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Rassicurare sul presente e progettare il futuro

di Paolo Razzuoli

In epoca in cui nessuno riusciva ad immaginare le dirompenti conseguenze di una pandemia quale quella che stiamo vivendo, ho scritto varie riflessioni nelle quali ho sottolineato come il rilancio della politica, quindi del nostro sistema paese non poteva prescindere da due pilastri essenziali: saper rassicurare sui timori del presente, e saper offrire orizzonti credibili per il futuro. Due condizioni che, in verità, non riguardano solo l'Italia. Essi infatti rispondono ad una diffusa esigenza a livello planetario, dettata dagli scenari così nuovi rispetto al passato con cui ogni società è chiamata a confrontarsi. Scenari che se da un lato creano straordinarie opportunità di sviluppo, dall'altro inducono timori ed insicurezze a cui le classi politiche sono chiamate a dare risposte. Scenari che pongono il complesso delle relazioni internazionali di fronte alla necessità di immaginare forme di governance condivise, che oggi appaiono molto distanti solo da immaginare: anzi, la crisi che stiamo vivendo sembrerebbe portare ad un'altra strada, ovvero quella dei muri, dell'egoismo nazionale e dell'autarchia. Speriamo di sbagliare....

Ma è sull'Italia che intendo focalizzare la mia attenzione. Sull'Italia che, da tempo, vive una crisi della politica - e più in generale una crisi di sistema - che rischia di incanalare il paese in una traiettoria senza ritorno.
Un tema quindi assai precedente alla crisi del coronavirus ma che, inevitabilmente, questa emergenza rende drammatico.
Una emergenza che ha messo fuori traccia l'intero spettro delle debolezze del nostro sistema. Debolezze di architettura istituzionale, che ben si è visto dai conflitti fra governo centrale e poteri regionali, dalla difficoltà di costruire una catena di comando univoca, dalla difficoltà di dare all'opinione pubblica messaggi chiari. Debolezze politiche, con un governo in confusione, contraddittorio e poco credibile, con un'opposizione balbettante, con una maggioranza ed un'opposizione più interessata a mettere bandierine elettorali che ad immaginare strategie, con una classe politica, centrale e locale, più spinta dal desiderio di emergere che non dalla volontà di fare sintesi e progettualità, come ben è emerso anche dalla voglia di protagonismo di vari presidenti di regione.

Ma se sinora il sistema è riuscito in qualche modo a reggere, se pur fra mille difficoltà e contraddizioni, la crisi prodotta dalla pandemia non consentirà più ritardi e sotterfugi: ho si troveranno il coraggio e la volontà di affondare il coltello nella piaga dei problemi, senza pietà e reticenze, oppure il futuro non ci riserverà niente di buono.
Occorre guardare in faccia la realtà, partendo dalla consapevolezza che sono a rischio fra settecentomila ed un milione di posti di lavoro. Una prospettiva drammatica che va ad innestarsi su una situazione occupazionale già molto delicata. Ora i licenziamenti sono bloccati per decreto, ma la crescita non si crea per decreto: si crea solo con strumenti di sistema adeguati e con le necessarie risorse. Quando l'emergenza sanitaria sarà sfumata ed il contesto economico presenterà il suo drammatico conto, il paese rischia di entrare in un tunnel che potrà compromettere la sua tenuta sociale.

e qui si introduce l'aspetto più complicato, ma più vero, della tematica: sarà capace il Paese di affrontare una situazione che richiede uno straordinario salto di qualità rispetto ad ora? Sarà in grado il paese dei complotti, delle furbate, delle ipocrisie, delle bandiere elettorali e via dicendo, di darsi quello scatto di reni che gli consentirà di poter imboccare la strada della ripresa?

Naturalmente tutti lo auspichiamo e lo speriamo. Ma gli auspici e le speranze, per non rimanere sogni o illusioni hanno bisogno del sostegno di elementi razionali e di comportamenti coerenti e virtuosi. Machiavelli ci insegna che "la fortuna va cavalcata con la virtù". IL nostro Paese ha sicuramente doti di umanità ed intelligenza straordinarie che, in varie fasi storiche, gli hanno consentito di imboccare percorsi virtuosi. Ad esempio, dopo la disfatta della seconda guerra mondiale e della guerra civile, in cui è riuscito a ricostruirsi e ad imboccare un percorso di sviluppo senza precedenti, pur avendo subito una disastrosa distruzione materiale e civile.

Ciò è stato possibile grazie ad una lungimirante stagione politica, guidata da profili straordinari quali ad esempio De Gasperi ed Einaudi, in cui la politica ha saputo dare risposte credibili a due dimensioni: rassicurare sul presente e immaginare un orizzonte per il futuro. Allora, rassicurare sul presente, voleva dire in primo luogo garantire il rispetto dell'ordine pubblico e della ripresa della convivenza civile della società. Immaginare un orizzonte per il futuro allora ha significato gettare le basi di una identità che ha consentito lo straordinario sviluppo dei decenni successivi: economia di mercato, scelta atlantica, impegno per il sogno europeista, attenzione alle fasce più deboli della società.

