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INDUSTRIA - Grandi investimenti frenati dai colpi di testa nelle regole

 

di Jacopo Giliberto

 

Dal referendum no-triv in poi a rischio 5 milioni di tonnellate di petrolio

 

La nuova ipotesi, ricorrente, di rinunciare all’utilizzo dei giacimenti nazionali di petrolio e di gas — circa 4 miliardi di metri cubi di metano e 5 milioni di tonnellate di greggio — a vantaggio di idrocarburi che dovranno essere estratti all’estero e importati con i

metanodotti e con le petroliere mette in difficoltà le compagnie energetiche e l’occupazione nell’indotto minerario.

Che si tratti di giacimenti, di centrali elettriche, di impianti per produrre pannelli solari al silicio, di gasdotti o di linee di alta tensione, gli investimenti nel settore dell’energia chiedono tempi lunghi per essere completati e assicurano rientri in tempi lunghissimi. Hanno bisogno di certezze. L’Italia, da decenni amica delle importazioni di energia tanto da diventare il Paese europeo più dipendente dall'estero, invece cambia di continuo le carte e le regole, rendendo costosi (o addirittura paralizzando) gli investimenti esteri nel campo energetico.

 

Divieti, moratorie e piani

Tra i casi più recenti di normative contraddittorie e di incertezze sullo sfruttamento delle risorse nazionali vanno ricordati il referendum “no-triv” dell’aprile 2016 (non aveva conseguito il quorum), il divieto alle attività petrolifere nelle acque territoriali, la moratoria ricorrente e in questi giorni l’emendamento ipotizzato per il decreto Milleproroghe. Su tutto aleggiano le pianificazioni dai nomi improbabili come il Pitesai, cioè il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee. Il Pitesai è un espediente per cercare di fermare l’utilizzo dei giacimenti nazionali, cioè sarà una mappatura in cui verrà delineato dove, per motivi di popolazione, di paesaggio, di risorse naturali, di turismo culturale e di agricoltura di qualità, sarà vietatissimo sfruttare il sottosuolo. Di anno in anno, questo piano viene rimandato. La normativa più recente ne aveva prorogato la consegna dal febbraio all’estate 2021. Non è un caso se da anni le imprese del settore, nell’incertezza, licenziano e mettono sulla strada migliaia di persone.

 

Cinque milioni di tonnellate

Quanto petrolio dovrebbe essere importato se fermassimo i nostri giacimenti? Dovrebbero volteggiare davanti alle nostre coste petroliere e navi cisterna per 5 milioni di tonnellate di greggio in più che quest’anno invece erano state estratte dal sottosuolo italiano per un controvalore di 1,5 miliardi di euro. E dovranno essere pompati nei metanodotti di importazione dalla Russia, dalla Norvegia, dall’Azerbaigian, dall’Algeria e dalla Libia almeno 4 miliardi di metri cubi di gas in più.

 

Investimenti delicati

Tra gli investimenti che esigono chiarezza normativa vanno ricordati i programmi dell’Energean per le piattaforme appena comprate dall’Edison o quelli dell’Eni nel Canale di Sicilia. È in fase di rinnovo la concessione, scaduta e prorogata, dell’intero giacimento dell’Eni in val d’Agri (Potenza), il più grande giacimento d’Europa.

 

il tesoro sepolto

Fino al mese di ottobre l’ufficio minerario dello Sviluppo economico aveva censito l’estrazione dai giacimenti nazionali nei primi dieci mesi di quest’anno di 3,7 miliardi di metri cubi di metano, soprattutto dalla val d’Agri (Basilicata 1,2 miliardi di metri cubi) e dai giacimenti sotto il fondale dell’Adriatico (1,1 miliardi di metri cubi).

In 10 mesi sono stati estratti altri 4,4 milioni di tonnellate di greggio, con in testa la Basilicata (3,6 milioni di tonnellate), i giacimenti siciliani (332mila tonnellate) e quelli in mare (368mila tonnellate). Inoltre dal sottosuolo sono stati estratti da gennaio a ottobre 7.932 tonnellate di gasolina, soprattutto dai giacimenti in Sicilia (7.057 tonnellate).

 

In testa Russia e Azerbaigian

Secondo i calcoli dell’Unem, l’associazione delle compagnie di raffinazione e distribuzione di prodotti petroliferi, il calo dei consumi e il ribasso del costo del barile di greggio importato, diminuito nel 2020 di oltre 22 dollari (-34%) che diventano circa 21 in euro al barile (-36%) per il cambio euro-dollaro, «si è riflesso sulla fattura petrolifera che nel 2020 si stima intorno ai 12 miliardi di euro, 9,7 miliardi in meno rispetto al 2019 (-45%), la più bassa degli ultimi 30 anni».

Ma da dove arriva il greggio che importiamo? Nei primi dieci mesi di quest’anno l’Italia ha importato più di 8 milioni di tonnellate di greggio dall’Azerbaigian e più di 7 milioni dall’Iraq. Seguono Arabia, Russia, Kazakhstan; attorno a forniture sui 2 milioni di tonnellate in 10 mesi si collocano Nigeria e Libia. Per il metano la Russia è in testa per le forniture all’Italia. Nel periodo gennaio-ottobre, secondo le rilevazioni dello Sviluppo economico, l’Italia ha importato dalla Russia 23,8 miliardi di metri cubi di gas su un consumo totale italiano di 55,1 miliardi di metri cubi.

 

(dal Sole 24 Ore – 23 dicembre 2020)

 

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