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Commento introduttivo

Come i lettori di Fucinaidee ben sanno, moltissime volte ho scritto sulla necessità di dare rappresentanza politica all'area liberal-democratica-riformista italiana. Un'area che certamente esiste nella società, ma che è orfana di una autentica rappresentanza politica.
Non che siano mancati i tentativi di darle questa rappresentanza. Il manifesto politico di Forza Italia del 1994 ne raccoglieva infatti molte istanze, così come ai valori culturali ed alla storia politica del liberalismo democratico si sono ispirati tanti altri esperimenti più o meno effimeri dell'ultimo trentennio della nostra vicenda politica.
Ma si è appunto trattato di "fuochi di paglia" destinati ad estinguersi rapidamente, sostanzialmente per un irrimediabile difetto genetico: quello di essere concepiti come piedistallo per ambizioni leaderiste e non come reale atto di volontà di dar vita ad una forza strutturata, saldamente ancorata ai territori, improntata ad una reale democrazia interna capace di generare voglia di partecipazione e condivisione. Insomma, per dirla in sintesi, nessuna esperienza ha avuto la capacità di sopravvivere al proprio fondatore. O meglio, detto ancor più chiaramente, nessuna esperienza ha avuto l'aspirazione e l'ambizione di voler sopravvivere al proprio fondatore.
Così, mentre il riformismo rappresenta un riferimento forte della narrazione pubblica di molti, nei fatti abbiamo assistito al dilatarsi della sfera dell'antipolitica e del populismo: tossina ammorbante che non solo è alla base dei movimenti dichiaratamente antisistema, ma che ha finito per intossicare anche forze che storicamente si sono proposte quali baluardi dell'ordinamento democratico e dello Stato di Diritto.
Una situazione che ben si è specchiata nei risultati delle elezioni del 2018 e che è alla base della vicenda politica italiana degli ultimi anni, magistralmente identificabile con i governi Conte, primo e secondo.

Ovviamente una domanda si impone: perché al di là delle chiacchiere il riformismo in Italia langue? Come già ho avuto modo di dire altrove, la mia risposta è che gli italiani sono di fatto un popolo di conservatori. Naturalmente nessuno vuole sentirselo dire, ma da noi il riformismo è una moda, un atteggiamento esteriore, non una convinzione profonda da seguire con rigore e coerenza.

Ma se in un contesto di ordinarietà il sistema paese in qualche modo è riuscito a trovare un equilibrio, l'emergenza pandemica e la necessità di trovare una via d'uscita impongono una seria capacità di imboccare strade nuove. Senza questo sforzo, che coinvolge l'intera comunità nazionale, sarà ben difficile ritrovare la via dello sviluppo. E questo sforzo non può che avere un paradigma, quello di un serio disegno riformista. Un disegno che sappia indagare i mali profondi del nostro sistema, senza infingimenti e senza fughe dalla realtà, e che sappia immaginare un progetto di Paese, in cui vengano valorizzate le migliori energie, e in cui si sappiano rimuovere le tante storture accomulatesi in decenni in cui hanno dettato la linea coloro che urlavano di più o che erano in grado di offrire (o solo anche di promettere) consensi elettorali.

Che ci sia bisogno di una forza riformista è fuor di dubbio, per cui mi riconosco nel testo/appello di Christian Rocca che propongo ai lettori di Fucinaidee. Delresto, in questi anni ho seguito con attenzione ogni tentativo finalizzato al medesimo scopo.
Ma il riformismo è anzitutto un modo di essere, un modo di intendere la società e la politica. Se è vero che il riformismo in Italia ha avuto sinora vita stentata, il nuovo scenario forse potrà aiutare alla diffusione di nuove consapevolezze.
Ecco quindi che la creazione di una nuova forza liberal-riformista potrebbe rivelarsi fondamentale per guidare questo processo di trasformazione della società italiana.
I tempi potrebbero essere maturi. Ecco quindi un pressante appello a chi ha la capacità e gli strumenti, affinché si assumano sino in fondo le loro responsabilità.
Il riformismo, il liberalismo e la democrazia hanno riempito ore di discorsi e tante, tante pagine di giornali e di saggi. E' l'ora della coerenza e dell'assunzione di responsabilità: se ci siete e avete la schiena dritta, date quel segnale forte che una parte importante della società italiana si aspetta.