Credo che sia proprio da qui che occorre ripartire. Più volte in questi mesi si sente il parallelo fra la crisi attuale e la seconda guerra mondiale; un parallelo credo esagerato, ma sicuramente ci troviamo di fronte ad una crisi devastante, i cui effetti dirompenti potranno essere superati solo se si riuscirà ad imboccare un percorso di generale ripensamento del sistema paese. Un ripensamento che, come i più acuti osservatori ci hanno detto ormai da decenni, andava imboccato già da tempo; purtroppo, molti elementi distorsivi del nostro sistema sono ormai quasi endemici. Ma a questo punto non vi sono più sconti: la brutalità della crisi ci interpella in modo urgente e totale. O noi saremo all'altezza della sfida, oppure il declino sarà inevitabile e più rapido di quanto non si immagini.

E bisogna ripartire proprio dallo slancio del dopoguerra riproponendone lo schema: bisogna cioè riuscire da un lato a rassicurare sul presente, dando un ristoro a chi ne ha bisogno; ma, nel contempo, occorre immaginare un orizzonte futuro, tramite una strategia che getti le basi di una nuova stagione di sviluppo.
E qui mi pare che qualcosa non torni. Mi pare infatti che la classe politica, e non parlo solo di Governo, sia molto concentrata sull'emergenza ma con zero visione e zero strategia su dove dobbiamo andare. Sottolineo classe politica e non solo governo, giacché il limite riguarda tutti: ormai da anni tutte le forze politiche sono risultate più sensibili a piantare loro bandiere elettorali che non a creare strategie; sono state più sensibili ai sondaggi che non proiettate ad immaginare orizzonti; sono state schiacciate dalla "dittatura del presente", anziché spinte dalla volontà di pensare alle prossime generazioni.

Ma il tema è a mio modo di vedere ancor più vasto e complesso, investendo l'intera società italiana. Non credo infatti nell'assunto populista di una società sana in contrapposizione ad una politica malata. La politica è lo specchio della società. Qui ognuno dovrà fare la propria parte.

La politica dovrà uscire dalla logica dei dividendi elettorali, per proporre al Paese un orizzonte di futuro, immaginando una chiara identità del Paese, sia rispetto alla dimensione interna che a quella internazionale. Le crisi possono costituire l'occasione per un ripensamento complessivo ed in profondità. Altre volte è accaduto; si tratta ora di capire se in questa occasione il Paese è pronto. E lo dico senza nulla indulgere alla logica buonista e palingenetica di cui vari soloni si stanno facendo sacerdoti. E' probabile che dopo questa crisi ci si trovi tutti più incattiviti, più impauriti, più egoisti; sicuramente moltissimi si troveranno molto più poveri e spaventati. C'è quindi un gran bisogno di politica, altro che dell'antipolitica dominante in molte narrazioni di questi anni. Ma c'è bisogno di una politica che non si riduca al ruolo di antenna; c'è bisogno di una politica che sappia proporre, che sia autorevole, che sappia farsi ascoltare, che sappia nuovamente far sognare. E per far ciò - mi si perdoni l'insistenza - dovrà essere in grado, nello stesso tempo, di rassicurare sul presente dando ristoro a coloro che veramente ne hanno necessità, e di gettare le basi per una nuova stagione di sviluppo. Ma c'è bisogno anche di una società che sia disponibile a mettersi in discussione, che sappia liberarsi dai vizi che la infettano a partire dalla difesa dei propri "particulari" , che si sforzi di recuperare un autentico senso di comunità, insomma, come diceva Montanelli, che sappia trasformarsi da un'assieme di tribù in una vera comunità nazionale.
Da parte di tutti c'è bisogno di recuperare qualcosa che si è smarrito, ovvero la cultura della responsabilità. E' una questione di capitale sociale.

Ma torniamo sul tema del profilo identitario, fondamentale per immaginare un nuovo orizzonte.
Sul versante interno penso che dovrà essere un progetto che stimoli la crescita basata sulla valorizzazione dell'impresa, della creatività, sulla valorizzazione del nostro immenso patrimonio artistico-culturale, sull'attrattività. Un profilo che significa sconfiggere la cultura antiindustriale anche presente nell'attuale governo ("politica industriale" non vuol certo dire "politica in favore degli industriali"), così come significa sconfiggere le tentazioni stataliste ed assistenzialiste. Significa avere la capacità di ridisegnare il ruolo dei soggetti pubblici e privati nel progetto di crescita, in un virtuoso rapporto nel quale lo Stato assolva a pieno il ruolo di organizzatore e dettatore di regole chiare e certe, mentre il privato venga valorizzato nella sua insostituibile funzione di attore economico.
Ma per far questo occorre voltare pagina ed impegnarsi per creare un Paese più moderno rivedendo tante cose, proprio a partire dal ruolo della politica e della burocrazia. Ci sono poi tanti altri nodi che vanno sciolti: fisco, lavoro, infrastrutture e grandi opere, sistema scolastico, ricerca e innovazione e così via. Insomma ciò che serve per l'efficientamento del sistema economico, per dare una svolta alla produttività, per creare ricchezza da distribuire, e per cercare di affrontare in modo strutturale la dolente questione del debito pubblico che, come si sa, è il risultato della differenza fra Pil e spesa. Si può quindi ridurre certo diminuendo la spesa, ma anche accrescendo il Pil. Ciò che sicuramente non si potrà fare, è di aumentare la spesa e diminuire il Pil.

