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Il caos della scuola fotografato in tre lettere

 

Commento introduttivo di Paolo Razzuoli

 

   Che la gestione di questa pandemia avrebbe messo a dura prova anche la classe dirigente e la burocrazia più lungimiranti ed efficienti, l’ho sempre detto con estrema chiarezza. E’ inutile girarci attorno: questa situazione, che solo un anno fa sembrava inimmaginabile, sta mettendo a durissima prova tutti, compresi quindi sistemi molto più efficienti del nostro.

  Potete quindi immaginare da noi, in cui si sommano una classe politica litigiosa e appiattita sui dividendi elettorali, ed una burocrazia la cui inefficienza è ben nota, anche se  al di là delle chiacchiere nessuno ha sinora seriamente avuto il coraggio e la capacità di metterci le mani.

  Sfortuna somma, questa emergenza ci è capitata da una parte mentre abbiamo forse il peggior governo della storia della Repubblica, e dall’altra con un’opposizione sinceramente senza una linea, la cui ricerca del consenso l’ha portata ad ondeggiamenti che credo nessuno razionalmente possa comprendere.

  L’inefficienza e la scarsa reattività burocratiche fanno il resto, di sovente vanificando anche quegli sforzi che il Governo riesce a mettere in campo, come molte vicende venute alla luce attestano.  

   Nella scuola tutti questi nodi sono venuti al pettine: la mancanza di una visione politica e di una strategia di orizzonte da un lato, e dall’altro tutte le debolezze degli apparati pubblici, a partire ovviamente dai servizi sanitari le cui debolezze erano ben note, e su cui non si è intervenuto quando ci sarebbe stato un po’ di tempo per cercare di rimuovere perlomeno le fragilità più evidenti.

  La direzione politica della scuola, quindi il Ministro di settore, in questi mesi si è prodotta in una serie di annunci “spot”, avulsi da qualsiasi visione di orizzonte, a volte ispirati ad un po’ di pedagogismo consunto, e altre volte mirati alla ricerca del consenso.

  Tutte ricette inservibili, in una situazione drammatica, che avrebbe messo a dura prova chiunque, figuriamoci chi manca di quella solidità politica e di quel senso della prospettiva, che sono prerequisiti indispensabili per chiunque voglia seriamente cimentarsi con ruoli di direzione politica.

   Le tre lettere aperte di seguito proposte ai nostri lettori fotografano, meglio di tante altre parole, il caos in cui si dibatte la nostra scuola.

 Le prime due, sono scritte da una docente che regolarmente le sottoscrive; la terza è di un genitore che, per evidenti ragioni, chiede di restare anonimo.

  

 

La didattica a distanza fra demonio e santità

 

Lucia Galli

 

«Continuerò a battermi per tenere aperte le scuole» afferma oggi (11 novembre 2020) la Ministra in una intervista a Radio Anch’io, aggiungendo che la chiusura

delle scuole sarebbe «un disastro educativo, sociologico, formativo, psicologico». Difficile immaginare che la stessa persona, solo pochi mesi fa, potesse

presentare la didattica a distanza come «una sperimentazione del presente che potrà lasciarci un patrimonio di esperienze importante per il futuro» (6

marzo 2020) e come «un grande successo» (2 maggio 2020).

  I toni patetici abitualmente usati dalla Ministra («potrò sentirmi sollevata soltanto quando tutti i miei studenti potranno tornare in classe», «Corriere

della sera», 5 novembre 2020) non sono certo utili ad aprire la strada ad una riflessione pacata.

  Ma non solo è mancata una riflessione, così come è mancato un vero dibattito: è mancata persino una presa di coscienza della realtà dei fatti.

  Quando si esalta la funzione irrinunciabile della didattica in presenza in quanto «garantisce formazione, ma anche socialità» (Lucia Azzolina su Facebook,

13 ottobre 2020), si dice qualcosa di condivisibile solo se si ragiona in astratto, pensando ad una scuola ideale e soprattutto alla scuola pre-Covid.

  La scuola dell’epoca Covid, però, è purtroppo un’altra cosa.

  Non ho la pretesa di fornire un quadro generale: mi limito a riferire la mia personalissima esperienza di insegnante di scuola superiore.

  Dal settembre 2020 la struttura scolastica è rimasta sostanzialmente invariata, con gli alunni accalcati nelle stesse aule: ma la vita scolastica è diventata

molto più complicata.

  Le mascherine impediscono di vedere il volto di chi abbiamo di fronte; i ragazzi sono costretti al banco e a comportamenti innaturali: non hanno un compagno

di banco, non possono scambiarsi materiali, fare lavoro di gruppo, darsi una pacca sulla spalla o, men che meno, abbracciarsi; non possono entrare in contatto

con studenti di altre classi; non possono alzarsi dal banco se non in misura molto limitata; sono obbligati a pulirsi continuamente le mani anche per i

gesti più banali.

