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L’egemonia sovranista - L’ideologia del ciascuno si occupi degli affari suoi e la fine dell’anima sentimentale della politica

di Flavia Perina

La morte di Rossana Rossanda ricorda, tra l’altro, che c’è stato un tempo in cui le “cause dei popoli” – cause di democrazia, per lo più – erano l’anima sentimentale della politica, univano e laceravano, provocavano scissioni e radiazioni, attraversavano il filo spinato dei blocchi della guerra fredda scombinando le cose. Non solo a sinistra. Le icone novecentesche di Jan Palach, dei “ragazzi di Buda”, degli eroi sconosciuti nei tunnel sotto il Muro di Berlino e persino l’impossibile e disperato grido degli Hunger Strickers di Belfast e Derry, erano il cuore del racconto sentimentale della destra. Si sapeva tutto, di quelle cause, e quasi niente del resto. Un paradigma rovesciato nella politica di oggi, dove l’equazione sovranista – diffusa assai oltre i confini dei partiti che la interpretano ufficialmente – ha risolto la questione con un brutale: ciascuno si occupi degli affari suoi.

A Minsk ci sono arresti a centinaia. Polizia incappucciata e senza mostrine che fa retate di donne in piazza, caricando settantenni sulle camionette e facendole più o meno sparire. A Istanbul, Ebru Timtik si lascia morire in carcere per protesta contro la repressione del dissenso e contro condanne esemplari pronunciate fuori da ogni regola di legge. Lungo l’immaginaria linea che collega le due capitali si dipanano nuove questioni di democrazia, libertà e diritti che in altri tempi la destra avrebbe interpretato e impugnato con vigore. C’è l’ultimo satrapo del post-comunismo da una parte e il titolare di un nuovo sogno imperiale ottomano dall’altra: nemici naturali, si direbbe, di ogni politica fondata sul rispetto dei popoli e sulla difesa geopolitica dell’Occidente e dell’Europa.

Invece si stenta. Si fatica. Ci si nasconde. Nella bolla social della destra la causa dei popoli è da tempo scomparsa; Alexander Lukashenko e Tayyip Erdogan non sono percepiti più di tanto come rischio, avversario, nemico. L’astensione leghista sulla mozione europea di censura alla Bielorussia e il voto contrario dell’asse Lega-M5S persino sulla condanna per l’avvelenamento del ribelle russo Alexay Navalny sono l’ovvio esito delle simpatie filorusse del nostro populismo, ma forse non sarebbero state possibili senza il largo consenso che le nuove autocrazie riscuotono nell’elettorato sovranista, dove la retorica dell’uomo forte al comando ha da tempo avuto ragione su ogni altro pensiero.

La dissidenza da regimi illiberali, l’eresia, il mondo indomabile degli intellettuali dei gulag, gli Alexander Solgenitsin o gli Andrej Sacharov di oggi, non sono più modelli (anche esistenziali) ma fastidiosi rompiscatole in giro per il mondo. Persino la resistenza degli studenti di Hong Kong alle angherie dell’annessione alla Cina è discussa e commentata sui social più a sinistra che a destra. È un’inversione di prospettiva che stupisce, esito di una passione per l’Autorità con la maiuscola che non sa più distinguere tra il legittimo esercizio del potere e il suo abuso: uno spartiacque che la “vecchia destra”, seppure assai più legata di quella attuale a modelli d’ordine nostalgici, aveva ben presente persino quando l’anticomunismo la portava a schierarsi coi colonnelli greci o con i regimi dell’America Latina.

Questa silenziosa mutazione antropologica corrobora l’ideologia semplice del “noi padroni a casa nostra; in casa d’altri chissenefrega”. Un’ideologia di successo, a quanto pare, ma del tutto inadeguata allo status delle altre democrazie europee, che ancora giudicano un compito preciso esprimere opinioni, orientamenti, linee di condotta, su ciò che accade nel mondo, consapevoli del fatto che la politica estera non è un accessorio delle scelte nazionali ma ne è molto spesso il motore. E, più oltre, c’è da chiedersi se davvero possa reggere nel tempo una politica incapace di connessioni anche sentimentali con le cause con la maiuscola, quelle che fuori dai nostri confini spingono gli uomini e le donne a correre rischi, esporsi, sfidare l’arresto e il carcere pur di affermare un diritto. Cosa resta della politica senza tutto ciò? Qualche calcolo da ragioniere, ma siamo sicuri che basti?

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