La crisi attuale aumenterà in modo fortissimo il debito. Sinora il governo ha cercato di dare un ristoro all'emergenza, in modo più o meno efficace ma lo sforzo direi che c'è stato, ma nulla si vede sul versante strutturale delle misure per la ripresa.
Dalla Commissione Ue è arrivato un segnale di speranza ma non dobbiamo farci illusioni. Anzitutto non dobbiamo illuderci che questi fondi, dovremmo avere circa 172 miliardi, arriveranno domani mattina. Sarà un percorso lungo per averli e sarà soggetto a tantissime contrattazioni e vedremo come si arriverà al traguardo. Ma il tema vero è quello di come saranno spesi questi soldi, che in parte andranno comunque restituiti, anche se a lungo termine. E' evidente che questi soldi andranno spesi per riformare il Paese e non a pioggia per piantare nuove bandierine elettorali. Andranno spesi per riformare il Paese, per stimolare la ripresa pensando alle nuove generazioni. Non casualmente, l'intervento è stato chiamato "Next generation".

Nelle pieghe di questa crisi si potrebbero nascondere delle grandi opportunità perché abbiamo davanti una grande occasione per disegnare una nuova Italia, per modernizzare veramente il Paese. Sarebbe veramente esiziale se la sprecassimo!

Parlando di identità, ho detto anche del versante internazionale. Qui dovrà essere afermato il nostro ancoraggio europeo, assumendo ogni iniziativa che possa rendere sempre più completa l'integrazione continentale, sapendo che l'Europa solo se all'unisono potrà giocare un ruolo attivo negli scenari globali. Nei confronti di quell'Unione Europea, da cui in questi mesi si è invocato l'aiuto, non sempre abbiamo giocato bene le nostre carte: non lo abbiamo fatto con le sbracate posizioni dei populisti, dell'opposizione ma anche del governo, non lo abbiamo certo fatto con inopportune fughe in avanti nei confronti di russi e cinesi.

E infine la domanda delle domande. Quale classe dirigente potrà avere le carte in regola per affrontare un programma così vasto?
La storia ci insegna che dalle crisi possono emergere nuove classi dirigenti: sarebbe una gran fortuna per l'Italia. Sono convinto che la ricostruzione non può essere affidata a chi ha fatto disastri. Penso quindi che sarebbe necessaria una frattura. Sarebbe necessario che ci fosse un rimescolamento di scenari e l'emersione di un personale politico estraneo alle faide degli ultimi anni. Delresto anche Machiavelli ci insegna che il Principe non può essere buono per tutte le stagioni.
Non ci si può nemmeno attendere che la politica si autoriformi: occorre una forte spinta dal basso per produrre il cambiamento. ci sarà? Non so, ci vorrebbe la sfera di cristallo!
Nei prossimi mesi - quando la crisi sanitaria speriamo si affievolisca - è ragionevole pensare che la crisi sociale possa acuirsi. Già sopra ho detto delle fosche previsioni sui posti di lavoro che, ovviamente, mi auguro vengano smentite. Emergerà che i soldi per la cassa integrazione non basteranno, l'economia difficilmente potrà ripartire senza importanti impulsi strutturali, e molti italiani si troveranno a fare i conti con situazioni complicate. A quel punto occorrerà molta attenzione per evitare che il sistema vada in default e che si sfilacci ulteriormente la coesione sociale. Ovviamente tutti ci auguriamo che ciò non accada ma dobbiamo essere consapevoli che senza un rinnovato clima di fiducia, difficilmente il Paese potrà trovare il coraggio di ripartire. Un coraggio che potrebbe essere aiutato da una nuova classe dirigente, che abbia il coraggio di proporsi al Paese con un progetto chiaro, senza infingimenti e/o ipocrisie, rappresentato da figure nuove ma consapevoli della funzione della politica e delle competenze, quindi in netta frattura con gli assunti del populismo dominante.
Ci sono queste figure? Non so, ma l'Italia, quando ha avuto bisogno, ha trovato chi è riuscito a tirarla fuori dal tunnel.
E' questo un augurio, un invito ed anche un impegno: chi può, non faccia mancare il proprio contributo!!!

Lucca, 29 maggio 2020

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