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Il 54° rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese/2020

a cura di Paolo Razzuoli

Come ormai da consuetudine, anche quest'anno il primo venerdì di dicembre (il giorno 4), è stato presentato il rapporto annuale sulla società italiana, elaborato dal Censis.
In quest'anno tutto particolare, la presentazione è avvenuta esclusivamente in streaming, conservando tuttavia il profilo tradizionale: sono infatti intervenuti il presidente del Cnel, Tiziano Treu che ha aperto l'evento, il direttore Generale del Censis, Massimiliano Valerii, il Segretario Generale del Censis, Giorgio De Rita.

 

Parto dagli interventi, di cui mi piace focalizzare alcuni passaggi.
Le prime parole che voglio sottolineare, sono del Segretario Generale Censis, Massimiliano Valerii, che - fra l'altro - ha detto:
«Il 2020 è stato un anno eccezionale e l’anno della paura nera. Gli eventi ci hanno riportato alla nostra nuda vita, con una intollerabile vista pubblica della morte, amplificata dal sistema dei media, resa più inquietante dalla mancanza di una base dati epidemiologica accurata. Questo evento eccezionale ha rappresentato di fatto uno straordinario fattore di accelerazione di alcuni processi che erano già in atto, presistenti nella nostra società. Ha squarciato un velo su vulnerabilità strutturali del nostro Paese. Il re è nudo».

Giorgio De Rita, Segretario Generale Censis, ha così concluso il suo intervento:
"In questa situazione, spetta alla nostra classe dirigente, che «nello sforzo di confinare l’emergenza» sembra aver «dimenticato di rimettere mani all’aratro», trovare la forza di guardare avanti, «arando dritto». «Questo sforzo, questo coraggio, questa responsabilità – prosegue De Rita – che è attribuibile alla classe dirigente italiana e che oggi è oscurato da uno sguardo corto, dalla necessità di pensare all’oggi, aidecreti di Natale, è forse la più grande sfida che il nostro Paese ha di fronte».

Parole che focalizzano i nodi veramente centrali di questa nostra fase storica: da un lato la necessità che il Paese si ritrovi in un progetto ampiamente condiviso, e dall'altra l'annoso tema della classe dirigente, che dovrà superare la logica del "presente" in cui è annodata, per sapersi proiettare in un nuovo ed ampio orizzonte progettuale.

IL rapporto più nel dettaglio

Quale italia emerge nel 2020 dall'osservatorio Censis?
Dalla sua privilegiata torretta di osservazione, quale società italiana al tempo del Covid scopriamo?
Intanto l’avanzare della storia incontra a volte curve drammatiche e inaspettate che mutano radicalmente i paesaggi. La pandemia è uno di questi improvvisi e imprevisti cambiamenti. Il virus ha aggredito una società già stanca. Provata da anni di resistenza alla difformità dei redditi e alla decrescita degli investimenti, incerta sulle prospettive future, con un modello di sviluppo fragilissimo: una società indebolita, ma ancora sufficientemente vitale per resistere e combattere a favore della risalita.
Quest’anno, anno terribilis che vorremmo cancellare al più presto, non abbiamo potuto avere la capacità di visione. La distribuzione indifferenziata di bonus e sussidi di ogni ordine e genere ha calmierato (?) le difficoltà di progetti imprenditoriali ed aziendali e famiglie. Il blocco dei licenziamenti e la Cassa integrazione hanno posto una piccola diga al rischio di trasferire sui soggetti più deboli gli effetti della diminuzione della produzione. Ma il debito pubblico è stato accresciuto in misura rilevante, ponendo un ulteriore fardello sulle prossime generazioni. Il sentiero di crescita prospettato si prefigura come un modesto calpestio di annunci già troppe volte pronunciati: un sentiero di bassa valle più che un’alta via. E oggi l’attesa si è trasformata in disorientamento, la semplificazione delle soluzioni nell’emergenza è diventata una sottostima dei problemi, il contagio della paura rischia di mutarsi in rabbia o peggio.
In tutte le epoche di crisi, la società italiana ha resistito e ha saputo rilanciare grazie a un curioso e originale intreccio dei suoi tessuti costituenti. Ma la realtà odierna ci impone di prendere atto che il Paese si muove in condizioni troppo rischiose per non presupporre una nuova azione sistemica del Pubblico. Tutti avvertono che per rimettere in cammino l’economia e rinsaldare la società occorrono interventi concreti e in profondità.
Privi di un De Gasperi a fare da guida nell’ora più buia, capace di essere il collante delle comunità, il nostro modello individualista è stato il migliore alleato del virus, unitamente ai problemi sociali di antica data, alla rissosità della politica e ai conflitti interistituzionali. Uno degli effetti provocati dall’epidemia è di aver coperto sotto la coltre della paura e dietro le reazioni suscitate dallo stato d’allarme le nostre annose vulnerabilità e i nostri difetti strutturali, del tutto evidenti oggi nelle debolezze del sistema, e pronti a ripresentarsi il giorno dopo la fine dell’emergenza più gravi di prima.

