logo Fucinaidee

Commento introduttivo

Ho sperato sino all'ultimo che Italia Viva votasse la mozione di sfiducia al ministro Bonafede, presentata da Emma Bonino, e sottoscritta anche da esponenti di altri partiti: ad esempio Renato Schifani.
Ovviamente IV non avrebbe potuto convergere sulla mozione del centro-destra; il testo di Più Europa offriva però un'opportunità che, se saputa gestire, poteva rappresentare l'occasione per liberarci di uno dei peggiori e più pericolosi rappresentanti della cultura giustizialista e forcaiola, purtroppo assai solida in Italia.

Confesso quindi il senso di amarezza e delusione che ho provato a caldo, quando si è capito il finale della vicenda; un finale che pur ha fatto seguito ad un intervento in Aula di Renzi, tutt'altro che banale, anzi ricco di spunti degni di uno statista.
Si è capito che ancora una volta i principi - anche se nobili - sarebbero stati sacrificati alla "ragion di Stato".

Ma si tratta veramente di una vera "ragion di Stato" o di un maneggio di spazi politici e di poltrone?
Questo è il vero dilemma, su cui non è agevole dare una risposta.
In linea di principio, sono fra coloro che pensano che certi ideali non possono mai essere sacrificati; il garantismo è ovviamente fra questi.
Aggiungo che per una forza politica che ambisce all'assunzione di un ruolo importante nello sviluppo della vicenda politica nazionale, la capacità di sapersi distinguere per una salda coerenza di principi rappresenta - a mio modo di vedere - una condizione irrinunciabile.
In questa prospettiva, la convergenza sulla mozione di Più Europa sarebbe stato un atto di coerenza e di investimento sul futuro.

Ma ci sono ragioni, altrettanto valide, che contrastano con questa impostazione.
Così come si erano messe le cose, era chiaro che l'approvazione della mozione avrebbe portato ad una crisi di governo, che gli italiani non avrebbero capito in questo drammatico momento. Per giunta una crisi al buio, perché visto come stanno le cose non si vede quali potrebbero essere gli sbocchi.
In questa prospettiva appare quindi legittima anche la strada imboccata da Renzi: quella di azzoppare il ministro e, contemporaneamente, porre al governo in modo stringente altri temi, peraltro preesistenti all'emergenza coronavirus anche se da questa resi ancor più urgenti, quali la semplificazione della burocrazia, la riforma della giustizia e l'avvio dei cantieri delle opere pubbliche: temi di grandissimo rilievo, vitali per gettare le fondamenta della ripresa.

Certo le questioni di principio restano, e su queste dovrà esprimersi senza alcuna ambiguità chi vorrà proporre al Paese un progetto politico di rinnovamento. La storia ci insegna che dopo le grandi crisi può emergere una nuova classe dirigente. La crisi attuale è certo drammatica, e credo genererà un ineludibile bisogno di rinnovamento.
Renzi ha sinora dimostrato una indiscutibile abilità tattica; in questa fase certo utile, ma non sufficiente quando, speriamo presto, l'emergenza sanitaria sarà dietro le nostre spalle e dovremo fare i conti con la ripartenza vera.
A quel punto occorrerà una autentica capacità progettuale, di cui in verità non si vede ancora molto. Ma forse, in questo drammatico momento, è pretendere un po' troppo. Forse anche ieri, nell'aver evitato la crisi di governo e nel contempo aver ottenuto utili risultati politici, l'abilità manovriera di Renzi è stata premiata.
Insomma, in questa occasione può anche essere andata per il verso giusto, ma per il dopo occorre un radicale cambio di passo.
SE ora può essere concesso un attenuante, deve essere chiaro che gli attenuanti finiscono, e finiranno presto.
Come i sondaggi attestano, pur nella loro relativa attendibilità, Renzi ed il suo movimento sono percepiti dall'opinione pubblica come sostanzialmente finalizzati alla ricerca di poltrone e spazi politici.
L'"operazione simpatia" è ben lontana dall'essere intrapresa; ho notato che parlando di Renzi, ai più si drizzano i capelli in testa.
Quando l'emergenza sanitaria sarà passata, i nodi politici verranno al pettine. A quel punto per Renzi non vi saranno più attenuanti: o riuscirà a farsi promotore di un progetto di reale rigenerazione politica, oppure finirà nella cassetta degli attrezzi inservibili di una stagione che, speriamo, segni un radicale cambio di pagina rispetto alla narrazione del presente.

