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DECRETO AGOSTO/ I giochi su cifre e date avvicinano la resa dei conti del dopo-ferie

di luigi da rold

Dopo due giorni di vertice di maggioranza, l’ennesimo, ieri il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, ha detto con due parole secche che un “accordo è stato trovato” e che quindi oggi si terrà il Consiglio dei ministri che dovrebbe varare il Decreto agosto. Insomma, il ritardo, se andrà tutto bene, sarebbe questa volta solo di un paio di giorni. Del resto, tutti i decreti hanno avuto uno slittamento, delle contestazioni, dei rinvii e dei problemi piuttosto complessi. E data la situazione che ha attraversato e attraversa ancora il Paese tutto può diventare comprensibile.

Ma con questo Decreto agosto, con 25 miliardi sul tavolo, la questione è di quelle che diventano decisive e che possono segnare una svolta nel bene o nel male, cioè il futuro dei prossimi mesi o probabilmente delle prossime settimane. Questa volta si tratta di prendere una decisione sul blocco dei licenziamenti e il Segretario generale della Cgil, Maurizio Landini ha inviato un messaggio perentorio: “Tutti i licenziamenti vanno bloccati fino a fine anno e i contratti nazionali devono essere rinnovati. Altrimenti per Cgil, Cisl e Uil sarà sciopero generale”. Confindustria ha già risposto sul suo giornale: “Imprese, no al blocco dei licenziamenti”. Si deve trovare una sorta di accordo che salvi la faccia a tutti.

Vedremo come il “mago” Gualtieri e il suo aiutante Giuseppe Conte avranno risolto questo nodo, evitando uno scontro che fa venire i brividi, se si accompagna alla possibile chiusura del 30 o 40 per cento delle piccole e medie aziende e alla sfiducia generale che si respira nel Paese.

Ieri c’erano alcuni commentatori che quasi si esaltavano per il recupero della produzione industriale rispetto a maggio (quando tutto era chiuso), ma poi, qualcuno, più attento, ricordava velocemente il ragguaglio con l’anno passato: meno quattordici per cento. In fondo chi si accontenta gode, anche quindi di un’affrettata decrescita felice.

Ora è vero che la politica è stata definita dai “grandi” dimenticati come “l’arte del possibile”; “la grande capacità di raggiungere il compromesso giusto”. Forse è proprio questa carenza di scienza politica e di politica avvenuta in questi anni che genera sfiducia e fa pensare ai mesi complicatissimi che si dovranno affrontare.

In realtà, dalle impressioni che si colgono in questi due giorni di “vertice piuttosto acceso”, si è soprattutto giocato sulle date e su un compromesso con l’allungamento e il restringimento della cassa integrazione a seconda del comportamento delle imprese. Da un lato la proposta dello sblocco dei licenziamenti a partire dal 15 ottobre, dall’altro l’allungamento, proposto perentoriamente dai sindacati, sino alla fine dell’anno. Si ripropone un antico scontro di classe? Forse non è mai scomparso, ma lo tsunami che ha investito il Paese e le conseguenze che si vedono sull’economia globale, non solo quella italiana ed europea, dovrebbero anteporre un “grande patto per l’Italia”, che sia in grado non solo di superare questo momento complicatissimo, ma di ripensare a un modello di sviluppo innovativo che la trasformi e la rilanci.

L’impressione è che lo snodo o il compromesso trovato (ma non è ancora del tutto sicuro) venga giocato su una data che appare come una via di mezzo (il 15 novembre) e si aggiungano una serie di bonus e facilitazioni con relativo prolungamento di cassa integrazione che dovrebbe essere tutto da interpretare. La sostanza è che se non si riesce a coniugare un piano di convergenza mirato su alcuni punti tra l’azione statale e quella che faciliti la ripresa di attività delle imprese , tutto appare difficile.

E manca come al solito la sincerità che dovrebbe definire almeno la lunghezza programmata della ripresa italiana, dove pur con gli stanziamenti stabiliti in Europa, il ritorno dell’Italia che raggiunga il livello di Pil (non certo in rapporto con il debito che si allargherà) bisognerà aspettare secondo previsioni realistiche almeno 5 anni, cioè il 2025, sperando che non ci siano altri incidenti pandemici.

Alla luce di queste considerazioni, la sensazione è che siamo arrivati quindi alla vigilia di un appuntamento problematico e forse drammatico, dove la ripresa del dopo-ferie (si fa per dire) coincide con la possibilità di una rivolta scomposta in varie zone italiane e tra diverse categorie sociali.

La continua incertezza, persino i piccoli rinvii, secondo alcuni osservatori che rilevano gli umori dei cittadini italiani, alimenta solo ansia e sfiducia. Il banco di prova sarà certamente il Decreto agosto, ma le continue voci sui possibili rimpasti di questo Governo segnalano anche continui momenti di sfiducia.

Dopo Ferragosto si avranno i primi reali sintomi del disagio italiano. Ed è difficile fare previsioni a breve e soprattutto per i due mesi della prima ripresa reale della vita: settembre e ottobre. La sensazione finale degli italiani resta sempre uguale: si guarda con sfiducia a un Governo che pasticcia e si guarda con diffidenza a un’opposizione che non convince. Sarà una bella scommessa vedere quanti andranno a votare alle “regionali” di settembre.

(da www.ilsussidiario.net - 7 agosto 2020)

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