Meglio sudditi che morti: le vite a sovranità limitata degli italiani e le scorie dell’epidemia.

 Spaventata, dolente, indecisa tra risentimento e speranza: ecco l’Italia nell’anno della paura nera.
Il 73,4% degli italiani indica nella paura dell’ignoto e nell’ansia conseguente il sentimento prevalente. Che porta alla dicotomia ultimativa: «meglio sudditi che morti». La tensione securizzatrice ha prodotto una relazionalità amputata e un crollo verticale del «Pil della socialità». Lo Stato è il salvagente a cui aggrapparsi nel massimo pericolo.
Il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al Governo le decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni alla mobilità personale.
Il 38,5% è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, accettando limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione e di iscriversi a sindacati e associazioni. Il 77,1% chiede pene severe per chi non indossa le mascherine di protezione delle vie respiratorie, non rispetta il distanziamento sociale o i divieti di assembramento.
Il 76,9% è convinto che chi ha sbagliato nell’emergenza, che siano politici, dirigenti della sanità o altri, deve pagare per gli errori commessi. Il 56,6% chiede addirittura il carcere per i contagiati che non rispettano rigorosamente le regole della quarantena. Il 31,2% non vuole che vengano curati (o vuole che vengano curati solo dopo, in coda agli altri) coloro che, a causa dei loro comportamenti irresponsabili, si sono ammalati. E per il 49,3% dei giovani è giusto che gli anziani vengano assistiti solo dopo di loro. Oltre al ciclopico debito pubblico, le scorie dell’epidemia saranno molte.
Tra antichi risentimenti e nuove inquietudini e malcontenti, persino una misura indicibile per la società italiana come la pena di morte torna nella sfera del praticabile: a sorpresa, quasi la metà degli italiani (il 43,7%) è favorevole alla sua introduzione nel nostro ordinamento (e il dato sale al 44,7% tra i giovani).

Capodanno moscio.

 

Sì al giro di vite per le festività: in vista del Natale e del Capodanno, il 79,8% degli italiani chiede di non allentare le restrizioni o di inasprirle. Il 54,6% spenderà di meno per i regali da mettere sotto l’albero, il 59,6% taglierà le spese per il cenone dell’ultimo dell’anno. Per il 61,6% la festa di Capodanno sarà triste e rassegnata. Non andrà tutto bene: il 44,8% degli italiani è convinto che usciremo peggiori dalla pandemia (solo il 20,5% crede che questa esperienza ci renderà migliori).

Destini personali deviati: i garantiti e i non garantiti.

 

Per l’85,8% degli italiani la crisi sanitaria ha confermato che la vera divisione sociale è tra chi ha la sicurezza del posto di lavoro e del reddito e chi no. Su tutti, i garantiti assoluti, i 3,2 milioni di dipendenti pubblici. A cui si aggiungono i 16 milioni di percettori di una pensione ? una larga parte dei quali ha fornito un aiuto economico a figli e nipoti in difficoltà: un «silver welfare» informale.

Poi si entra nelle sabbie mobili: il settore privato senza casematte protettive.

Vive con insicurezza il proprio posto di lavoro il 53,7% degli occupati nelle piccole imprese, per i quali la discesa agli inferi della disoccupazione non è un evento remoto, contro un più contenuto 28,6% degli addetti delle grandi aziende.