  A questo si è aggiunto, con il passare dei giorni, un quotidiano «bollettino di guerra», sempre più allarmante: ogni volta che entravo in una classe, venivo

informata che X era in quarantena, che il padre/la madre/il fratello di Y era positivo, che Z era stato in tutta fretta ritirato da scuola dal genitore

perché raffreddato o febbricitante… Fino ad arrivare, naturalmente, alla quarantena disposta per intere classi.

  Chi conosce gli adolescenti e la loro fragilità emotiva non si stupirà nell’apprendere che molti studenti, negli ultimi giorni di scuola in presenza, erano

inquieti e preoccupati e che si sono verificati casi di crollo psicologico. Per converso, il passaggio alla didattica a distanza è stato vissuto in genere

senza problemi e addirittura come una liberazione: ho visto molti ragazzi divenire più rilassati ed attivi, e finalmente li ho visti davvero in faccia.

 

(da La Tecnica della Scuola – 11 novembre 2020)

 

 

La Caporetto di tracciamento e tamponi

 

Lucia Galli

 

Gentile direttore, 

in questi giorni ho avuto la sventura di sperimentare in prima persona la Caporetto del sistema del tracciamento dei contagi, particolarmente devastante,

ahimè, nella provincia dove abito, Lucca. 

Poiché nella classe di mia figlia di 12 anni c’è stato un caso di positività  al virus, vengo contattata dalla Asl locale per ufficializzare la quarantena e, penso ingenuamente, per prenotare un tampone: e invece no. La signora con cui parlo mi spiega infatti, con molta pazienza, che, se rinuncio al tampone, mia figlia può rientrare a scuola dopo 14 giorni; se invece voglio proprio farlo, accetteranno la domanda, ma i tempi saranno molto lunghi, sicuramente

più lunghi dei 14 giorni di quarantena, perché purtroppo mancano i reagenti, e ancora stanno aspettando i risultati di tamponi effettuati il 2 novembre.

Solo nel caso che si presentassero dei sintomi, sarei tenuta a richiederlo e potrei sperare in una maggiore rapidità.

  Messa di fronte a questa alternativa (direi una pseudoalternativa), come suppongo molti genitori, ho infine rinunciato al tampone e optato per la quarantena:

ma con la sgradevolissima e amara sensazione di aver assistito ad una resa senza condizioni.

L’Azienda sanitaria rinuncia a verificare se il contatto stretto di un positivo è stato contagiato oppure no; rinuncia a tutelare i familiari del contatto

che potranno contagiare inconsapevolmente a loro volta altre persone; rinuncia a proteggere studenti e personale della scuola perché i ragazzi sono in larga misura asintomatici e quando rientreranno a scuola alla fine della quarantena i positivi non accertati faranno in tempo a contagiare chi ancora fosse rimasto indenne dal contagio.

 

(da La Nazione – 12 novembre 2020)

 

P.S. Oggi (12 novembre 2020) leggo sulla “Nazione”, cronaca di Lucca, una intervista ad Ilaria Vietina, assessora alle politiche formative, a proposito

delle difficoltà  di gestire l’insegnamento a scuola con il prolungarsi delle quarantene. Questa la soluzione proposta dall’assessora: «credo che

sarebbe logico che la Asl disponesse che, in caso di asintomaticità , tutti gli studenti possano rientrare a scuola dopo 14 giorni di isolamento, senza

passare dal tampone”.

 

 

 

Classi in quarantena, docenti in classe

 

Nella classe di mia figlia, una terza media, è stato accertato un caso di coronavirus, e di conseguenza per tutta la classe è stata disposta la quarantena

e la didattica online.

 Come ho scoperto, però, non è stato ritenuto necessario adottare le stesse misure nei confronti dei docenti della classe, che quindi continuano a seguire

in presenza le altre classi non in quarantena: questo significa, in concreto, che un insegnante che fino al giorno prima condivideva per un’ora o più la stessa stanza con uno studente positivo, ora segue a distanza la classe in quarantena, ma entra tranquillamente nelle altre classi, in mezzo ad altri

studenti, e frequenta altrettanto tranquillamente i suoi colleghi e il personale della scuola.

  Questo significa anche, visto che nella scuola c’erano altre classi in quarantena, che nella classe di mia figlia, finché ha frequentato in presenza,

possono essere entrati insegnanti che sono stati in contatto in precedenza con studenti positivi al coronavirus.

  Questo è il modo in cui viene tutelata la salute dei nostri figli e del personale scolastico?

Secondo un recente studio dei meccanismi di propagazione del contagio in una classe di 24 alunni, il caso più pericoloso è quello di un insegnante positivo al coronavirus: ed anche se tutti quanti, insegnante e alunni, indossano continuativamente la mascherina (e così non è stato, nelle scuole medie, fino a pochi giorni fa) e anche se vi è una regolare aerazione (come

non è sempre possibile nelle aule per ragioni climatiche o logistiche), il docente positivo rischia di contagiare almeno uno studente.

  Se disgraziatamente mia figlia risultasse positiva al coronavirus, a chi dovrò chiedere conto?

 

(da La Nazione e da La Repubblica – 10 novembre 2020)

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