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Commento introduttivo

Da qualche giorno sappiamo che la Procura di Bergamo indaga sull'emergenza coronavirus e, nell'ambito dell'inchiesta, che Il premier e alcuni ministri saranno sentiti come persone informate sui fatti. In particolare, i magistrati indagano sulla mancata istituzione della zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro nel Bergamasco.
Oggi 12 giugno È avvenuta l'audizione del premier Giuseppe Conte a Palazzo Chigi con i pm di Bergamo. Il presidente del Consiglio è stato sentito per circa 3 ore nell'ambito dell'indagine sulla mancata zona rossa ad Alzano Lombardo e Nembro. Il premier è stato ascoltato come persona informata sui fatti. A Palazzo Chigi oltre al procuratore Rota,  anche i sostituti Paolo Mandurino, Silvia Marchina e Fabrizio Gaverini. Verranno sentiti anche i ministri dell'Interno, Lamorgese e della Salute, Speranza.
Non è però sugli aspetti cronachistici della vicenda che intendo indugiare, bensì sulla diffusa attitudine allo scarico di responsabilità della classe dirigente italiana, favorita da un contesto giuridico-istituzionale che, volendo intenzionalmente ingarbugliarlo, forse non si sarebbe riusciti a fare tanto.
A questo va aggiunta l'altra grave anomalia, quella dell'invasione del potere giudiziario in ambiti che appartengono alla sfera della politica. Ovviamente, di fronte ad ipotesi di reato, il compito è del potere giudiziario; ma occorre molta attenzione ai confini: è pericolosissimo estendere la sfera del reato penale a comportamenti che invece attengono alla sfera delle decisioni politiche. Questa abnorme estensione della sfera penale, con il conseguente dilatarsi dell'intervento del potere giudiziario, rappresenta un elemento di forte destabilizzazione degli ordinamenti di democrazia liberale e crea difficoltà enormi sul versante decisionale.
Ma perché siamo arrivati a questo punto? Quesito complesso che, comunque, trova la sua sostanziale spiegazione nella debolezza della politica che, in mancanza di capacità decisionali, ha aperto le porte a chi era pronto ad assumerne funzioni supplettive. E la politica, anziché attrezzarsi per difendere le proprie prerogative, si è servita del potere giudiziario come clava da dare in testa all'avversario. Così si è gridato allo scandalo quando si colpiva l'amico, e alla "giustizia è fatta" quando nella vicenda è caduto un avversario.
Insomma, la confusione è grande, fra un'architettura istituzionale confusa e contraddittoria, ed una separazione dei poteri un po' appannata. Ed in questo puzle difficile da comporre, purtroppo va sempre a finire che dopo il gran polverone le vere responsabilità non vengono mai fuori. Sarà forse per questo che la politica non ha mostrato - almeno sinora - di voler seriamente affrontare un tema tanto importante?

Ma tornando al Covid-19 in Lombardia, nonostante la gran confusione direi, in accordo con il testo di Michele Aines che Fucinaidee propone ai suoi lettori, che ci sono responsabilità diffuse ed ai vari livelli, non so se penali (ci penserà la Procura a stabilirlo), ma sicuramente ci sono responsabilità politiche. Il rischio, tutt'altro che peregrino è che dopo tanto clamore Non se ne caverà un ragno dal buco, i precedenti sono quantomai eloquenti.
Si potrebbe anche cogliere l'occasione per metter seriamente mano all'ordinamento, per renderlo più semplice e lineare. Ma questo è veramente chiedere troppo.....

Paolo Razzuoli

Le responsabilità di governo e Regione Lombardia

di Michele Ainis

Il nostro diritto caotico e confuso rende la verità difficile Di qui l'amara conclusione: tutti imputati, nessun imputato.

Se c'è una vittima, dev'esserci un colpevole. E nel territorio di Bergamo le vittime sono state fin troppe, tanto da guadagnare il primato mondiale dei decessi, in rapporto alla popolazione.