C’è quindi la falange dei più vulnerabili: i dipendenti del settore privato a tempo determinato e le partite Iva.

C’è poi l’universo degli scomparsi, quello dei lavoretti nei servizi e del lavoro nero, stimabile in circa 5 milioni di persone che hanno finito per inabissarsi senza fare rumore. Infine, i vulnerati

inattesi: gli imprenditori dei settori schiantati, i commercianti, gli artigiani, i professionisti rimasti senza incassi e fatturati. Nel magmatico mondo del lavoro autonomo, solo il 23% ha continuato a percepire gli stessi redditi familiari di prima del Covid-19.
Se il grado di protezione del lavoro e dei redditi è la chiave per la salvezza, allora quasi il 40% degli italiani oggi afferma che, dopo l’epidemia, avviare un’impresa, aprire un negozio o uno studio professionale è un azzardo e ? nel Pese dell’autoimprenditorialità ? solo il 13% lo considera ancora una opportunità.

La bonus economy, ovvero i mille volti dei sussidi ad personam.

 

A ottobre i sussidi erogati dall’Inps coinvolgevano una platea di oltre 14 milioni di beneficiari, con una spesa superiore a 26 miliardi di euro. È come se a un quarto della popolazione italiana fossero stati trasferiti in media quasi 2.000 euro a testa.
La valutazione positiva dei bonus è molto alta tra i giovani (83,9%), più che tra gli anziani (65,7%). Per questi ultimi è un meccanismo che può generare dipendenza (25,1%) e rischia di mandare fuori controllo il debito pubblico (18,1%). Ma solo il 17,6% dei titolari di impresa ritiene che le misure di sostegno saranno sufficienti a contrastare le conseguenze economiche dell’emergenza.

Iniezioni aggiuntive di cash cautelativo: come le famiglie si immunizzano dai rischi.

 

Nel secondo trimestre il Pil è franato del 18% in termini reali rispetto all’anno scorso, i consumi delle famiglie del 19,2%, gli investimenti del 22,9%, l’export del 31,5%. Poi il rimbalzo congiunturale nel terzo trimestre ha attutito il colpo. Ma rispetto al dicembre 2019, nel giugno 2020 la liquidità delle famiglie (contante e depositi a vista) ha registrato un incremento di 41,6 miliardi di euro (+3,9% in sei mesi) e ora supera i 1.000 miliardi.
Il 66% degli italiani si tiene pronto a nuove emergenze adottando comportamenti cautelativi: mettere i soldi da parte ed evitare di contrarre debiti. Anche perché il 75,4% giudica insufficienti o tardivi gli aiuti dello Stato.

Il lavoro a picco e la produttività senza slancio: a pagare il conto giovani e donne.  Rispetto all’anno scorso, nel terzo trimestre sono già 457.000 i posti di lavoro persi da giovani e donne, il 76% del totale dell’occupazione andata in fumo (605.000 posti di lavoro). E sono 654.000 i lavoratori indipendenti o con contratto a tempo determinato senza più un impiego. Nel secondo trimestre dell’anno i giovani di 15-34 anni risultavano particolarmente colpiti in alcuni settori: alberghi e ristorazione (sono più della metà dei 246.000 occupati in meno nel settore rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), industria in senso stretto (-80.000), attività immobiliari, professionali e servizi alle imprese (-80.000), commercio (-56.000). E la sperequazione nella possibilità di resistere alla perdita del lavoro vede nelle donne ancora una volta il segmento più svantaggiato. Al secondo trimestre il tasso di occupazione, che per gli uomini raggiungeva il 66,6%, presentava un divario di oltre 18 punti a sfavore delle donne. Nella classe di età 15-34 anni solo 32 donne su 100 risultano occupate o in cerca di una occupazione. Per le donne di 25-49 anni il tasso di occupazione è del 71,9% tra quelle senza figli, solo del 53,4% tra quelle con figli in età pre-scolare. E tra il 2008 e il 2019 la produttività del lavoro in Italia è aumenta appena dello 0,1%.

L’erosione di due pilastri dell’architrave sociale: libere professioni e rappresentanza.

