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Quanto ci metteranno Renzi e Calenda a creare l'area liberal-progressista che serve all’Italia?

di Mario Lavia

A Roma, come avevamo prospettato, sono subito partiti i segnali di fumo tra Roberto Gualtieri e Carlo Calenda con ampie aperture del primo (e netto cambio di toni, soprattutto rispetto ai «rantoli» evocati da Goffredo Bettini e dal «candidato della Lega» di Andrea Orlando, per tacere del “Che Guevara dei Parioli” che ha fatto tanto ridere Gianrico Carofiglio).

Non ci saranno i grillini in giunta che sarà «aperta a esterni», ha rassicurato Gualtieri, che però ieri sera non aveva ancora telefonato a Calenda. Né lo aveva fatto Enrico Letta che in teoria dovrebbe agevolare il rapporto fra il secondo e terzo classificato al primo turno per battere il primo, quell’Enrico Michetti al quale la destra affida il compito difficilissimo di ribaltare la narrazione di questa tornata amministrativa. E la cosa sorprendente è che a Calenda ha telefonato proprio Michetti. Sembra incredibile ma ha battuto sul tempo i dem.

Calenda, che comunque ha colto positivamente i segnali dell’ex ministro dell’Economia, dopo il test romano è già con la testa altrove, al Paese, e, secondo quanto ha scritto Gabriella Cerami su Huffington Post, sta già organizzando un suo giro d’Italia per costruire dal basso la sua creatura, Azione, così come gli chiedono i suoi fedelissimi che fin d’ora investono sul futuro politico del loro leader. Ora, Calenda in campo nazionale è una delle conseguenze del voto amministrativo. E inevitabilmente questa novità incrocia il nuovo protagonismo di Matteo Renzi. I due si sono sentiti, dopo diverso tempo, domenica sera. Una telefonata nel clima del buon risultato di entrambi. Non molto di più, a quanto sembra.

Renzi è anch’egli ringalluzzito dal voto che «incredibilmente», ha detto lui stesso con un filo di ironia, ha ottenuto un po’ di voti e un po’ di consiglieri. L’entusiasmo del leader di Italia Viva per il risultato di “Carlo” ha un po’ sorpreso lo stesso leader di Azione forse dandogli l’impressione che “Matteo” volesse in qualche modo intestarselo. Ma a parte le punture di spillo quello che è sicuro è che le strade dei due big riformisti (o dell’«area centrale», come preferisce dire Renzi) sono destinate prima o poi a incrociarsi, pena il fallimento dell’operazione del super-centro a cui entrambi lavorano. Sarebbe paradossale.

Naturalmente non bastano Calenda e Renzi. E infatti entrambi fanno i nomi di Marco Bentivogli, Beppe Sala, Emma Bonino, Carlo Cottarelli fino alla parte draghiana di Forza Italia, magari mettendo nel conto un big bang della destra a trazione sovranista con un progressivo distacco di Forza Italia.

Per il momento pare di capire che ognuno coltiverà il suo orticello, Azione da una parte e Italia Viva dall’altra. Magari si moltiplicheranno le occasioni di confronto (tra le quali quella organizzata da Linkiesta), e però per sapere se il progetto di un’area liberal-progressista ha un futuro bisognerà attendere che si chiuda la questione del nuovo presidente della Repubblica, dove il super centro, ammesso che si dia un regista in grado di mettere insieme fazioni molto diverse, giocherà senz’altro un ruolo importante. Dopo, in primavera, ci potrebbe essere, come una volta, una stagione congressuale che impegni vari partiti: e potrebbe essere quello il momento di una reunion centrista – pardon – centrale.

(da www.linchiesta.it - 7 ottobre 2021)

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