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Commento introduttivo

Fucinaidee ha sempre riservato uno spazio ampio ai temi della giustizia e, più in generale, agli squilibri fra i poteri che negli ultimi decenni si sono sempre più accentuati in Italia.
Tema trattato attraverso riflessioni di vari autori, riflessioni che di sovente ho commentato - certamente con la modestia delle mie possibilità - ma con passione e coerenza.
Senza tentennamenti ho sviluppato i vari temi legati alla deriva giustizialista del nostro Paese: ho trattato come dicevo il tema della necessità di ripensare gli equilibri fra i poteri dello stato, mi sono schierato senza alcun tentennamento a favore della divisione delle carriere fra magistratura inquirente e magistratura giudicante, così come ho posto il focus sulla necessità di riformare il Consiglio Superiore della Magistratura; mi sono schierato senza esitazione contro l'abuso delle intercettazioni, sia per il modo in cui vengono fatte, sia per la barbarie con cui i giornali le hanno utilizzate.
Intercettazioni che, sono state consapevolmente usate come una condanna preventiva, dalla quale difficilmente ci si poteva sottrarre in un Paese in cui si è alimentata una diffusa cultura giustizialista, e in un contesto tecnologico e comunicativo per cui, messe in rete, acquistavano di fatto l'eternità.
I fatti di questi giorni - che peraltro confermano scenari che ampiamente si sospettavano, sono la riprova della barbarie e della spregiudicatezza che nasconde la diffusa retorica della intoccabilità di poteri consolidati.
Naturalmente occorre tenersi ben lontani dalla tentazione di voler fare d'ogni erba un fascio. Il bene ed il male sono presenti in ogni manifestazione della vita. Ma certo questi fatti gettano un'ombra di inquietudine su chi, per i ruoli esercitati, dovrebbe avere altissimo il senso del dovere e del servizio verso la società.
E' ovviamente auspicabile che l'attuale situazione di crisi possa consentire alle forze sane, che pur esistono, di emergere e di imporre un radicale cambio di passo rispetto al passato, creando così i presupposti di una stagione di rigenerazione.
E' forse troppo ottimistico? Può darsi, ma senza una speranza questo Paese non potrà avere futuro!

Paolo Razzuoli

La barbarie delle intercettazioni, Magistratopoli apre gli occhi a Pm e giornalisti

di Deborah Bergamini

La battaglia perduta dalla politica

Io sono molto orgogliosa del “mio” giornale: in perfetta solitudine nei giorni scorsi abbiamo annunciato lo scoppio di Giornalistopoli. Non abbiamo pubblicato le tonnellate di intercettazioni del caso Palamara, non abbiamo fatto i nomi dei colleghi giornalisti che compaiono in quelle trascrizioni (e parecchi nostri lettori hanno detto che abbiamo sbagliato a non farli) e i cui comportamenti denotano un vassallaggio nei confronti di certi pm che è davvero triste, ma abbiamo detto che il re è nudo: a suon di conversazioni carpite si è disvelata nei dettagli l’architettura di quel circuito mediatico-giudiziario che da Mani Pulite in poi, rafforzandosi sempre di più, ha influenzato e talvolta predeterminato il processo democratico in ogni suo rivolo, producendo una commistione fra poteri che l’ipocrisia si ostina a definire inammissibile, ma che è praticata massicciamente. Un’architettura fondata su un’alleanza di ferro fra alcuni pm e alcune firme giornalistiche, nota certo a tutti, ma mai vista prima d’ora in tutte le sue pieghe, e oggi finalmente evidente. Così si capisce di cosa ha paura la politica da trent’anni a questa parte. Così si capisce come può capitare, al politico sgradito, di esser fatto fuori, che si tratti di Berlusconi o Renzi o Salvini. E così si capisce perché la politica, di qualunque colore, è diventata pusillanime e quindi inutile.

È positivo che alcuni altri giornali – evidentemente liberi – in questi giorni ne parlino. Ed è positivo che una larga parte della magistratura sia costernata, indignata, dai fatti emersi in questi giorni e stia lavorando con responsabilità per voltare pagina. Dentro la magistratura, come dentro il giornalismo, come dentro la politica, come dentro la vita, il Bene e il Male albergano sempre assieme in un eterno scontro che a volte si fa abbraccio e quindi per prima cosa bisogna spazzare via la tentazione di generalizzare. Ma davvero penso che questa possa essere l’occasione storica per fare un passo avanti. E per questo mi piacerebbe che i giornali che contano, le testate gloriose, non facessero finta di nulla ma anzi si rendessero per prime protagoniste di un tentativo di cambiamento. Parlo di quelle che negli anni si sono accreditate di più nell’indefesso lavoro di andare a snidare i politici e i loro traffici (veri o presunti) grazie all’accesso a materiale investigativo secretato o a intercettazioni. Lo hanno fatto talmente tanto che le intercettazioni da mero strumento di indagine sono diventate nel tempo un consolidato strumento politico secondo una modalità tollerata ma intollerabile che ha prodotto solo macerie da trent’anni a questa parte.