 

Poco meno di 4 milioni di lavoratori indipendenti hanno avuto accesso all’indennità di 600 euro. 1,4 milioni di commercianti, 1,2 milioni di artigiani e circa 300.000 coltivatori diretti e altre figure impegnate nelle attività agricole rappresentano tre quarti del totale dei beneficiari (circa 3 milioni) che hanno potuto ottenere una compensazione della perdita di reddito nel corso dell’emergenza. La spesa complessiva per queste categorie si aggira intorno a 1,7 miliardi di euro, poco meno del 74% del totale di 2,3 miliardi. Nelle libere professioni e nell’area degli iscritti alla gestione separata dell’Inps – un totale di circa 2,5 milioni di liberi professionisti e collaboratori – un milione è risultato beneficiario dell’indennità di 600 euro. Vi hanno avuto accesso 38 iscritti alle Casse su 100 e il 42% degli iscritti alla gestione separata dell’Inps.
Queste cifre danno conto dell’area del disagio che ha colpito le libere professioni. Dei professionisti con Cassa hanno avuto accesso al Reddito di ultima istanza il 60% dei geometri, il 59% degli architetti e ingegneri, il 57% degli avvocati, il 56% dei veterinari, il 55% degli psicologi, il 40% dei consulenti del lavoro e il 38% dei commercialisti.

Ricchi e poveri: l’impatto divaricante del virus.

 

Il 90,2% degli italiani è convinto che l’emergenza e il lockdown abbiano danneggiato maggiormente le persone più vulnerabili e ampliato le disuguaglianze sociali. Sono appena 40.949 gli italiani che dichiarano un reddito che supera i 300.000 euro l’anno, con una media di 606.210 euro pro capite. Corrispondono allo 0,1% del totale dei dichiaranti. Mentre sono 1.496.000 le persone con una ricchezza che supera il milione di dollari (circa 840.000 euro): sono pari al 3% degli italiani adulti, ma possiedono il 34% della ricchezza del Paese.

Deficit antichi e nuove pressioni sulla sanità.

 

Sotto la spinta drammatica del susseguirsi di nuovi contagiati in gravi condizioni, a maggio i posti letto di terapia intensiva erano passati dagli 8,7 per 100.000 abitanti della fase precedente al Covid-19 a 15,3. Dopo anni di tagli alla spesa pubblica, la straordinaria opportunità di rilancio del sistema sanitario sta nella inedita disponibilità di risorse. Con il decreto «Rilancio» di maggio il Governo ha destinato 3,2 miliardi di euro alla riorganizzazione della sanità pubblica, di cui quasi 1,5 miliardi per il riordino della rete ospedaliera e circa 1,2 miliardi per l’assistenza territoriale.

La scuola degli esclusi.

 

Solo l’11,2% degli oltre 2.800 dirigenti scolastici intervistati dal Censis ha confermato di essere riuscito a coinvolgere nella didattica tutti gli studenti. Nel 18% degli istituti ad aprile mancava all’appello più del 10% degli studenti. Il 53,6% dei presidi sostiene che con la didattica a distanza non si riesce a coinvolgere pienamente gli studenti con bisogni educativi speciali. Il 37,4% teme di non poter realizzare progetti per il contrasto alla povertà educativa e per la prevenzione della dispersione scolastica. Tra gli oltre 800.000 studenti non italiani, i soggetti più a rischio sono le prime generazioni (circa il 47% del totale), che incontrano maggiori difficoltà per ragioni linguistiche e culturali. C’è poi una tipologia di studenti per i quali la socialità che si instaura nelle aule scolastiche è insostituibile: gli alunni con disabilità (circa 270.000 persone solo nelle scuole statali) o con disturbi specifici dell’apprendimento (circa 276.000).

La crisi dei centri storici e i turbamenti del mercato immobiliare.

 

Anche per il real estate è un periodo di profonda incertezza, in particolare per il segmento degli uffici e per quello commerciale. In grandissima crescita il settore della logistica, mentre per ora il residenziale, pure a fronte di un sensibile calo degli scambi, registra un incremento dei prezzi nel secondo trimestre 2020: +3,4% rispetto allo stesso periodo del 2019. Sul fronte degli affitti residenziali inevitabilmente la domanda di stanze e di posti letto ha subìto un tracollo.

