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 Questa volta niente politica: ci immergiamo nel costume, in un evento che unì l’Italia in una emozione collettiva e condivisa. Ad unire gli italiani quella volta fu il calcio, lo sport nazionale che, normalmente, li divide più di quanto non ha potuto l’eterna faida fra Guelfi e Ghibellini.

  Il magico evento accadde il 17 giugno 1970, quindi cinquant’anni fa, quando la nazionale italiana affrontò la Germania, nella semifinale del campionato del mondo.

 Dopo le imprese della nostra nazionale guidata da Vittorio Pozzo (eravamo negli anni ’30), mai eravamo approdati ad una semifinale; era quindi un evento molto sentito, in un periodo particolare della nostra storia, che aveva visto il Paese trasformato dalla straordinaria crescita del dopoguerra.

     Ricordo anch’io quella notte magica, e la festa collettiva che esplose dopo il triplice fischio dell’arbitro.

   Il tratto garbato ed acuto della penna di L.M.L. ci restituisce una particolare emozione, narrando come la magia di quella notte venne vissuta da Maria e dalla sua amica Letizia, con puntuali pennellate di costume che ci dicono, con chiara eloquenza, quanto sono ormai distanti da noi quei tempi. Eppure, sono passati solo cinquant’anni!!!

Paolo Razzuoli

 

ITALIA GERMANIA 4-3

 

Di L.M.L.

 

Correva l’estate del 1970, anno dei mondiali di calcio in Messico e la nazionale italiana stava, contro ogni più rosea speranza, macinando vittorie che l’avrebbero portata a disputare la finale del torneo.

Per la cronaca e per chi, buon per lui, non era ancora sulla scena del mondo, la finale fu appunto Brasile-Italia: gli azzurri si beccarono quattro pappine e per grazia ricevuta realizzarono il gol del momentaneo ed illusorio pareggio, il Brasile si aggiudicò appunto la coppa Rimet per la terza e definitiva volta. Ma questo, paradossalmente, fu un mero di più nell’avventura di quel mondiale, la cui apoteosi venne rappresentata dalla semifinale tra Germania ovest (ancora il muro di Berlino incombeva con la sua arcigna presenza) e appunto l’Italia di Mazzola e Rivera, del ct Valcareggi e della vituperata “staffetta” (l’alternanza in campo, un tempo per ciascuno, appunto tra i succitati assi nostrani) da quella insomma, concordemente definita “Partido del siglo”, ricordata in sempiterno da una targa commemorativa su uno dei muri esterni dell’Atzeca, stadio in cui l’epico scontro venne disputato.

La partita si sarebbe giocata intorno alla mezzanotte ora italiana e probabilmente nemmeno le notti di san Silvestro passate e future erano e sarebbero state animate come quella del 17 giugno del ’70 quando in tutti i castelli, i palazzi, le ville, villette, case, baracche, bar, osterie, lupanari (qualcuno, abusivo, esisteva ancora) d’Italia gli schermi televisivi, in bianco e nero e per pochi intimi a colori, cominciarono a trasmettere la telecronaca dell’ Evento.

Maria, allora adolescente e da sempre tifosa di calcio, coinvolse nella passione pallonara la sua vicina e amica Letizia, un po’ più grande di lei,  assolutamente digiuna della materia. Le due ottennero il permesso di rimanere  sveglie e da sole davanti alla tv:  i genitori di entrambe erano ospiti in casa di amici, una vera pacchia che venne sfruttata con una capillare organizzazione della serata.

Dopo attenta, animata, mirata discussione si addivenne al varo del seguente programma:

ore 20- leggera cena in autonomia

ore 21- raduno in casa di Maria e consumazione di coppa del nonno Sammontana alla panna

ore22- ascolto a tutto volume dei dischi dei Beatles in dotazione sul       mangiadischi di ordinanza

ore 23- preparazione di spuntino per l’intervallo tra il primo e secondo tempo costituito da: fette di pane casalingo con abbondante dose di maionese e tonno ornate da carciofini sott’olio, Coca cola

ore24- inizio partita. Stravaccamento su poltrone avvolte dal tricolore con il cuore che intona l’inno di Mameli

In pratica, le due alle 23 vennero colte dalla fame e cominciarono a mangiare ciò che era destinato allo spuntino dell’intervallo.

