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L’ipoteca della legge elettorale

di Roberto D’Alimonte

O Conte o voto. Questo è stato fino a oggi il grido di battaglia di Pd e M5s. Non è mai stata una posizione condivisa da tutti ma sembrava la posizione ufficiale dei due partiti. Improvvisamente le elezioni anticipate non sono state più considerate un rischio, tanto da preferire un voto incerto a una maggioranza certa con Renzi. Ora vedremo se con le dimissioni di Conte cambieranno le cose, ma vale ancora la pena di chiedersi perché il voto sia stato, e possa essere di nuovo considerato una strada percorribile contro ogni evidenza.
Il sospetto è che dentro agli attuali partiti di maggioranza ci sia chi pensa ancora che le elezioni anticiparte siano una scommessa che il centrosinistra può vincere. In politica non sempre gli attori prendono decisioni razionali. Ma in questo caso i costi di una sconfitta sarebbero così elevati, dalla gestione del Recovery Plan alla elezione del nuovo Presidente della Repubblica , da rendere folle la decisione di andare al voto senza la convinzione che le probabilità di vincere siano buone.

E allora c’è da chiedersi su cosa si basi questo calcolo.
La risposta forse è nei dati riportati nell'allegata tabella.

Sono la media dei sondaggi ai partiti nell’ultima settimana. Sommando le intenzioni di voto dei partiti di centro-sinistra e di centro-destra viene fuori che il primo schieramento supera il secondo, seppur di poco, 48,7%, contro 47,4%.
Visto che la media dei sondaggi dell’ultima settimana non è molto diversa da quella delle settimane precedenti la conclusione che molti traggono è che la partita delle elezioni sia aperta. La vittoria del centro-destra che qualche mese fa sembrava scontata non lo sarebbe più.
A dar credito a questa tesi c’è poi il fattore-Conte. La somma delle intenzioni di voto che abbiamo fatto non tiene conto dell’ipotesi che l’attuale premier si presenterebbe alle elezioni con una sua lista personale. Tra l’altro, in caso contrario dovrebbe scegliere un partito con cui presentarsi e questa è cosa che Conte non ha mai fatto e non farà. E allora se aggiungiamo al 48,2% calcolato sopra la percentuale dell’eventuale partito di Conte, il vantaggio competitivo del centro-sinistra aumenterebbe ulteriormente e di conseguenza le sue probabilità di vittoria. Quale possa essere questa percentuale non si sa. Negli ultimi giorni sono circolate varie stime. Né si sa di sicuro quanti voti il partito di Conte sottrarrebbe a Pd e M5s. Ma anche tenendo conto di questo fattore i dati dei sondaggi sembrano indicare che comunque aggiungerebbe qualcosa alla coalizione. Tanto basta ad alimentare la fiducia in una possibile vittoria elettorale del centro-sinistra.

Questa fiducia è mal riposta. Il calcolo dei sostenitori del “Conte o voto” non tiene in considerazione l’effetto del sistema elettorale. Se si andasse a votare con l’attuale sistema che è basato su circa un terzo di collegi uninominali diventa essenziale per vincere nei collegi che si formino delle coalizioni prima del voto. Chi farà parte della coalizione di Conte? Ci sarà Italia Viva, ci saranno Calenda e Bonino? Nel 48,7% di cui sopra ci sono anche loro. E questo è un primo problema.

Il secondo problema è che per poter vincere, i voti degli elettori dei vari partiti della coalizione si devono sommare. Nei collegi uninominali il centro-sinistra si presenterà con dei candidati comuni. In alcuni collegi il candidato sarà del Pd, in altri del M5s, in altri del partito di Conte e così via. Quanti elettori del M5s voteranno il candidato del Pd e viceversa? Per non parlare degli eventuali elettori di Calenda, Renzi e Bonino nel caso in cui i rispettivi partiti facessero parte della coalizione.

Ed è proprio questo il motivo per cui il governo pensa a una riforma elettorale proporzionale. Ma con che soglia? Se fosse il 5% farebbe meno danni. Ma chi può credere che in questo parlamento con tanti partitini, tutti indispensabili al centro-sinistra per sperare di vincere, si possa far approvare una soglia simile?

In ogni caso, in un contesto balcanizzato come l’attuale, un proporzionale con qualunque soglia rischierebbe di produrre in parlamento una situazione di totale ingovernabilità. Non vincerebbe nessuno. E si finirebbe per mettere un enorme potere nelle mani di partitini o di singoli parlamentari, magari eletti all’estero o senatori a vita.

Chi nel Pd e dintorni, nel bel mezzo della crisi di governo volesse continuare a sbandierare il grido “Conte o voto” è bene che ricordi una semplice realtà. Il centro-sinistra oggi, come ai tempi di Prodi, è più diviso e frammentato del centro-destra. E oggi non c’è L’Ulivo. Già allora Prodi vinse per caso sia nel 1996 che nel 2006. Vale la pena di riprovarci oggi in condizioni più difficili? Con una pandemia da gestire, un Recovery Plan da implementare, con i nostri partners europei che ci osservano esterrefatti. Non merita piuttosto provare a rimettere insieme quella maggioranza dissipata che in Parlamento c’è ancora? Con o senza Conte.

(dal Sole 24 Ore - 26 gennaio 2021)

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