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Oltre le Procure - Ma le colpe del fallimento lombardo sono politiche

di Carlo Nordio

Non sappiamo dove condurrà l’inchiesta della magistratura di Bergamo, ma sappiamo che sarà estremamente complessa e irta di ostacoli. Per ora mancano il reato e gli indagati. Per il primo, si possono ipotizzare l’epidemia e/o l’omicidio plurimo colposo. Quanto ai secondi, occorre individuare le persone fisiche (la responsabilità penale è personale) che avrebbero cagionato l’evento. Per alcuni sono gli amministratori regionali, per altri i membri del governo, per altri ancora son tutti e due. In effetti l’ingarbugliata matassa normativa sembrerebbe definire una competenza concorrente, nel senso che governo e regioni - e in parte anche i comuni - disponevano degli strumenti per correre ai ripari. Ma questo non basta. Occorrerà dimostrare la colpa, cioè la negligenza, imprudenza o imperizia di questi soggetti nella gestione della crisi.

E anche se questa colpa fosse evidente, bisognerebbe dimostrare che essa ha cagionato l’epidemia e le morti conseguenti: quello che in giuridichese si chiama nesso di causalità. E’ una prova diabolica, come sempre avviene quando all’imputato si contesta non ciò che ha fatto, ma ciò che non ha fatto, sostenendo che se avesse fatto quello che doveva fare l’evento non si sarebbe verificato. Ora, è possibile affermare al di là di ogni ragionevole dubbio che se gli organi competenti avessero adottato misure adeguate l’epidemia non si sarebbe diffusa?

 

Bella domanda, quando ancora oggi l’universo mondo scientifico, a cominciare dall’Oms, non sa con certezza né perché il virus sia nato, né come si sia diffuso, né tantomeno come si sarebbe potuto efficacemente contrastare. Aggiungo che il problema giuridico è aggravato dalla pluralità di denunce che cominciano a fioccare - ed era inevitabile - in tutto il Paese, con le dispute che ne seguiranno in ordine alla competenza territoriale dei giudici, e con il rischio che tutte finiscano a Roma, rendendo la cosa ingestibile.

Da ultimo, l’usuale scaricabarile che si verifica in simili circostanze rischierebbe di coinvolgere direttori generali, funzionari amministrativi, e magari medici e persino infermieri. Una bella beffa dopo che ne abbiamo fatto, giustamente, una sorta di eroi. Se da modesti giuristi e da preoccupati cittadini possiamo formulare un auspicio, è che la Magistratura si limiti ad individuare chi ha commesso errori, e quali, ma si arrenda davanti all’impossibilità di accertare il nesso di causalità, archiviando tutto quanto prima.

Ma la legge penale non esaurisce ogni forma di responsabilità, e men che mai quella politica. Il diritto guarda alle intenzioni, perché è essenziale sapere se uno ha commesso il fatto con dolo, o per negligenza, o perché convinto di essere nel giusto.

La politica invece guarda ai risultati, e questi, per quanto concerne la Lombardia, sono sotto gli occhi di tutti. Ebbene, noi abbiamo qui manifestato, esattamente il 12 Marzo, le nostre perplessità sull’accordo raggiunto con Confindustria lombarda per regolamentare le attività lavorative, consapevoli che la diffusione del virus imponeva una drastica assunzione di responsabilità degli amministratori, anche a costo di compromettere la produzione industriale e perdere consensi. Ora, il governo avrà certamente le sue colpe, per l’approccio pasticcione con il quale, almeno in un primo tempo, ha affrontato l’emergenza.

Ma la responsabilità politica della Regione guidata dal leghista Fontana si evince proprio dal confronto con altre regioni virtuose, che sono intervenute autonomamente, superando le oscillazioni governative, per affrontare una situazione grave e imprevista. Se il tuo appartamento prende fuoco, non devi aspettare l’amministratore del condominio. Conosciamo già i gravissimi errori commessi dal governo lombardo nella gestione sanitaria all’insorgere dell’epidemia, errori questi sì fatali tanto che oggi ancora se ne pagano le conseguenze non solo in quella regione ma nell’intero territorio nazionale.
Il Veneto, ad esempio, non versava in una situazione meno drammatica. Ma la capacità di comprendere, la rapidità nell’intervenire, l’insensibilità alle pressioni esterne, il rigore nei divieti, e l’attenzione nei controlli hanno ridotto vittime e contagi, e oggi è virtualmente affrancato dall’epidemia.

Questa, ripetiamo, non è una valutazione giuridica, ma squisitamente politica. Poiché tuttavia in politica - come recita un noto principio - nulla ha più successo del successo, e quindi nulla è più funesto del fallimento, ragionevolezza vuole che la Lombardia ne tragga le dovute conseguenze, quantomeno per evitare che la temuta seconda ondata, se dovesse arrivare, non la colga impreparata. Sempreché le inchieste giudiziarie non paralizzino tutto, scatenando le consuete ordalie tra chi intendesse servirsene per eliminare gli avversari. Una sventura che, di questi tempi, potrebbe esserci fatale.

 

(da Il Messaggero - 13 giugno 2020)

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