Paolo Razzuoli

Guardasigillato - La mozione di sfiducia non è passata, ma Bonafede è diventato un cavallo zoppo

di Mario Lavia

Alfonso Bonafede si è salvato ma i giustizialisti hanno subito un colpo. Non è passata la mozione Bonino-Richetti ma nemmeno quella della destra. Inutile girarci intorno: il Guardasigilli resta a via Arenula, molto indebolito e, diciamoci la verità, quando è apparso nero su bianco che sfiduciare lui avrebbe significato sfiduciare Conte (ieri in aula al Senato era a un metro di distanza dal suo ministro) nessuno ha dubitato che Fofò Dj l’avrebbe sfangata. E così è stato.

Però ci sono almeno un paio di fatti politici da esaminare. Primo, Bonafede è stato costretto ad annunciare «di persona personalmente», direbbe il personaggio di Camilleri, l’istituzione di una commissione ministeriale che vigilerà sui contenuti delle riforme dei codici monitorando quanto avverrà riguardo la prescrizione, gran cavallo di battaglia del ministro, che però è un cavallo azzoppato.

Una commissione è meglio di niente. È Renzi che l’ha imposta. Meglio ancora se a presiederla andrà un garantista come Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali: che la cultura garantista di uno dei principali avvocati italiani entri nel ministero di via Arenula guidato da un grillino è una novità assoluta. Chissà che dirà Marco Travaglio, per dire, di questo cedimento dei pentastellati puri e duri, nel dibattito di ieri totalmente irrilevanti, afoni, inutili (eppure era il loro ministro).

Il secondo fatto politico venuto alla luce ieri è l’adesione di alcuni forzisti alla mozione di sfiducia presentata da Emma Bonino e Matteo Richetti, la mozione garantista e dunque di segno opposto a quella di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia (ufficiale).

Il terreno della giustizia e dei diritti è uno dei principali temi divisivi nel partito di Berlusconi che d’altronde da sempre utilizza due pesi e due misure a seconda delle convenienze. Ebbene, ieri Andrea Cangini, vicino a Mara Carfagna, ha spiegato di aver sostenuto la mozione Bonino in quanto «prescinde completamente dalla vicenda Di Matteo e inchioda Bonafede alle sue responsabilità di ministro».

Cosucce tipo “l’abolizione della prescrizione, la Spazzacorrotti, la riforma delle intercettazioni, l’incapacità di amministrare le carceri durante il Coronavirus”.
Le accuse di Di Matteo non c’entrano nulla. Quella è roba che con la cultura garantista fa a cazzotti. Non solo, ma anche Quagliariello, Romani e Berutti non hanno votato la mozione della destra. Piccole crepe.

E Renzi? Riconosciuto che buttare giù Bonafede avrebbe implicato la caduta del governo, il leader di Italia Viva si è ormai convinto che una crisi non potrebbe comunque aprire uno scenario diverso e di fatto ha certificato l’impossibilità di costruire, per adesso, nuove ipotesi di governo.
E non solo perché il Paese è entrato in una nuova, delicatissima, fase ma perché sia il Partito democratico che la destra, con motivazioni varie, sono chiaramente indisponibili a nuovi scenari: il Nazareno perché si è legato strategicamente all’asse con il Movimento Cinque Stelle (via Conte) e poi perché a sentir parlare di unità nazionale il duo SalviniMeloni fugge a gambe levate.

Se questo è il contesto, Renzi punta a rafforzare il peso del suo partito, obiettivo che pare stia raggiungendo su diversi terreni (almeno pare che il premier abbia rassicurato la Boschi in questo senso). Chi fa le spese di questo riequilibrio dei pesi in seno al governo è il M5S, i cui contenuti sono completamente spariti dall’agenda e i cui ministri sono, chi più chi meno, in perenne affanno. Uno sopra tutti gli altri. Si chiama Bonafede Alfonso.

(da www.linchiesta.it - 21 maggio 2020)

Documento correlato

Cliccare qui per leggere/scaricare il testo della mozione garantista presentata da Più Europa

Torna all'indice dei documenti
Torna alla prima pagina