Potevano evitarsi? Era possibile circoscrivere il contagio, istituendo altrettante zone rosse nei comuni di Alzano e di Nembro? E c'è una responsabilità penale nell'inerzia dei poteri pubblici? Di chi, poi? Del governo nazionale o di quello regionale? Domande pesanti, giacché l'epidemia colposa – su cui indaga la procura di Bergamo – è un reato punito con 12 anni di galera.

Ma al di là della vicenda giudiziaria, emerge una responsabilità politica chiara come il sole. E coinvolge tutti: il presidente del Consiglio, il governatore della Lombardia, in qualche misura anche i sindaci di Alzano e di Nembro, sì, perfino loro. Avrebbero potuto provvedere, sono rimasti inoperosi. Mentre adesso praticano l'antico gioco dello scaricabarile, come ha scritto ieri Sergio Rizzo su questo giornale.

Però il giochetto deriva dalle leggi italiane, è il nostro diritto caotico e confuso a renderlo possibile. A partire dalla Costituzione, riformata in peggio nel 2001, dove i poteri delle Regioni in materia sanitaria coesistono (si fa per dire) con quelli dello Stato. E a seguire con una quantità di norme nazionali, dislocate un po' qua un po' là, senza che alcun sarto le abbia mai cucite.

La legge sul Servizio sanitario nazionale del 1978. Il decreto Bassanini del 1998. Il testo unico degli Enti locali del 2000. Il codice della Protezione civile del 2018. Oltre alla raffica di decreti sparati dal governo, prima, durante e dopo il picco della crisi. In questa matassa normativa allignano i poteri d'ordinanza, che spettano anzitutto ai sindaci. Dice la legge del 1978, ridice quella del 1998, conferma il testo unico del 2000, riconferma il decreto legge n. 6 del 2020: i sindaci possono adottare ordinanze contingibili e urgenti in caso di emergenze sanitarie a carattere locale.
Ma possono farlo pure le Regioni, benché l'assessore Gallera l'abbia scoperto con qualche mese di ritardo, dopo aver negato la competenza regionale.
Articolo 32 della legge n. 833 del 1978: se è in pericolo la salute pubblica, ogni presidente di Regione può emanare un'ordinanza per proteggere parti del proprio territorio.

Può dunque istituire zone rosse, come hanno fatto il Lazio, l'Abruzzo, la Campania, l'Emilia-Romagna, la Calabria. Sono infatti oltre 60 i comuni isolati per decisione regionale, anziché statale. Ma la Lombardia no: da quelle parti hanno deciso di non decidere, pur avendone il potere.

E la responsabilità del Premier? Diciamolo: un po' se l'è cercata. Se accentri su di te qualunque decisione, se t'inventi i Dpcm per decidere in perfetta solitudine, ovvio che poi il mondo ti chiamerà a risponderne, per ciò che hai fatto e per ciò che non hai fatto.
L'uso del decreto legge avrebbe diluito meriti e demeriti sull'intero Consiglio dei ministri, e in seconda battuta sulle Camere, in sede di conversione del decreto; invece Codogno, Vo' e altri comuni veneti e lombardi sono diventati zone rosse con il primo Dpcm della serie, il primo marzo.

Ma al di là dello strumento normativo utilizzato, non c'è dubbio che il governo nazionale possa e debba intervenire. Lo stabilisce la Costituzione, attribuendo allo Stato le competenze sulla profilassi internazionale. Lo stabiliscono le leggi, le troppe leggi che abbiamo sul groppone. Da qui l'amara conclusione: tutti colpevoli, nessun colpevole.
E però tutti imputati, per mano dei giudici o dello stesso Parlamento, che s'appresta a varare una commissione d'inchiesta sui morti dell'epidemia. Non ne caverà un ragno dal buco, i precedenti sono quantomai eloquenti. Farebbe assai meglio a riordinare la legislazione, sulla base d'un principio già adombrato dalle norme in vigore. Questo: se l'emergenza investe un territorio regionale, interviene la Regione; se ne supera i confini, toccherà allo Stato; mentre al sindaco residua una funzione di supplenza, se la crisi sanitaria è circoscritta al suo comune, e se Stato e Regione rimangono con le braccia conserte. Ma è troppo semplice, e in Italia la semplicità è una virtù sospetta.

(da Reppubblica - 12 giugno 2020)

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