Non ci siamo dimenticati, vero, dell’invito a comparire recapitato al presidente del Consiglio Berlusconi a mezzo Corriere della Sera mentre ospitava una riunione internazionale sulla criminalità organizzata a Napoli nel 1994? Non so quante persone – e quanti politici – sono stati travolti dalla pubblicazione di intercettazioni sui maggiori giornali italiani. Un numero incalcolabile. Anche io, nel mio piccolo, sono fra queste. E poco importa se le varie tesi accusatorie ipotizzate a corredo delle intercettazioni poi si rivelino inesistenti. I processi veri oggi si fanno sulle pagine dei giornali, non nei tribunali, e quando le sentenze arrivano è troppo tardi. Avendo vissuto l’esperienza in prima persona posso assicurare che ben poco esiste di più incivile di questa modalità per fare i conti col nemico di turno o per rendere realistico uno stereotipo, un pregiudizio. Le intercettazioni hanno di bello che si possono selezionare a piacimento, usarle come tanti piccoli pezzi di carta per costruire il collage che si ha in testa. Possono raccontare mille realtà diverse in base a come sono ritagliate, e tutte quelle realtà possono essere plausibili.

In più, hanno di bello che registrate su un bel file digitale e schiaffate su internet acquisiscono il dono dell’eternità: possono risalire a 15 anni prima ma fissate in quel modo sembrano sempre fresche come uova di giornata, congelando così per sempre anche la presunta colpa del malcapitato. È una barbarie, diventata ghiotta normalità qui da noi, unico caso al mondo. Ne hanno beneficiato alcuni pm per le loro carriere e il loro potere? Certo. Ma ne hanno beneficiato molto anche i giornali e questa è la novità di questi tempi: finalmente si capisce che anche tante carriere di giornalisti e tante copie di giornali vendute sono il frutto di questa perversa abitudine, spesso scudata da quello che chiamiamo diritto di cronaca o addirittura diritto di critica. Contro questa deriva combatto da molti anni, si può dire che stia alla base della mia scelta di fare politica e sono contenta che si stia aprendo uno squarcio nella più perniciosa delle collusioni e delle ipocrisie del cosiddetto mondo dell’informazione. Era facile prevedere che chi di intercettazione ferisce di intercettazione perisce, perché l’ascolto e la pubblicazione degli affari altrui sono come il miele, golosissimo ma ci si può rimanere incollati.

E oggi tocca alla magistratura e al giornalismo fare i conti con un costume del quale hanno beneficiato insieme. Sarebbe stato bello che per coerenza, viste le tante persone messe tragicamente alla berlina in questi anni, i giornali che contano avessero usato lo stesso criterio – il diritto di cronaca – anche per i loro giornalisti rimasti impigliati nelle maglie di questo sistema. Invece no. Ecco perché sono la vera casta. Perché possono praticare un sistema di autotutela di cui la politica non dispone più, essendosene lasciata spogliare da Mani Pulite in poi. Quando ero all’inizio della mia attività politica feci una battaglia perché la pubblicazione di intercettazioni fosse ascritta al reato di ricettazione: in fondo di questo si tratta, trarre profitto da materiale acquisito illecitamente. Fui attaccata duramente da alcuni miei colleghi giornalisti, anche importanti. Dissero che ero una cretina e che volevo censurare il diritto di cronaca. Invece volevo evitare che si arrivasse alla situazione perversa in cui purtroppo ci troviamo, cominciando a trattare la pubblicazione di intercettazioni per quello che spesso è: un’illegalità. E comunque una pratica incostituzionale. Quella battaglia la persi, così come molte altre.

Oggi mi piacerebbe che ci tenessimo stretta l’occasione di vincere, invece, una battaglia di civiltà che possa progressivamente condurci verso una fase nuova della nostra storia nazionale e che possa lasciarsi alle spalle l’eredità di Mani Pulite: coltivo la speranza che si possa ricondurre l’uso delle intercettazioni al perimetro rigido entro cui deve restare, e cioè quello dello strumento investigativo, troncando ogni legame di interesse col mondo mediatico. So che è come far rientrare il dentifricio dentro il tubetto, praticamente impossibile. Ma so anche che non esiste riforma della giustizia che non affronti questo tema. Se non riportiamo questa pratica nell’alveo giusto, se non guardiamo in faccia l’aberrazione sistematica che si è prodotta e continuiamo a far finta di nulla perché ci riteniamo al riparo dal rischio di finirci in mezzo, produrremo più manipolazione, più sovvertimento del processo democratico e più ministri della giustizia che anziché rinsaldare i principi basilari del diritto, pensano a piazzare dei trojan nei nostri telefoni con la promessa di garantire più etica per tutti.

(da www.ilriformista.it - 26 maggio 2020)

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