Paolo Razzuoli

La mossa dell’arrocco - Basta girarci intorno, subito una Leopolda per fondare il Partito liberaldemocratico

di Christian Rocca

A fine ottobre si voterà a Roma, dove con ogni evidenza Carlo Calenda è il candidato ideale, specie di questi tempi, per amministrare la città meno amministrabile d’Italia, forse della storia. Lo sa anche Enrico Letta che però non lo vuole perché Calenda gli scombinerebbe «l’affascinante avventura» con il già sodale di Putin e Trump cui si è promesso sposo non si capisce bene perché; lo sa anche la destra che infatti non trova un candidato all’altezza del compito.

 

«Date un pazzo ai liberali», scriveva sul Mondo Mario Ferrara invocando per l’area laica e riformatrice una guida fuori dagli schemi. Di matti veri, pericolosi, oggi siamo pieni, ma va davvero trovato il modo di dare un pazzo a Roma, soprattutto a Roma, perché solo un pazzo di stampo ferrariano può imbarcarsi in un’impresa ciclopica come quella di fare il sindaco della Capitale e dei suoi cinghiali.

 

Calenda è quel pazzo, uno peraltro che si intestardisce a proporre soluzioni puntuali per i rifiuti e altre amenità amministrative che però non interessano niente al complesso mediatico-politico: vuoi mettere il processo di smaltimento della monnezza con un’intervista a Boccia, con una visione strategica di Bettini, con una velina di Casalino, con un sms di Renzi, con un allarme Casa Pound o, figuriamoci, con un retroscena sulla legge elettorale?

 

Comunque vada a finire la corsa al Campidoglio, sarà il momento decisivo per capire se l’area liberale, democratica e riformista, la cosiddetta area Draghi, avrà o meno un ruolo nella politica italiana. Nonostante le tante e belle iniziative comuni delle ultime settimane, e malgrado una minore litigiosità pubblica dei leader, l’area è ancora frammentata e soprattutto senza leader. O, meglio, i leader sono due, uno è Mario Draghi e l’altro Matteo Renzi, ma per ragioni diverse, addirittura opposte, entrambi al momento inutilizzabili a guidare uno schieramento politico.

Ecco allora una proposta a tutti gli altri: basta girare intorno, fondate un nuovo partito. Non un’alleanza, non una federazione, non un’unione, ma un partito vero, con un nome semplice tipo Partito liberaldemocratico, preciso, chiare, efficace con dentro tutti, da Italia Viva ad Azione, dagli europeisti agli atlantici, dai liberali ai repubblicani, dai socialisti a quel che resta di Forza Italia, più gli ambientalisti pro crescita e tutto il resto, magari con Emma Bonino come presidente e Carlo Calenda, Mara Carfagna e Maria Elena Boschi a guidarlo. Con Marco Bentivogli, con Sandro Gozi, con i tanti elettori liberal dentro e fuori il Pd, con i tanti elettori liberali dentro e fuori Forza Italia che finalmente potrebbero trovare una casa, una casa senza Conte e senza Salvini, senza Raggi e senza Fontana, senza Casalini e senza Meloni, senza il Fatto e senza la Verità, un riparo sicuro contro la temperie del bipopulismo perfetto italiano.

E con tre punti iniziali di programma: il governo Draghi dovrà continuare fino alla scadenza naturale della legislatura; qualunque sarà la legge elettorale con cui si andrà a votare nel 2023, al nuovo Capo dello Stato andrà proposto come presidente del Consiglio ancora Mario Draghi; l’adozione dell’ Agenda Biden per ricostruire le infrastrutture, aumentare i posti di lavoro, difendere le famiglie e salvaguardare il pianeta.

Dovrebbe essere Matteo Renzi a prendere l’iniziativa, perché quest’area non può prescindere dall’uomo più influente, nel bene e nel male, del dibattito politico italiano degli ultimi cinque anni, nonché il sempre-sia-lodato defenestratore di Giuseppe Conte e il facilitatore dell’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi (con buona pace della tesi serendipica di Giuliano Ferrara, nipote di Mario e innamorato pazzo di Conte, Bisconte, Conte tris, tappe, tapperugia).

Insomma, a Calenda, Bonino, Carfagna, Bentivogli, Gori e a tutti gli altri che non si rassegnano al populismo serve un’altra mossa del cavallo di Renzi. Anzi questa volta tecnicamente serve un arrocco, una splendida mossa dell’arrocco: una Leopolda costituente, costituente il Partito liberaldemocratico.

(da www.linchiesta.it - 14 aprile 2021)

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