravamo preoccupati per le nostre vite, per quelle dei nostri cari e per il benessere dell'intera comunità. Aver dato fiducia, aver individuato scelte in grado di "evitare pericolosi salti nel buio", come ha ricordato il capo dello Stato nel suo discorso di fine anno, è un merito che resterà per sempre. Come resterà il suo rispetto per la Costituzione, lo stile mai arrogante ma determinato di intervenire nei momenti cruciali, la pazienza dimostrata di fronte alle giravolte e alle ipotesi illusorie dei partiti che hanno vinto le ultime elezioni.

Se l'Italia sta faticosamente trovando una via d'uscita, se anche in questi giorni di emergenza per il riesplodere dei contagi può nutrire fiducia nella barriera creata da una campagna di vaccinazione massiccia, lo si deve in larga parte a lui e alla sua decisione di affidare a Mario Draghi la guida del Paese, spingendo gran parte delle forze politiche a un atto di responsabilità.

La stessa responsabilità ora i parlamentari e i delegati regionali debbono dimostrarla nell'elezione del nuovo presidente della Repubblica, ormai alle porte. Mattarella ha indicato quali sono le caratteristiche che il capo dello Stato deve sempre avere, ancora di più, aggiungo, in una fase così delicata: chi viene scelto "deve spogliarsi di ogni precedente appartenenza e farsi carico esclusivamente dell'interesse generale, del bene comune... E salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell'istituzione che riceve dal suo predecessore e che deve trasmettere integri al suo successore".

Non è facile rintracciare qualcosa di simile nelle manovre che sono in pieno svolgimento tra leader ed esponenti dei partiti. Si moltiplicano i veti incrociati, gli appelli roboanti che servono solo a sbarrare il passo alle candidature sgradite. Crescono le aspirazioni personali e le trame nell'ombra. Tutto si svolge in modo incerto e confuso. Eppure i criteri, razionali e perfino obbligati in questa situazione d'emergenza, dovrebbero essere chiari: al Quirinale dovrebbe essere eletta una personalità che interpreti l'unità del Paese, che sia in grado di garantire la forza e il prestigio dell'Italia a livello internazionale.

Una personalità scelta da una maggioranza la più larga possibile, proprio perché le ultime elezioni non ci hanno consegnato un vincitore assoluto. Che accompagni con guida sicura lo sforzo per uscire dalla pandemia, convincendo tutti gli italiani a fare le scelte giuste dal punto di vista della tutela della salute personale e collettiva. Che sia un garante scrupoloso della realizzazione dei progetti e degli impegni che abbiamo assunto con l'Unione europea in cambio dei rilevanti finanziamenti del Piano di ripresa.
I leader delle forze politiche di maggioranza dovrebbero mettere fine ai giochi in atto, sedersi attorno a un tavolo, coinvolgendo anche l'opposizione, e scegliere il nome giusto da eleggere alla prima votazione. Come è stato fatto in altri momenti decisivi della storia repubblicana.
Questo potrà costare qualche rinuncia ai vantaggi di breve periodo. Ma assicurerà il contesto giusto in cui i partiti potranno portare a termine la legislatura e anche provare a rilanciare il loro ruolo. Si è parlato tanto di ritorno al primato della politica. Non si capisce bene cosa questo voglia dire. Se significa che la guida e le decisioni di governo debbono tornare nelle mani dei rappresentanti scelti dagli elettori non abbiamo obiezioni. Basta però essere chiari: la politica ha perso il suo ruolo, si è fatta imporre scelte esterne solo a causa dei suoi fallimenti, per la sua incapacità di offrire leader, maggioranza e progetti che avessero senso, forza e capacità di realizzazione. Che non fossero in balìa della propaganda e del trasformismo. Ora c'è l'occasione per dimostrare di aver appreso la lezione. Per avviare una ricostruzione che non sia fatta solo di proclami sganciati dalla realtà e dai comportamenti istituzionali per realizzarli. Non so quanta fiducia possiamo riporre in questa svolta. Siamo convinti però che serva all'Italia e agli stessi partiti.

(dal Corriere della Sera - 2 gennaio 2022)

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