Cosa resterà dopo lo stato d’eccezione? Le reti che ci hanno sostenuto.

 

La rete che più di tutte ha conosciuto una rivoluzione dei comportamenti individuali è stata internet. Secondo una indagine del Censis, l’87% dei cittadini ha dichiarato di avere utilizzato nell’emergenza la connessione internet fissa a casa e che è stata sufficiente. Meno del 10% ha lamentato una mancanza di banda adeguata. Gli upgrade a connessioni più performanti sono stati limitati (7,4%). In oltre la metà dei casi è stata utilizzata anche la connessione dati del telefono cellulare. Più del 70% dei cittadini ha dichiarato di possedere le competenze di base necessarie per svolgere tutte le attività online. Però appare chiara una criticità: la generazione più anziana è quella che per un terzo (il 32,6%) si autoesclude completamente dal mondo digitale.

Una vita da remoto.

 

Si può stimare che quasi 43 milioni di persone maggiorenni (tra queste, almeno 3 milioni di novizi) siano rimaste in contatto con i loro amici e parenti grazie ai sistemi di videochiamata che utilizzano internet. Il lockdown ha generato nuovi utenti e ha rafforzato l’uso della rete da parte dei soggetti già esperti. Ma almeno un quarto della popolazione a un certo punto è andata in sofferenza. Anche un terzo dei più giovani, dopo un iniziale entusiasmo nell’uso dei sistemi di comunicazione digitale, si è stancato di fare e ricevere videochiamate.

Il ritorno del corto raggio: seconde case e turismo di prossimità.

 

Nei mesi di luglio e agosto il volume complessivo del traffico passeggeri dei primi 20 scali aeroportuali del Paese ha registrato una diminuzione pari a circa il 69% rispetto allo stesso periodo del 2019. Il calo è stato del 44,4% per i voli nazionali e del 79,7% per i voli internazionali. Secondo una indagine del Censis, il 24% degli italiani dispone di almeno un’altra abitazione collocata in un Comune diverso da quello di residenza. La quota di famiglie che hanno accesso a una seconda casa si attesta al 18% tra i nuclei di livello medio-basso e supera il 40% nelle famiglie di livello economico medio-alto. Il 34% delle famiglie dichiara di averne fatto nel 2020 un utilizzo maggiore che nel passato. La principale motivazione è il maggiore senso di sicurezza (36%), poi la rinuncia forzata alle vacanze all’estero, una motivazione più diffusa tra i ceti medio-alti (26%), e all’opposto l’esigenza di ridurre le spese non essenziali in una congiuntura difficile (il 22% nella fascia di reddito medio-basso).

L’Europa: una casa comune o lo spettro del vincolo esterno?

Solo il 28% degli italiani nutre fiducia nelle istituzioni comunitarie, a fronte di una media Ue del 43%: siamo ultimi nella graduatoria europea. La percezione delle istituzioni comunitarie nell’immaginario collettivo degli italiani resta però positiva per il 31%, è negativa per il 29%. Tuttavia, il 58% degli italiani si dice insoddisfatto delle misure adottate a livello comunitario per contrastare la crisi del Covid-19 (una percentuale superiore alla media Ue: 44%). (fonte Censis)

Infine, rimandando per un quadro completo ai documenti allegati, un cenno sulla struttura del Rapporto.
Le Considerazioni generali introducono il Rapporto descrivendo la giravolta della storia, ma anche il geniale fervore degli italiani da cui traspira il nuovo.
Nella seconda parte, La società italiana al 2020, l’anno della paura nera, vengono affrontati i temi di maggiore interesse emersi nel sistema-Italia, una ruota quadrata che non gira: l’avvitamento di vulnerabilità strutturali - che ci portano ad esclamare: il re è nudo! -, le scorie dell’epidemia e quello che resterà dopo lo stato d’eccezione.
Nella terza e quarta parte si presentano le analisi per settori: la formazione, il lavoro e la rappresentanza, il welfare e la sanità, il territorio e le reti, i soggetti e i processi economici, i media e la comunicazione, la sicurezza e la cittadinanza.

Per approfondire

Dai comunicati stampa Censis

Lucca, 5 dicembre 2020

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