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Lettera aperta alla Befana 2021

 

Di Paolo Razzuoli

 

   Cara Befana,

    Quest’anno la tua festa è velata di una profonda tristezza.

Non si sentono infatti i canti che da ogni angolo delle nostre contrade ti vengono normalmente dedicati, da grandi e piccini.

Non si vedono i gioiosi cortei o le feste in cui tu, con l’immancabile tua scopa, distribuisci dolci e doni ai più piccini.

Certo, tu nelle case i doni ai bambini li porterai, scendendo come ogni anno dai camini; ma saranno per molti di essi doni più poveri, perché le famiglie si sono pesantemente impoverite. Ed anche tu hai il sacco meno pieno degli scorsi anni.

  Tu che a cavallo della tua scopa ti muovi invisibile di qua e di là in ogni parte del mondo, conosci meglio di chiunque la complessità del momento che sta vivendo l’umanità: ne conosci le difficoltà, le contraddizioni, le paure, le speranze.

   Speriamo che per la prossima tua festa, fra un anno, la paura possa lasciare il passo ad una ragionevole speranza….

 

   Rivolgendoti le mie richieste, nulla ti dirò della pandemia Covid.19. Sarebbe troppo ovvio e scontato. Per quanto possibile, ci penseranno gli umani, ognuno in ragione delle proprie possibilità e competenze, si spera in modo razionale, aiutati – secondo le convinzioni – o dal laico Destino o dalla religiosa Provvidenza.

   Le mie richieste riguardano la politica, soprattutto italiana: e sono richieste molto impegnative, stante la situazione del Paese.

   E’ superfluo ricordarti che l’Italia è in mezzo ad una formidabile tempesta di declino. Quando si farà la storia di questo periodo, ad esempio fra un secolo, credo che si parlerà di questo periodo come di una fase buia e declinante. Una fase in cui un oscuro personaggio di nome Luigi Di Maio è potuto ascendere a capo della nostra diplomazia, ruolo un tempo occupato da profili quali Sforza, Martino, Fanfani, Moro; una fase in cui un oscuro avvocato sempre elegantemente vestito, mai presentatosi alle elezioni, di nome Giuseppe Conte è potuto, grazie a manovre di palazzo, assurgere niente meno che al ruolo di presidente del Consiglio, ruolo ricoperto a suo tempo da De Gasperi, Fanfani, Moro, Spadolini, Craxi, Andreotti; una fase in cui una oscura insegnante di sostegno di nome Lucia Azzolina, ha potuto ricoprire la carica di ministro della Pubblica Istruzione, carica che fu di Francesco De Sanctis, di Benedetto Croce e, in epoca recente, di Francesco Profumo; una fase in cui un signore di nome Domenico Arcuri è stato incaricato di gestire questioni della massima importanza, fra le quali azioni molto delicate (vedi piano di vaccinazioni) del contrasto alla pandemia Covid, nonostante il ripetuto inanellamento di figuracce e di fallimenti. E bada bene, il mio è un giudizio esclusivamente politico, ben distante da giudizi personali, tanto diffusi sui social ed anche su organi di stampa, tanto maleducati quanto inutili sul piano politico.

Io non ci sarò per vedere se ho ragione o torto. Tu però ci sarai, giacché sei figlia di una bella favola dolce ed immortale, e potrai quindi saperlo. Ti confesso che per questo un po’ ti invidio; quanto mi piacerebbe conoscere come sarà l’Italia fra un secolo!!!!

   Ma bando alle fantasie: veniamo alla realtà.

Non sappiamo quanto durerà questo governo, in questi giorni a rischio crisi. Ma non è di questo che voglio parlarti: il tema vero è assai più complesso. 

    Il declino che sta attanagliando il nostro Paese è tremendamente difficile da fronteggiare giacché riguarda l’intera società. Tu sai che io non condivido affatto la semplificazione che vedrebbe da una parte una politica malata a fronte di una società sana. Se così fosse, la società avrebbe trovato gli anticorpi per difendersi. Questa contrapposizione fra politica e società è il solito modo italiano di scaricare sugli altri le proprie responsabilità. In Italia tutti sono riformisti a parole, ma conservatori nei fatti. Tutti vogliono le riforme, purché a pagarne i costi siano gli altri.

E’ chiaro che così non si va da nessuna parte.

La politica è ormai lo specchio degli aspetti più decadenti della nostra società: le spinte corporative, il forte ripiegamento sul presente, l’incapacità di porsi orizzonti di prospettiva, l’ancoraggio tenace ad un contesto istituzionale del tutto fuori tempo.

 Una politica quindi ingabbiata nella “dittatura del presente”, protesa all’acquisizione di dividendi elettorali, che non sembra turbata nemmeno da eventi drammatici qual è l’attuale pandemia, i cui effetti devastanti richiederebbero invece un forte slancio per la ricostruzione del nostro tessuto sociale secondo un progetto di medio-lungo orizzonte.

Non c’è proprio nulla da fare, come attesta la manovra finanziaria recentemente approvata, o la vicenda del piano per il Recovery Fund.

E non è un paradigma esclusivo dell’attuale maggioranza. Il dato disarmante è che il contrasto politico si gioca sulla logica “vai via tu che vengo io”, e non su una reale diversificazione di metodi e di obiettivi progettuali. Un quadro insomma sconfortante, che potrà essere superato solo grazie ad un brusco cambio di pagina del racconto della storia di questo Paese.