Al fischio di inizio l’emozione era alle stelle, ma le due ragazzine non potevano certo immaginare che avrebbero condiviso con mezzo pianeta la visione di un evento epocale. Mano a mano che le fasi del match si snodavano con i molteplici rovesciamenti di fronte e di risultato, febbrilmente le mani si allungavano ad abbrancare le fette superstiti del petit dejeuner (data l’ora, poiché la partita si prolungò ai tempi supplementari) e boccali di coca cola ormai calda e sgassata.

Al gol di Schnellinger, terzino della nazionale tedesca ma giocatore del Milan nel campionato italiano, Maria, milanista dura e pura, non si tenne e dopo un secondo di esitazione tra la fedeltà alla Nazionale e quella alla squadra del cuore, fece un salto dalla poltrona gridando: “Maledetto stronzo, traditore!” con un tono di voce tale da essere udito da tutte le suore dei tre conventi che circondavano la sua casa e dai Canonici della parrocchia retrostante. Fortuna volle che Anna Maria, la madre, non fosse in casa, altrimenti, tifo o no, minimo si sarebbe beccata un paio di “ciaffate” da lasciare il segno: cose che a dirle oggi non ci si crede, visti gli atteggiamenti timorosi e deferenti che i genitori tengono generalmente nei confronti dei  preziosi frutti dei loro lombi! Tanto che si possono ritenere fortunati (i genitori) se le sberle non le prendono loro (dai suddetti frutti dei lombi)!

Per tornare alla partita del secolo, i minuti passavano e la situazione si faceva sempre più incerta: alla rete di Boninsegna rispose, al novantaduesimo, il gol appunto del sunnominato Stronzo (primo ed unico in carriera in 47 partite con la nazionale). Nei supplementari segnarono nell’ordine Muller al 94’, Burnich (italianissimo nonostante il cognome), Riva, di nuovo Muller; a questo punto Maria si ritrovò sdraiata per terra senza sapere come né perchè temendo che fosse giunta l’ultima ora della sua breve esistenza; le passarono davanti agli occhi gli episodi e le persone più importanti della sua vita: Paul Mc Cartney, Gianni Rivera, il tre a Chimica e conseguenti labbrate da parte della madre e rimproveri incruenti del papà, le leticate con l’insopportabile e, a detta sua, viziatissima sorella minore, le lasagne dello zio Renzo (noto chef di rinomati ristoranti di Milano, Livorno e poi Lucca), le corse sul Ciao (spesso caratterizzate da tragicomici “foroni”).

Stava raggiungendo uno stato sospeso tra il nirvana e l’atarassia quando il “Golden boy” (Gianni Rivera, nda) andò a buttare il pallone alle spalle del portiere tedesco, Maria, in stato di molto precaria coscienza, si arrampicò a fatica su una sedia ed esalò: “Ora muoio contenta!”.

Finì 4 a 3 e per tutta la notte, nelle piazze italiane, si cantò “Messico e nuvole” avvolti nei tricolori, in una strano e ritrovato senso di appartenenza e di orgoglio nazionale, tanto più inaspettato in quell’estate del 1970, che seguiva il maggio francese del ’68, l’autunno caldo delle lotte operaie del 1969, e precedeva di poco i tragici anni degli estremismi, degli scontri politici e del terrorismo.

Maria e Letizia parteciparono alla grande festa nazionale solo in spirito e col cuore: la coppa del nonno e le reiterate fette di pane maionese e tonno  fecero ben presto sentire i loro nefandi effetti e le due sciagurate trascorsero buona parte di ciò che restava della notte ciascuna nella propria casa, o meglio, in un preciso locale della casa: il comodo, per dirla alla lucchese!

 

Lucca, 17 giugno 2020

 

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