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Il fallimento dei click day: una questione culturale, non tecnologica

di Riccardo Robecchi

I click day di quest'anno sono falliti per lo stesso motivo. Che, contrariamente a quanto si possa pensare, non è tecnologico. È culturale. Un riflesso diretto dell'immobilità del Paese, che sembra refrattario a ogni cambiamento

La rivoluzione digitale prometteva di cambiare tutto e rivedere molti aspetti delle nostre vite, in particolare quelli legati al rapporto con lo Stato e le sue istituzioni. Tali promesse sono state però largamente disattese, con inefficienze e complicazioni che rendono fare impresa in Italia più difficile del necessario. Un esempio lampante di questo fallimento è l'impiego dei cosiddetti "click day" per l'erogazione di bonus e risarcimenti. Un simbolo di un fallimento non dovuto a improbabili attacchi hacker o a problemi dell'infrastruttura, ma a una riproposizione in chiave digitale di dinamiche analogiche. In ultima analisi, un problema culturale.

Perché il bonus bici è stato un fallimento? Le ragioni culturali.

A meno di non avere a disposizione un'infrastruttura di enormi dimensioni, è lecito attendersi che centinaia di migliaia di utenti che cerchino di effettuare operazioni portino a problemi. Un concetto che appare elementare anche ai non addetti ai lavori, ma che non sembra aver spaventato gli ideatori del "click day" per il bonus biciclette, che hanno implementato un sistema di code assolutamente bizantino con l'illusione di riuscire così a gestire la mole di richieste. Che, visto il suddetto sistema, era largamente attesa.

Il problema, in questo caso, non sta nel fatto che l'infrastruttura non abbia retto. Non era il problema reale nemmeno per il "click day" di aprile, quando i server dell'INPS non hanno retto alle richieste di connessione da parte dei professionisti. Il problema vero sta nel fatto che qualcuno abbia deciso che un "click day" fosse una buona idea.

Come scrivevo all'inizio, la promessa del digitale era quella di cambiare le dinamiche e i rapporti tra i cittadini e le istituzioni. Questa promessa non è stata infranta perché il digitale non è in grado di esaudirla, ma perché si sono applicate le logiche antecedenti al mondo digitale. Google non mette in coda gli utenti quando questi fanno una ricerca, né Amazon chiede di attendere il proprio turno per poter fare i propri acquisti. Perché, dunque, bisogna chiedere ai cittadini di mettersi in coda con il proprio computer come se si trovassero in un ufficio postale?

Il sistema è tanto arzigogolato e irrazionale da rasentare l'assurdo. La complicazione a livello tecnico nell'implementare un sistema simile è notevole e ben superiore alle molteplici alternative presenti: solo per nominarne due, c'è la restituzione sul conto corrente a seguito della presentazione della dichiarazione dei redditi, o l'applicazione di sconti da parte dei rivenditori che ricevono successivamente un rimborso. Le idee si sprecano e sono in ogni caso migliori di quella poi effettivamente implementata.

La ragione per cui ci si ostina a proporre queste modalità inadeguate sta nella mentalità: chi pensa a queste implementazioni è saldamente fermo nella prima metà del ventesimo secolo e pare non avere alcuna intenzione di andare oltre. L'approccio culturale è lo stesso di cinquant'anni fa e, vista la rivoluzione completa introdotta dal digitale nella nostra società, non si può non pensare al Gattopardo di Tomasi di Lampedusa: tutto deve cambiare affinché nulla cambi. E finché la politica non deciderà di porre un freno a queste modalità imponendone di più moderne, continueremo a fare code virtuali.

I "click day" sono il frutto di una cultura immobile e la proverbiale punta dell'iceberg di un sistema burocratico che danneggia tutti, a partire dai contribuenti. Ma perché ci sia un cambiamento su questo fronte deve avvenirne prima uno su un altro: bisogna che ciascuno si assuma le proprie responsabilità e che paghi le conseguenze delle proprie azioni, positive o negative che siano. Solo dopo verrà tutto il resto.

Cambiamenti tecnologici e culturali: un binomio inscindibile.

Le varie innovazioni che la tecnologia offre - strumenti open source, cloud, container e così via - diventano improvvisamente meno utili, meno vantaggiose, meno in grado di realizzare il proprio potenziale se non c'è una cultura di base pronta ad abbracciare i cambiamenti che le nuove tecnologie impongono e farli propri. Perché altrimenti il rischio è quello di usare sì il trattore a idrogeno, ma per farlo tirare dai buoi al posto dell'aratro. L'evoluzione dei mezzi di produzione influenza quella della cultura e viceversa, ma se una delle due si blocca (in questo caso quella culturale) allora si bloccherà anche l'altra; il cambiamento dei mezzi tecnologici non può non procedere di pari passo con un cambiamento nell'approccio ad essi. Lo si vede benissimo nel mondo aziendale, dove le aziende che riescono a fare propria questa evoluzione prosperano e quelle che invece rimangono ferme incontrano difficoltà e, se non cambiano, finiscono per essere superate dalle concorrenti e chiudono.

Usare il cloud ha poco senso se lo si utilizza esattamente come un server di vent'anni fa, così come impiegare i container non ha senso se non se ne sfruttano le caratteristiche intrinseche di flessibilità e agilità. Per sfruttare questi nuovi mezzi è necessario un cambiamento di approccio profondo, che mette in discussione molti dei concetti già appresi e impiegati. Ma così come è richiesto a ciascuno di noi di continuare a imparare, affinare le proprie competenze e muoversi in campi nuovi e inesplorati, così dev'essere richiesto alla pubblica amministrazione. Intendiamoci: il problema non è solo nel pubblico, come evidenziato da diversi studi (se ne era parlato, ad esempio, alla conferenza D-Avengers all'Università Bocconi di Milano). In Italia non si investe in formazione, che significa che non si investe nella preparazione al cambiamento e all'evoluzione. Ma il mondo, da che esiste, non è mai stato fermo e pretende che ci si muova con esso. Altrimenti si viene lasciati indietro, con tutte le conseguenze del caso.

(da hardwareupgrade - 6 novembre 2020)

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