Quale cambio di pagina?

Quello dell’apertura di un nuovo capitolo, che ancor prima del “politico” si giochi nel “pre-politico”, ovvero nella sfera del dibattito culturale all’interno dei corpi sociali.

  Sì, perché solo grazie ad un progetto politico condiviso, attorno a cui si ritrovi una solida maggioranza della società italiana, è realisticamente immaginabile che il Paese riesca a sottrarsi all’avvitamento declinante in cui si è cacciato.

 Solo grazie ad una reale nuova assunzione di responsabilità della gran parte della società italiana, potranno crearsi le condizioni affinché una nuova classe politica possa guidare il processo di rilancio.

    Non sottovaluto per niente il tema della leadership. Ma nel nostro ordinamento, senza un progetto condiviso, qualsiasi leader è destinato al fallimento. Lo abbiamo visto anche nella storia recente: ascese fulminee, seguite da tonfi clamorosi. Se non si cambiano i meccanismi istituzionali e le logiche politiche, qualsiasi figura, anche la più credibile e capace, è destinata al fallimento.

  Naturalmente il discorso si capovolge se si pensa ad una leadership capace di agire sulla società, proponendo un progetto politico in grado di raccogliere un consenso sufficientemente  vasto da tradurre poi nella sfera dell’azione politica. E’ proprio di questo che l’Italia avrebbe bisogno: ci tornerò sopra.

     Problemi che peraltro non riguardano solo l’Italia. Un tema di sicuro interesse è quello delle cause di decadimento delle democrazie rappresentative nel mondo occidentale, in molti casi ormai afflitte da populismi di varia matrice. Un tema delicatissimo, che mette in gioco questioni per cui il discorso pubblico non è pronto, e che comunque non è affrontabile in questa sede.

    Tornando all’Italia, qual è la richiesta?

  Eccola. E’ una richiesta di grande impegno. E’ la richiesta che la società italiana prenda finalmente coscienza della propria situazione di atomizzazione, di diffusa deresponsabilizzazione, di frammentazione corporative, di egoismi distruttivi, quali patologie da curare per avviare un serio progetto di rilancio. Un progetto che si fondi sulla reale capacità di incidere sui mali vecchi e nuovi, e non sulla diffusa prassi di eluderli, andando a cercare improbabili responsabilità esterne o altrettanto improbabili avversità del fato.

 Per dirla con Montanelli, la società italiana dovrà trovare la forza per riconfigurarsi, mostrando di essere un popolo e non un’assieme di tribù.

  La pandemia viene spesso paragonata alla guerra, e dopo le guerre i popoli possono riprendersi se uniti attorno ad un progetto di ampi orizzonte.

 E’ ciò che l’Italia ha saputo fare dopo la tragedia della seconda guerra mondiale e della guerra civile.

Ha saputo farlo grazie all’impegno convergente della maggioranza della società italiana, ma ha saputo farlo giacché ha potuto avvalersi di guide illuminate quali De Gasperi, Einaudi, e gli altri che con essi hanno guidato il Paese sul cammino della rinascita.

      Ebbene, in questa fase si sente spesso evocare lo sforzo della società italiana per uscire dalla guerra e dalle sue rovine, ma si dimentica che oggi il Paese non ha né un De Gasperi né un Einaudi, né si avverte la disponibilità della società italiana ad imboccare la strada dello stile della loro politica.

    Qualche giorno prima di Natale, Massimo Gramellini ha proposto, sulla sua rubrica del Corriere della Sera, un calendario De Gasperi. L’idea è stata ripresa dal giornalista Simone Spetia su Radio 24. Di fronte alle numerose adesioni alla proposta, lo stesso Simone Spetia si è chiesto: “ma perché allora gli italiani non votano questa politica?”

  

   Cara Befana, eccomi alla richiesta: se puoi, aiuta gli italiani a ritrovarsi, mediante un recuperato senso di responsabilità e di coesione e servizio verso il loro Paese, attorno ad un progetto politico che possa far uscire il Paese dal declino in cui si dibatte.

Fa capire loro che il colpo di orgoglio di cui c’è bisogno richiede l’impegno di tutti, nessuno escluso. I mali della società italiana sono diffusi, quindi l’assunzione di responsabilità non può riguardare sempre solo gli altri.

Ciascuno è chiamato a fare la propria parte, senza furbate, senza sotterfugi, senza scorciatoie e senza imbrogli.

  Solo così si potrà superare l’attuale atomizzazione, frutto dell’egoismo dominante; solo così si potrà recuperare quel senso di comunità nazionale che rappresenta il presupposto di ogni orizzonte progettuale.

  Un orizzonte che, mentre deve certo saper rassicurare sulle paure del presente, deve saper guardare molto in avanti, disegnando un orizzonte di futuro pensando soprattutto ai nostri ragazzi.

  Un progetto che trovi una classe politica non solo attenta, ma capace di stimolarlo,  interpretarlo, guidarlo.

   Una classe politica di veri statisti e non di maneggiatori politici, che, come ci insegna De Gasperi, sappiano guardare alle prossime generazioni e non alle prossime elezioni.

 

   Cara Befana, so di chiederti una cosa terribilmente impegnativa. Ma di questo abbiamo bisogno noi italiani.

    Grazie!

 

Lucca, 5 gennaio 2021

 

 

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